Italia: da quando la scuola esiste i libri sui banchi degli studenti italiani sono sempre stati in formato cartaceo ma mesi fa il Ministro Profumo aveva emesso un decreto secondo il quale tutte le scuole avrebbero dovuto abbandonare i tradizionali libri per passare al digitale.
In un primo momento la data dell’inizio della rivoluzione era stata fissata per il mese di settembre 2013 ma la rapida inversione aveva spaventato gli editori che avevano fatto ricorso al Tar contro il decreto Profumo. Come intuibile il loro timore era quello di subire un improvviso crollo delle vendite dei libri cartacei.
A correre in loro aiuto è stata la neo ministra dell’istruzione Maria Chiara Carrozza la quale, dopo un incontro con gli editori, ha comunicato loro che il tutto sarebbe stato immediatamente fermato asserendo che l’improvvisa introduzione dei libri digitali non avrebbe potuto avere altro che conseguenze negative. Quindi per il momento gli studenti, i loro genitori, ma soprattutto gli editori italiani, possono stare tranquilli.
Come poteva essere attuata una simile legge in un Paese che risulta essere tecnologicamente in ritardo rispetto a gran parte dei Paesi europei (e non solo)?
È innegabile la rapida crescita del mercato digitale, pare infatti secondo i dati di giugno che i titoli in formato digitale sono 60.598, l’8,3% dei titoli in commercio, e il 44,6% delle novità italiane sono pubblicate anche in e-book. Ad accelerare questo processo è stata senza dubbio la comparsa su internet e nelle librerie di e-book readers sfornati prima da Amazon, poi da IBS, più di recente dalla Giunti e dalla Mondadori, per non parlare poi di quelli realizzati dalle più note case di prodotti tecnologici.
Ben venga il progresso e senza dubbio la pubblicazione di una maggior quantità di titoli in e-book fornisce la possibilità di leggere ad un pubblico più vasto, senza dimenticare coloro che, a causa, per fare un esempio, di disabilità visiva, non sarebbero in grado di leggere un libro in formato cartaceo mentre l’e-book può essere agilmente ascoltato grazie ad un comune sintetizzatore vocale.
Ma oltre a ciò è inammissibile il voler realizzare un simile cambiamento improvviso dal momento che le strutture scolastiche italiane non sono attrezzate e che le competenze digitali possedute dalla popolazione sono limitate.
Va tenuto certamente conto del fatto che gli studenti di oggi acquisiscono specifiche competenze in modo naturale, a partire dalla nascita, da qui la definizione nativi digitali.
Ciò significa che questi sono in grado di maneggiare le nuove tecnologie in maniera più semplice rispetto ai loro genitori, ma non va sottovalutato il problema della media literacy, l’alfabetizzazione mediatica, che lo Stato dovrebbe fornire sia ai figli che ai loro genitori. Siamo infatti in presenza di studenti che poco altro sanno fare oltre che navigare nei social networks e di docenti che ancora oggi sanno a malapena accendere un computer.
La rivoluzione deve avvenire dal basso. Rimanere indietro tecnologicamente significa perdere competitività a livello europeo ed internazionale.
Per concludere un rapporto del World Economic Forum di giugno ci ricorda che in quanto a impatto e influenza dell’ICT sulla crescita economica e sull’occupazione in un mondo iperconnesso, l’Italia si colloca solamente al cinquantesimo posto, su 144 Paesi esaminati. Ai primi posti vediamo Finlandia, Singapore e Svezia, agli ultimi Burundi e Sierra Leone. Accanto all’Italia, Polonia e Croazia (World Economic Forum, 2013).
Written by Rebecca Mais