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“Dell’amore e del dolore delle donne” di Umberto Veronesi

Creato il 21 gennaio 2011 da Sulromanzo

“Dell’amore e del dolore delle donne” di Umberto Veronesi

Non si tratta di un romanzo, e nemmeno di una serie di racconti. Chiamerei questo insieme di paragrafi “una serie di riflessioni”, articolate da un unico filo conduttore: la bontà e lo spirito di sacrificio presenti in ogni donna.

 

Secondo l’autore, le donne possiedono innate capacità organizzative, spesso superiori a quelle dei maschi. Capacità che, unite alla tenacia e all’altruismo, fanno sì che le donne siano potenzialmente in grado di ricoprire ruoli professionalmente e socialmente ai vertici.

 

Poi c’è il dolore femminile, con cui l’autore, essendo un luminare dell’oncologia del seno, ha maturato una grande esperienza; esperienza che gli ha offerto spunto per numerose riflessioni sulle reazioni, spesso coraggiose, delle donne di fronte alla malattia.

 

Un libro indubbiamente ricco di elogi per le donne. Tuttavia, mai mi verrebbe voglia di promuoverne la lettura presso familiari, amici, parenti.

Prima di tutto, perché ho la sensazione che “ne manchi un pezzo”. Nel senso che il titolo promette di sviluppare il tema del “dolore delle donne”, quindi mi aspettavo che per “dolore” si intendesse la sofferenza, spesso legata all’amore, intesa come “delusione” o “sconforto”: le donne amano, ma spesso vengono ingannate, tradite, deluse. Nulla di ciò: qui si parla solo della sofferenza fisica. Come se non si potesse scoppiare di salute fino a quasi mezzo secolo e ugualmente soffrire come cani.

 

Poi l’argomento “opportunità”. Meravigliose le teorie dell’autore sulla bontà innata (che addirittura dipende da fattori ormonali e fisiologici), la quale, unita a indiscusse capacità organizzativo-scientifiche fa di loro potenziali luminari della medicina (la generosità fa sì che la donna sia addirittura predisposta alla cura del malato) e della ricerca scientifica.

Avremmo, secondo l’autore, una società migliore se fossimo governati da donne. Ma quante belle scoperte. Peccato che la società, ad oggi, e chissà ancora per quanto, sia maschilista.

Quindi è bellissimo sentirsi dire che le donne amano, quindi mettono al mondo figli e se ne occupano amorevolmente, ancora più bello è sentirsi dire che una donna è in grado di seguire la crescita della prole e, in contemporanea, affermarsi professionalmente. Sarebbe vero se fosse disponibile uno straccio di aiuto. Nel senso che, soprattutto nel lavoro, nulla viene da sé. Non si fa carriera lavorando part-time, al contrario, ad un lavoro ben fatto va dedicato tempo. Non ci fermiamo in ufficio oltre l’orario, perché siamo così brave che diventeremo un manager senza che vi sia la necessità di dedicare al nostro lavoro un solo minuto in più da quanto imposto dal contratto? Oppure non abbiamo particolari ambizioni, l’importante è portare a casa il pane, il nostro lavoro di segretaria basta e avanza? Perfetto, difficile comunque trovare un ufficio da poter lasciare prima delle 18.00. Peccato che le scuole chiudano alle 16.30. È un bel mistero capire come risolvere lo sciocco problema di ritirare i figli da scuola in tempo utile.

Per non parlare di compiti come l’approvvigionamento, la pulizia della casa, la preparazione dei pasti. I mariti, se non parliamo di fondamentalisti islamici, sono sicuramente favorevoli al fatto che la moglie lavori fuori casa. Ci mancherebbe altro, figuriamoci se sputano sopra ad uno stipendio in più, con i tempi che corrono. Ma lungi da loro l’idea di sollevarle dalla gestione della casa e dei figli.

Quindi: chi va a parlare con gli insegnanti dei figli? Chi fa la spesa? Chi lava e stira il bucato? Chi prepara da mangiare? Chi pulisce la casa? Chi organizza la baby-sitter per assicurarsi che i figli trovino qualcuno che li aspetta all’uscita della scuola e li accompagni a casa sani e salvi? Risposta per ognuna di queste domande: la mamma. Con tutto questo carico di doveri, la mamma potrà mai fare carriera, o è già un miracolo se riesce a conservare un lavoro da impiegata?

 

Ma quello che più mi ha sconcertata in questa lettura sono alcune frasi, buttate qua e là, che rasentano il fanatismo.

Tipo: “Nulla e nessuno può fermare la determinazione di una donna che agisce spinta dalla religione dell’amore”. Aiuto. A tutto c’è un limite. Scrivi ciò che vuoi sulla capacità di amare delle donne, ma non chiamarla “religione”, ti prego. Perché leggendo ciò, dimentico che sei un luminare della chirurgia, della ricerca contro i tumori, che sei stato Ministro della Sanità e senatore, e mi sembri un fanatico. Al punto che, qualora avessi necessità di operarmi, farei di tutto per evitare il tuo prestigioso bisturi perché mi fai paura.

 

Oppure: “Per molte donne cucinare è relax, è creatività e, per tutti, mangiare, oltre che la soddisfazione di un bisogno, è anche un momento di allegria, a volte di gioia pura: perché incupire allora questa serenità, questo momento conviviale, gettandovi sopra l’ombra della sofferenza degli animali?”

Altro che fanatismo. Qui siamo alla follia. Trovo pazzesco disquisire in questo modo sull’alimentazione onnivora piuttosto che vegetariana  È questo il famoso, sottile confine tra genio e follia? Quindi ogni grande scienziato deve necessariamente essere anche un po’ matto? Oppure, semplicemente, il nostro fenomenale autore, classe 1925, semplicemente risente, come ogni comune mortale, del passare degli anni?


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