Dei miei vent’anni, che me ne faccio

Da Iomemestessa

Come ampiamente narrato altrove, da ragazzina ho guardato un sacco di tv. Possibilmente, pattume. Crescendo ho ridotto drasticamente le dosi, mantenendo un invariato, pessimo, gusto per i contenuti.

La maggior parte delle porcherie si concentrano comunque in quell’età di mezzo tra i 14 e 18, quando trascorrevo lunghi pomeriggi a studiare in solitaria.

Comportamento con il quale ho sfatato, credo, un paio di assiomi.

Che studiare guardando la tv riduca la performance (per quel che mi concerne mi ha reso multitasking, e in grado di concentrarmi pure in mezzo ai bombardamenti).
Che guardare Mediaset in loop faccia diventare berlusconiani (il nano mascarato mi è stato sui coglioni dal primo annuncio che fece in tv, e da allora non vi fu mai più storia).

Fra i miei must di quegli anni c’era, ovviamente, la cagata maxima. Dallas. Un feuilleton degno (o indegno?) della Invernizio, fornito di tutto quel che serviva.

JR, il cattivo bastardodentro, con quel tocco di umanità e indulgenza (ai vizi comuni alle masse) che serviva a renderlo simpatico.

Bobby, il fratello buono, un po’ pirlotto ma di bell’aspetto e nobili sentimenti. Quello che capivi che non potevi dirlo, ma ti sembrava purtuttavia un po’ coglione, e alla fine parteggiavi per l’altro, il bastardodentro, dicendola assai lunga, per di più, sui tuoi futuri gusti in fatto di uomini.

Pamela e Sue Ellen. Le donne. Fighe, ma a rivederle bene non strafighe. Sfigate, più sì che no. Con una serie di paranoie da manuale da dar materiale agli psicologi d’accatto per anni. Due che facevano sì che tu oscillassi tra la pietà, qualche volta, l’invidia, talora, e il franco sfinimento di balle, quasi sempre.

E così tra storie scombinate, dialoghi surreali, et similia, si consumavano le nostre sere d’inverno sul finire degli anni ’80 (nel caso di iome, le consumava unicamente iome medesima essendo i di lei genitori onestamente sconcertati dai suoi caccosi gusti in fatto di tv).

Questi ricordi d’antan per dire che sabato, mentre spicciavo la cucina, mi son trovata a transitare su un canale del digitale terrestre, credo di Mediaset, che trasmetteva una roba che non capivo cos’era esattamente.

Finchè, il paradiso (o l’inferno, fate vobis) all’improvviso, comprendo trattarsi di una sorta di new Dallas, con le nuove generazioni supportate dalle star del tempo che fu.

La curiosità ha prevalso e ne ho guardata una parte consistente abbastanza da poter asserire che fosse inguardabile.

Ma non è questo il punto focale. Quel che colpisce, sociologicamente, narrativamente, è che:

- Le storie degli anni ’80 e quelle del 2010 son rimaste invariate nella sostanza. Trent’anni trascorsi senza lasciare un segno che non siano smartphone e tecnologia assortita. Se le storie anni ’80 erano sostanzialmente cretine, queste sono del tutto inverosimili. E’ pur vero che la natura umana è quella che è, e che certe dinamiche son inalterate dai tempi dei Pilastri della Terra, purtuttavia va detto che nel porgersi e nel linguaggio le cose si son evolute (o involute, a scelta) un tantino. Magari ecco, provare un po’ meno Quando si ama e un po’ più Brothers&Sisters?

- I giovani attori al massimo potranno aspirare a qualche particina nei film tv dei broadcasting network, ma non certo assurgere alla popolarità planetaria che toccò ai loro predecessori. In parte in ragione della loro allure, pari a quella di un moscerino schiantato sul parabrezza, in parte in ragione di storie francamente cretine. Soprattutto perchè non sanno recitare. I loro predecessori, pur senza ambire a Oscar o Golden Globe, erano in grado di onorare la parte e calcare le cartonate scene di Southfork Ranch con una certa autorevolezza.

- Spero che le vecchie glorie lo abbiano fatto solo per denaro e non per rinverdire i fasti che furono. Pieni di botox fin sopra le orecchie, plastificati oltre ogni dire, gli occhi vacui. Aveva ragione Michel Platini, che si ritirò dal calcio a 32 anni (oggi sarebbe un ragazzino) asserendo ‘Bisogna uscire dallo stadio quando sono ancora tutti in piedi ad applaudirti’. Sembravano una congrega di pensionati strafatti di cortisone.

Resta il sapore amaro dei tuoi sedici anni rapportati ai tuoi quaranta. Della gattopardesca sensazione che tutto sia cambiato per restare assolutamente immobile. Resta che quel Dallas là, lo guarderei ancora, per recuperare quell’innocenza che me lo faceva sembrare chissà che, mentre quello di adesso mi sembra solo un fastidioso rumore di fondo.


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