Del Berlusconi liberato. O quasi.

Creato il 28 ottobre 2012 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali

di Astolfo. Più che altro è una liberazione, questa di Berlusconi. Una mossa tattica evidentemente, per una nuova iniziativa – Berlusconi è imprenditore, sa che bisogna ogni tanto rinnovare tutto. Ma che appare liberatoria. Di se stesso, più che dell’Italia da lui – la quale infatti sta a guardare (soprattutto i comici di regime).

Questo oltre agli effetti collaterali. Spiazzare il voto di destra che si pretende di sinistra: Casini, Fini, la stessa Lega di Maroni. Spiazzare chi c’era prima e ancora c’è: Casini e Fini nella destra. Liberare infine i democristiani: prima aspettavano che Berlusconi morisse, poi che andasse in prigione, ora potranno marciare da soli, i Pisanu, Scajola, Buttiglione, se troveranno i voti. Berlusconi libera la sua idea di partito dalla zavorra che aveva imbarcato e lo ha sommerso: ex missini senza un’idea, e democristiani. Per una partito nuovo. Una lista di minoranza, ma che conti, con la forza del franco tiratore, al modo dei Bossi, Casini, Fini. Benché – marchio di fabbrica – “responsabile”. Berlusconi più di tutti sa che si può guadagnare molto con aziende-fatturati piccoli, mentre con aziende anche monopolistiche si può faticare. Personalmente si è liberato di Milano, della città che l’ha odiato e perseguitato. Che infatti è rimasta a bocca aperta. Le donnette in forma di giudice che lo perseguitano non sanno più che tessere. Anche i corpi separati sembrano sorpresi, non ci sono ancora intercettazioni sul caso. In realtà fa una mossa politica. Non risolutiva e meno geniale di altre sue. Ma sarà questo il segno della sua Italia: sotto Berlusconi niente, si può essere giganti da nani. Nano gigante Sperabilmente Berlusconi libererà pure l’apparato repressivo di Milano, che in questi venti anni è stato concentrato su di lui. Tutto l’apparato repressivo, e per questo forse la città è diventata la zona franca del crimine economico. Dei collocamenti avventurosi, da Tiscali a Saras. Dello spionaggio, per esempio alla Pirelli-Telecom (ma non è un caso isolato). Dei delitti ogni giornoimpuniti in Borsa  (insider, cartelli, false comunicazioni – quante false comunicazioni). Della cocaina, di cui Milano è la capitale mondiale.  Con precedenti certo, da piazza Fontana in poi: la maggioranza silenziosa, il “Giornale” di Montanelli, l’abduzione del “Corriere della sera”, gli affarucci di Gemina, l’Eni-Montedison, Tangentopoli. Quindi con una certa propensione, ma in questi anni berlusconiani l’impunità è diventata spudorata. L’apparato repressivo è stato infatti concentrato su di lui. Con 27 processi – 28 col motu proprio sulla Mondadori. Di cui 26 chiusi con l’assoluzione o la prescrizione – che non è mai imputabile all’imputato– ma questo non vuol dire. Le perquisizioni delle sue aziende e dei suoi uffici, con comunicati stampa e fotografia al seguito, sono state poco meno di 500. Incalcolabili le intercettazioni. Ventiquattro ore su ventiquattro, telefoniche e ambientali, negli ambienti anche più intimi. La registrazione per esempio dell’amplesso sul “lettone di Putin”, fornita poi gentilmente a una prostituta, che si era già provveduto a fotografare “in quadro” con Berlusconi, e poi venduta a buon prezzo a Rai, Sky, “El Paìs”, “The Times”, il meglio dei media europei. Il tutto dopo il 1993, dopo l’entrata in politica, prima sia il gruppo che Berlusconi erano puliti. Il passo indietro dovrebbe dunque liberare l’apparato repressivo. Ma questo solo in ipotesi. La provvisoria condanna di oggi, molto più dura della richiesta della Procura, dopo un dibattimento durato otto anni, dimostra che a Milano ogni patologia è possibile.

Quello di Berlusconi è un record delle statistiche giudiziarie. Andreotti ha avuto 40 processi. Ma non con tanto clamore, eccetto quello per mafia, e senza perquisizioni. I corpi separati con Andreotti non marciavano. Inoltre, Andreotti non ha avuto le intercettazioni, che sono anch’esse la specialità dei corpi armati dello Stato. Questo parallelo è interessante, una parentesi ci vuole. Forse Andreotti è stato risparmiato perché ha combattuto per primo e in prima persona, dal 1967, questi corpi: dapprima contro il generale Di Lorenzo, poi contro il generale Miceli, generali dei Carabinieri. E un insegnamento sembra doversi trarre, che Berlusconi come Craxi non ha osato, e per questo ha pagato: il mulo vuole la cavezza, corta. Ma allora bisogna dire che non c’è salvezza contro i generali, sia che li si combatta sia che no. Resistente L’uso è rappresentarlo tiranno. Con tutte le sue case editrici e le televisioni, e i soldi con cui compra tutto, i deputati e i senatori, i giudici e i giornalisti, la cocaina e le minorenni – l’uomo più ricco, etc.. Mentre la verità è che è un tirchio. Strapaga le ragazze che gli mostrano le tette, ma di tasca sua. Coi suoi governi le fonti di finanziamento pubblico di giornali, agenzie, associazioni, fondazioni, anche “culturali”, si sono inaridite. Rispetto ai governi Prodi, D’Alema, Amato: avevano più rispetto verso i bisogni dell’opinione. E non conta niente. Non rispetto alle banche: tutte le banche gli sono nemiche, Intesa Unicredit, Monte dei Paschi, Mediobanca, le Popolari e le Cooperative. Non conta niente tra i potentati: rispetto ai Bazoli, Moratti, Tronchetti Provera, De Benedetti, Benetton, e i paraninfi dei potentati stranieri, Della Valle, Montezemolo, etc. Anche sui media: la verità è che conta, forse, per il 5 per cento dell’informazione, con il Tg 5, il “Giornale” e “Panorama”, massimo per il 10. Ma per ciò stesso ha contro tutti gli altri: la Rai, Sky, La 7, la Rizzoli Corriere della sera, De Benedetti (Repubblica-L’Espresso-Finegil), i giornali capocittà di Caltagirone e Riffeser, le radio, le tv e i siti online del Pd, i comici. Al Sud non ha per esempio nessun sostegno, dove pure spopola alle elezioni. In Campania, Calabria, Puglia, Sardegna, Sicilia i giornali gli sono tutti contro. O dichiaratamente, o nascondendosi nel centro, la gagliofferia che una volta si diceva democristiana (ora è casiniana, finiana, etc.). È che lui non ci tiene, ma più di ogni altro avrebbe titolo a resistente. Anche ora che lascia il campo, la sua lettera e il suo video non hanno avuto spazio nelle decine di pagine di politica interna dei grandi giornali. Nonché negli innumerevoli siti democrat che, potenziati (quindi con un costo), occupano le prima pagine di google. Non più di Montezemolo che lascia Italo. Tanta opposizione dovrebbe essere indizio di democrazia. Un fronte di resistenza contro il tiranno. Se non che la tirannia si dimostra non esserci. Se non quella del voto, poiché Berlusconi finora aveva avuto più voti. È invece l’opposizione opera di figure poco raccomandabili: banchieri, affaristi, gruppi di pressione, corpi separati. Per scopi variamente camuffati, per questa o quella causa, ma poi, quando si guarda, solo eversivi – il famoso governo del non governo, degli interessi mascherati. Ossessionanti, ma allora come il terrorismo. Riuscirà Berlusconi a liberare anche questa opposizione terroristica? Terrorismo E poi ci sono alcune cose che vanno dette. Adesso che non c’è più, non ci sarà più così ingombrante come è stato finora, se ne può forse parlare liberamente –in passato si è pagato pegno per questo, con amici e conoscenti. Il cerimoniale ridicolo con Gheddafi per il quale lo si affigge era stato provato a Parigi, tra Gheddafi e Sarkozy. È vero che poi Sarkozy farà fare a pezzi Gheddafi dai suoi uomini. Ma Berlusconi, allora, è un non vendicativo. È già un merito in questa Europa. Senza contare che il cerimoniale era stato provato negli Usa cinquanta anni prima dal rigido Eisenhower quando arrivò il grasso Ibn Seud, il re saudita, con le sue cinquanta o cento mogli. Insomma è un’etichetta con certi governanti. Il presidente americano, che non andava mai agli aeroporti ad accogliere gli ospiti, si precipitò in quel caso, perché Seud disse: “Altrimenti non scendo dall’aereo”. Berlusconi era triste da qualche tempo. Nemmeno il Milan lo stimolava più. Neppure l’amata  televisione: apparire. Per non dire delle troie, si è fatto monaco, il compagno Zappadu ha dovuto ripiegare sulle statue. Si pensava la depressione causata dalla sconfitta alle elezioni nella diletta Milano. E invece no: a tutti, anche a Lino Banfi, ha confidato che era triste perché i giudici di Milano l’avevano costretto a pagare il salatissimo riscatto a De Benedetti per la Mondadori. Che non se lo aspettava. Featured image… Dalla “Gerusalemme liberata” Erminia ritrova Tancredi ferito, olio su tela di Nicolas Poussin, 1649, conservato a San Pietroburgo, Ermitage.


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