Premetto che sono sicuro che questo articolo farà girare gli zebedei a un po’ di gente. Ma, in fondo, chissenefrega! Uomo avvisato, mezzo salvato. No?
Qualche giorno fa, un posto di Alfonzo Zarbo (scrittore, mio caro amico su Facebook) mi ha richiamato alla mente una riflessione fatta un po’ di tempo fa e su cui mi ero ripromesso di scrivere un articolo sul blog. Si tratta dello scottante tema dei cosiddetti EAP (Editori A Pagamento). Wikipedia lo spiega meglio di me, in ogni caso, si tratta di quegli editori che chiedono un contributo agli scrittori per potere pubblicare un romanzo. Per lo più si tratta di piccolissimi editori che pubblicano a malapena cinque/dieci titoli all’anno e tirano a campare pubblicando a volte opere degne di nota, poi ci sono colossi che fatturano praticamente quanto la Mondadori – non voglio fare nomi, per non perdere il Filo del discorso – e che affondano le mani nel borsellino di poveri (mica tanto) fessi disposti a sborsare anche 10.000 (avete letto bene DIECIMILA) euro, pur di vedere pubblicato il proprio capolavoro (io stesso sono stato contattato da un editore tra le righe che mi aveva chiesto un esborso di 4.000€ circa per pubblicare con loro). Io resto dell’idea che una persona sia libera di fare col proprio denaro ciò che più gli aggrada, io preferisco spenderlo in altra maniera. Non voglio entrare nel merito, chiedendomi se sia giusto o sbagliato, francamente me ne infischio.
Il punto è un altro.
In Rete si trovano dei gruppi di persone che con fervore combattono l’editoria a pagamento, sotto il vessillo di Writer’s dream. Proposito nobile, senonché poi si scopre che queste stesse persone sono in contatto con talune case editrici (tra quelle buone, si intende!) e che si fanno pagare per servizi di valutazione manoscritti, editing, correzione bozze e quant’altro. Che sia tutta una grande operazione di marketing volta a crearsi un nome sfruttando un tema che sta molto a cuore agli scrittori? Non lo so. Però, voglio avere il beneficio del dubbio. L’impeto e l’accanimento mostrato in talune occasioni, per quanto manifestasse una certa buonafede, mi ha sempre fatto storcere un po’ il naso. Non ho mai apprezzato chi prova a farsi ragione alzando la voce.
Intendiamoci, io non ho nulla contro Writer’s Dream, anzi, penso che abbiano svolto un ruolo fondamentale per mettere in luce una pratica che ritengo obbrobriosa, soprattutto quanto perpetrata con l’unico intento di fregare un mucchio di soldi a dei malcapitati. Lasciare che certe cose continuino in silenzio, sarebbe solo inutile codardia.
Eppure c’è dell’altro.
L’editoria italiana è malata.
La causa di questa malattia è il continuo tentativo da parte di molti degli operatori del settore di defraudare chi rappresenta la linfa vitale di questa creatura: gli scrittori.
Purtroppo, credo che ci sia una scarsa consapevolezza da parte degli scrittori del loro ruolo nel sistema. Dovrebbero essere editori e agenzie a essere al sevizio degli scrittori, non viceversa.
Il problema non sono solo le case editrici che cercano di fregare gli sprovveduti scrittori, ci sono anche agenzie letterarie e agenti che chiedono una quantità spropositata di denaro, mettendo completamente sulle spalle dei clienti il rischio d’impresa. Perché tanto rumore per gli editori e questo silenzio sulle agenzie? Non riesco a comprenderlo, oppure lo comprendo e voglio ascoltare cosa avete da dire. Sono stanco di chi indossa l’armatura sfavillante del paladino della giustizia e poi cura soltanto il proprio orticello (di Pangloss ne è pieno il mondo, purtroppo!). Gli il lavoro dell’agente letterario consiste nella ricerca di opere da proporre agli editori e nella gestione degli interessi dello scrittore nel rapporto con quegli editori. Un agente che si fa pagare per valutare un dattiloscritto è come un panettiere che chiede al cliente di impastarsi da solo il pane. O una casa discografica che chiede a una band di pagarsi da sola lo studio di registrazione (e ce ne sono!).
Se dobbiamo gettare una luce sul mondo dell’editoria, allora non ci devono essere coni d’ombra, perché non ha senso sollevare un polverone soltanto per nascondere meglio qualcos’altro.
Pare, infatti, che ci siano case editrice (tra quelle non a pagamento) che chiedono diverse centinaia di euro per l’editing o per la correzione delle bozze o per la realizzazione della copertina o cercano di spillare denaro per la promozione e l’elenco potrebbe essere allungato ancora.
Molti diranno che la crisi economica si è abbattuta anche sul mercato editoriale e che in Italia si legge poco, quindi il sistema non riesce a sostentarsi, per via della discrasia tra libri stampati e libri venduti. Leggendo i dati della AIE (Associazione Italiana Editori) ci si può chiarire maggiormente le idee e comprendere che le cose non stanno esattamente così. Io credo che il problema risieda piuttosto in un sistema che non ha saputo rinnovarsi e che è schiacciato da interessi forti di pochi gruppi editoriali che fagocitano il mercato asfissiando i piccoli editori che – incapaci di stare al passo con i nuovi strumenti messi a disposizione dalla tecnica – annaspano e affogano in mezzo al tumulto della tempesta.
Allora ben vengano iniziative come Librinnovando o altre analoghe, che cercano di esplorare il vasto ventaglio di possibilità messe a disposizione degli autori che vogliono puntare sulle nuove tecnologie.
Il mestiere dello scrittore non è facile in nessuna parte del mondo, meno che meno in Italia, dove tutto il mercato del lavoro soffre di problematiche che sono sistemiche (lavoro nero, clientelismo, raccomandazioni, precariato) che coinvolgono anche l’editoria. Allora, il problema non è se l’editore è a pagamento o meno. A me interessa conoscere il sistema di qualità della selezione delle opere, il livello di qualità dell’editing e dei servizi di post-produzione dell’opera, le competenze dell’editore nel campo della comunicazione e della pubblicità e delle pubbliche relazioni, la capacitò dell’editore di sapersi adattare ai cambiamenti del mercato, sfruttando gli strumenti che sono messi a sua disposizione, l’estensione del sistema distributivo e molto altro.
Guardare al problema con ingenuità non aiuta a migliorare il sistema, contribuisce soltanto a fare cattiva informazione. Il dibattito è aperto. Sono curioso di sapere quanti sputi in faccia prenderò.
Scusate se sono stato prolisso, ma mi dovevo sfogare su questa cosa!