Il 9 maggio 1914, nasceva a Barletta Carlo Maria Giulini. Cresciuto a Bolzano e formatosi musicalmente a Roma, il Maestro non dimenticò mai la sua città natale, nella quale tornò alcune volte verso la fine della sua vita, accolto con gli onori dovuti a un musicista della sua statura. Sono sempre stato un grande ammiratore della sua arte direttoriale, improntata ad un’ onestà intellettuale e a una serietà e umiltà di approccio interpretativo che ne facevano uno dei direttori d’ orchestra italiani più apprezzati a livello internazionale. Una grandissima figura di musicista e soprattutto di uomo, una persona di principi elevati e profonda moralità e, dal punto di vista professionale, concertatore rigoroso e interprete di profonda penetrazione. Non serve ripercorrere nei dettagli la carriera di Giulini, ospite regolare e ricercatissimo di tutte le grandi orchestre mondiali. Fortunatamente, la sua arte è documentata da un ricco lascito discografico, nel quale spiccano diverse registrazioni considerate di assoluto riferimento. Penso soprattutto al suo Brahms, ai concerti beethoveniani registrati con Benedetti Michelangeli, al meraviglioso Concerto per violino di Brahms con Itzhak Perlman e alla Nona di Mahler incisa con la Chicago Symphony, tanto per fare qualche esempio a caso. In campo operistico, vanno citate almeno le sue interpretazioni mozartiane e la mitica registrazione dal vivo della Traviata scaligera del 1955 con Maria Callas, artista della quale il Maestro fu uno dei primi sostenitori e a cui fu legato da profonda amicizia personale.
Per fortuna, nel mondo culturale italiano questa importante ricorrenza non è passata sotto silenzio. Il Maggio Musicale Fiorentino ha organizzato una giornata di studi dedicata all’ arte direttoriale di Giulini e la sua città natale ha predisposto una serie di eventi celebrativi. Da italiano residente all’ estero, mi fa un grande piacere che, per una volta, un grande esponente della nostra cultura musicale venga adeguatamente ricordato in occasione di un anniversario.
Come primo contributo celebrativo, vi propongo questo articolo uscito su La Stampa nel 2004, in occasione del novantesimo compleanno del Maestro
Giulini, 90 anni di carisma gentile
di Sandro Cappelletto.
Dice di non aver mai capito il mestiere che ha fatto, “quel se stesso che prende una bacchetta in mano e va davanti a un’ orchestra”. Non si può comprendere, perché quel lavoro è soltanto “un atto d’amore che un servo, il direttore, fa davanti al genio del compositore”.
Auguri, maestro e infinite volte grazie. Carlo Maria Giulini compie domani novant’anni. Ha iniziato davvero nel 1946, con l’Orchestra di Milano della Rai, che allora era motore vivo della vita artistica del Paese, si è fermato nel 1999. Lo hanno invitato e amato ovunque, ha diretto i migliori cantanti, spesso anche la Callas, ha lavorato con Luchino Visconti ad un meraviglioso “Don Carlos”, ha suonato con i più profondi solisti. Benedetti Michelangeli gli aveva promesso di incidere assieme i cinque concerti per pianoforte di Beethoven, ma non riuscì – gli capitava, talvolta – a mantenere l’impegno. Giulini gli fece sapere che era stata immensa la gioia di suonare, almeno un po’, con lui: “Senza di lui, siamo tutti più poveri”, concludeva, anni dopo, un articolo per “La Stampa”.
Quando i ritmi produttivi, i precipitosi andirivieni dei cantanti cominciarono a trasformare i teatri in tante sale arrivi e partenze, scelse di non dirigere più opere liriche: addio alla concitazione controllata di Verdi (“sento i suoi sentimenti più veri di quelli di Puccini”, alla levità meravigliosa di Mozart. Servire la musica è un privilegio, se non ci sono le condizioni è doveroso, per un artista, rinunciare. Giulini, allora, ha preferito leggere e basta la musica, sentirsela dentro. Una lezione di umiltà e decenza, cioè di grandezza.
Il “lento” Giulini, si dice; eppure la “sua” (lui non direbbe mai così) quinta di Beethoven è stata scelta come la migliore da una giuria di critici europei. C’ è qualcosa di organico e insieme di necessario nella generazione e nello sviluppo del “suo” suono, di non forzato.
“Guardino cosa ha scritto qui Beethoven: un pianissimo che va al piano, non al forte. Facciano come è scritto, sentendolo… adesso è diverso, non è vero?”, disse durante una prova della Pastorale con l’Orchestra Giovanile Italiana. Dava del “loro”, come sempre, agli orchestrali, anche se quei ragazzi avevano vent’anni. Dopo un’ora, ne erano tutti innamorati.
Le annotazioni delle sue partiture sono un tesoro per chi voglia cimentarsi con questo “mestiere”. Il carisma gentile e inflessibile però è più difficile da imparare: “Il direttore è l’unico musicista senza strumento e fa nascere la musica senza suonarla. Può riuscirci solo attraverso l’ amore”.
Di seguito, due testimonianze video. Questa è un’ esecuzione della Terza Sinfonia di Schumann, una delle più grandi interpretazioni di Giulini in assoluto, registrata con la Los Angeles Philharmonic durante il suo periodo di attività come Music Director dell’ orchestra, ruolo da lui rivestito tra il 1979 e il 1984.
Il secondo video risale al periodo in cui ebbi l’ occasione di ascoltare Giulini per l’ ultima volta. Fu a Ferrara, in una stupenda interpretazione della Nona Sinfonia di Bruckner. Nel video che segue, vediamo il Maestro dirigere la Quarta Sinfonia di Brahms. Si tratta di un concerto eseguito con la Staatskapelle Berlin il 29 giugno 1996 nella Basilika des Klosters di Eberbach, a Rheingau.
Sono due splendidi documenti dell’ arte di uno dei massimi direttori d’ orchestra del secondo dopoguerra. Una figura di uomo e artista che resterà nella memoria di tutti coloro che hanno avuto la fortuna di incontrarlo sul loro cammino. Grazie, Maestro!