Le elezioni in Finlandia sono il migliore indizio di come la democrazia stia lentamente abbandonando il continente europeo e di come crisi e stagnazione possano essere utilizzati per confermare ricette e teoremi che le hanno innescate. La formula non è molto lontana da quella utilizzata altrove, Italia compresa, dove ormai si giubilano i membri delle commissioni che non sono d’accordo: quando si avverte la stanchezza dell’opinione pubblica nascono miracolosamente personaggi destinati ad incarnare un “nuovo” di cartapesta, la fiction del cambiamento.
Così nel week end scorso il vincitore delle elezioni politiche in Finlandia è stato tale Juha Sipilä a capo del Partito di centro che nel 2011 aveva perso disastrosamente essendo stato il principale donatore di sangue della formazione di estrema destra Veri Finlandesi. Ma chi è questo Sipilä che è riuscito a sconfiggere i conservatori di Katainen, oggi vicepresidente della commissione Ue? Bene è una sorta di magnate locale, divenuto ricco dopo aver venduto agli americani un’azienda nata attorno al miracolo Nokia di cui era azionista e Ad. Dopo di allora è stato a capo di altre imprese non brillantissime, tutt’altro, tanto da essersi trovato a svendere, sempre a multinazionali Usa, il lavoro fatto sul WiMax. Tuttavia è rimasto una delle figure simboliche di quel periodo, lontano ricordo disperso in un lento calvario di perdite di posizione, di chiusure di aziende e di licenziamenti.
Ora Sipilä non si era mai interessato di politica, ma nel 2011 entra dall’oggi al domani nel partito di centro in una stagione nella quale estrema destra, ma anche forze di sinistra minacciano di rendere la vita dura al conservatorismo locale esploso nei favolosi anni ’90. Viene subito eletto con circa 5000 voti (la Finlandia ha poco più di 5 milioni di abitanti) e l’anno dopo è già presidente del partito. Insomma diviene l’alternativa di stampo conservatore ai conservatori insidiati dalla crisi economica, dalle defezioni in seno alla maggioranza e dal malumore popolare per la disoccupazione al 13% e la perdita di tutele.
I casi di personaggi che emergono improvvisamente alla ribalta politica dal nulla, oppure da palcoscenici del tutto diversi e in pochi anni divengono padroni di partiti di lunga storia, ormai non è raro e appare funzionale alla necessità di cambiare le facce, man mano che le politiche mostrano la corda. Personaggi di sostituzione, destinati a promuovere la continuità di politiche austeritarie e/o di regressione sociale grazie alla loro apparente “novità” sono una strategia che nel breve termine si rivela efficace e può anche essere rinnovata. Naturalmente non c’è da pensare a un grande vecchio che tira i fili e manovra ogni disegno: quando i poteri che guidano il continente sentono puzza di bruciato, si danno da fare con una sinergia naturale corrispondente al proprio interesse. Un banca, tanto per fare un esempio che non riguarda il Paese scandinavo, può organizzare un convegno nella città dove opera il piccolo politico segnalato come adatto allo scopo, al convegno viene invitato, con ricco cachet, un personaggio di fama politica che gli fornisce l’investitura adatta, mettiamo il caso, tanto per non vagare nell’astratto, che sia Tony Blair il quale prima di allora non aveva cognizione alcuna dell’esistenza dello scalpitante guappo politico, ma la cui capacità gli viene assicurata da questo o da quell istituto finanziario e magari anche da qualche ministro. Così il misirizzi di provincia che apparentemente milita all’opposizione, balza alle cronache nazionali, acquista credibilità, raccoglie montagne di soldi per la scalata del partito di riferimento, promette, minaccia e diventa in poco tempo l’uomo nuovo. Pronto a fare della propria novità il lasciapassare per il vecchio, con seguito di giornalisti, intellettuali di corte, grancasse assortite.
Ora che senso ha chiedersi cosa cambierà con una Finlandia non più direttamente governata dal partito di Katainen, ma da uno che sulla carta dovrebbe essere più moderato? Non cambierà nulla perché il tycoon formato finlandese è lì per fare politiche, secondo le sue stesse parole, di “tagli e riforme”: ovvero proprio ciò che l’elettorato ha sostanzialmente bocciato, può riperpetuarsi identico a prima grazie a una faccia diversa. La Finlandia non cambia come ritualmente scrivono i giornali : solo che i disastri provocati dall’austerità negli ultimi anni vanno portati avanti con un nuovo banditore il quale per prima cosa si è lamentato della lentezza nel massacro del welfare. Mantenendo i vecchi protagonisti c’era il pericolo che il Paese si mettesse su una rotta di collisione con Bruxelles o quanto meno adottasse posizioni più critiche e meno oltranziste in fatto di liberismo e di ricette fallimentari. Pericolo scampato.