Scritto da: Ivan Lagrosa 17 gennaio 2014 in Attualità, Economia, News Inserisci un commento
Come dimenticarsi di quell’orribile parola che viene spesso usata per descrivere la situazione economica italiana degli anni settanta? Stiamo parlando della stagflazione, l’unione di inflazione e stagnazione: i prezzi aumentavano ma l’economia continuava a non mostrare segni di ripresa, continuava a rimanere in uno stato, appunto, di stagnazione.
Oggi, invece, ciò che gli economisti di tutto il mondo temono è che l’economia mondiale torni o resti in uno stato di deflazione. Sembra, a dir la verità, che questo timore riguardi solo e soltanto gli addetti ai lavori: con deflazione si intende infatti una generale diminuzione dei prezzi che non può che far più che piacere ai consumatori. Meno costa un determinato bene e meglio è. Il che potrebbe anche essere vero se guardiamo il fenomeno dal punto di vista di una persona che con il suo stipendio non riesce ad arrivare alla fine del mese. Il problema è però più complesso e uno stato di deflazione prolungato non può far altro che danneggiare tutti, anche coloro che pensano avvantaggiarsi da una caduta dei prezzi. Vediamo perché.
La prima conseguenza, quella più immediata, è che con prezzi bassi le aziende non riescono a generare entrate sufficienti per remunerare tutti i fattori produttivi, quali dipendenti prima e fornitori dopo. Se però l’azienda non abbassasse i prezzi, non venderebbe. Ecco quindi che per vendere e sopravvivere è costretta ad accontentarsi di minori entrate, il che comporta una riduzione dei costi di produzione, spesso una riduzione del personale.
Le persone che, a causa di quei tagli, si ritrovano così in cassa integrazione o senza lavoro non riusciranno neanche a sostenere quei prezzi bassi. Non vale quindi il ragionamento che fece Ford: mantenere prezzi bassi che permettano agli operai di comprare le auto che essi stessi producono.
Seconda osservazione: sapendo di essere in un momento di deflazione, i consumatori aspetteranno a sostenere spese importanti con la speranza che la deflazione continui ad operare e che quindi il bene che intendono acquistare costi, in un futuro, ancora meno. Ecco quindi che i consumi rimangono fermi: Quelli che non possono permetterselo, ovviamente, non spendono, ma non spendono neppure quelli che potrebbero farlo.
Ragionamento simile vale anche per le aziende: la deflazione comporta una perdita tendenziale del valore dei beni. Se quindi un’azienda acquistasse oggi un bene, mettiamo un macchinario, e tra qualche anno decidesse di venderlo, il valore di quel macchinario, a causa della deflazione, sarà diminuito. Ecco quindi che neppure le aziende investono capitali, seppur potrebbero farlo. Se le aziende non investono capitali, non si crea lavoro.
Un’ultima considerazione, di portata più generale, è la seguente: se i prezzi diminuiscono le entrate sia del governo (IVA) si dei privati (pensiamo in questo caso ai commercianti) diminuiscono. I debiti però rimangono gli stessi e sarà quindi necessaria una percentuale sempre maggiore di reddito per far fronte a quel debito.
Prezzi più alti sono quindi auspicabili non in quanto tali ma in quanto innescherebbero un circolo virtuoso che potrebbe mettere la parola fine a questa recessione.
Fonte | La repubblica
Crisi economica deflazione Economia News 2014-01-17


