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Della leggerezza perduta

Da Distesa
Nel 2012, in Non è il vino dell'enologo, scrivevo: "Scopro che l'autentico vignaiolo è un equilibrista. Ama il rischio. Cammina sul crinale che separa la grandezza dalla perdizione. Sempre in bilico. Sospeso."
Al netto dell'iperbole letteraria, è proprio così.
Me ne rendo conto in questa fase di esaurimento fisico e psichico, in cui viene da chiedersi "per quanto tempo ancora?" e "Ne vale davvero la pena?"... Oppure alla fine è soltanto vino, soltanto un passatempo. E chissenefrega di tutta questa attenzione, questa etica, questo rigore, questa assolutezza. Che se ci devi rimettere in salute forse davvero allora qualcosa non torna in questa tensione irrequieta che fa parte di te e che vuoi sentire nei sorsi del tuo vino e nella terra che cammini.
Dov'è finita quella leggerezza che avevi un tempo?
Quell'ironia un po' nera e un po' no che ti faceva divertire?
Perché questo essere sempre in guerra, questo scontro quotidiano col mondo e con gli altri?
Che poi ti volti e non vedi tutto questo gran plotone di compagni a coprirti le spalle, a marciare con te verso le magnifiche sorti e progressive del vino naturale. Del vino-e-basta, in realtà.
Quindi una pausa.
Perché sono quasi sedici anni che si corre a perdifiato e oramai già tre o quattro le vite vissute, che potrebbe bastare e avanzare. Ma in realtà non basta mai, questo è il problema di fondo.
Staccare la spina, come si dice. Fare un gran respiro e abbandonare ogni connessione.
Al ritorno si vedrà cosa fare, se fare. Con chi fare.
Auguri di buone feste a tutti.

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