Hosni Mubarak è stato considerato per molti decenni un leader moderato del mondo arabo, un buon amico dell’Occidente che senza troppe licenze regnava, per nostra fortuna, sull’enorme polveriera egiziana. Nessun quotidiano di qualche importanza, in Italia e all’estero, lo designava col nome di “dittatore”. La cosa sarebbe apparsa perfino bizzarra. I media trasmettevano un’immagine paciosa, paternalistica e “laica” dell’autocrate. Poi venne la primavera araba e la rivoluzione, che fu un fenomeno strettissimamente urbano, anzi, si può dire, di una sola grande città, se non di una sola grande piazza. Assolutamente niente di nuovo. I protagonisti più sinceri di quella rivolta facevano parte di un’élite occidentalizzata e “connessa”. In un certo senso, erano i figli più viziati dell’epoca del rais. Come spesso accade, sono le avanguardie ingenuamente “liberali” ad aprire la strada alla rivoluzione che le divorerà. Ma quei ragazzi sono abbastanza perdonabili. Quello che non è perdonabile è l’incredibile frivolezza con la quale l’Occidente ha sposato acriticamente la causa della piazza, accelerando il processo rivoluzionario. Tra i peggiori di tutti, alcune penne nostrane notoriamente circospette, dei voltagabbana da salotto che nei loro editoriali cominciarono ad aggiungere, con dissimulata naturalezza, la qualifica di “dittatore” al vecchio Mubarak caduto nella polvere. Ora, finalmente, sono giunti i risultati ufficiali delle prime elezioni “veramente libere e democratiche”: Giustizia e Libertà, il partito dei Fratelli Musulmani ha conquistato il 47% dei seggi della nuova assemblea popolare; a fargli buona compagnia, Al Nour, il partito dei Salafiti, musulmani ultraconservatori con il 24% dei seggi; il primo dei partiti “laici” il Wafd, prende il 9%; il secondo, la coalizione del Blocco Egiziano, prende il 6%.
Questo risultando rotondo e abbastanza agghiacciante deve molto anche al contributo entusiastico dei leader europei e del presidente americano Obama, tutti smaniosi di legittimarsi presso le nuove avanguardie democratiche dell’ex terzo mondo, nell’illusione di poterle poi controllare. In realtà questa mancata presenza di spirito, e di intelligenza, è frutto dell’intrinseca debolezza dell’Occidente, che invita ad illudersi ed a fare i furbi. Berlusconi, il “pagliaccio” in mezzo a tanti statisti più o meno sobriamente à la page, aveva pienamente ragione quando nei giorni della rivolta avvertiva che le centinaia di migliaia di manifestanti di piazza Tahrir non rappresentavano gli ottanta milioni di abitanti dell’Egitto. C’è sempre, in ogni paese, una maggioranza silenziosa naturalmente conservatrice, ostile agli eccessi ed agli integralismi. Con l’affrettata caduta del “regime” di Mubarak, che a suo modo la proteggeva, e la controllava, è stato spazzato via ogni ostacolo all’imporsi delle organizzazioni islamiche. Una maggioranza silenziosa è diventata una maggioranza impaurita, in cerca di un padrone. Il risultato della rivoluzione democratica è un simulacro di democrazia, fondato sulla paura. Prossimamente un parlamento a schiacciante maggioranza islamica eleggerà un consiglio di cento membri incaricato di redigere una nuova costituzione. E vedremo allora, se dopo la sostanza, saranno le forme della democrazia a saltare. Intanto i “nuovi” militari al potere, che pensavano opportunisticamente di riciclarsi nella stagione rivoluzionaria grazie alla consegna del capro espiatorio Mubarak, si rivelano anche più letali dei “vecchi” nei confronti dei manifestanti che, con tragica ingenuità, protestano contro una rivoluzione “tradita e incompiuta”. E non si accorgono, i primi e i secondi, che combattendosi gli uni con gli altri stanno azzerando ogni opposizione al nuovo ordine islamico. A parziale consolazione, c’è tuttavia da dire che, legittimandosi nella democrazia, anche in Egitto l’islamismo politico ha accettato un elemento culturale universalistico, occidentale e in senso lato cristiano, che nel lungo o lunghissimo periodo lo distruggerà.
[pubblicato su Giornalettismo.com]
Filed under: Esteri, Giornalettismo Tagged: Democrazia, Egitto, Primavera araba