Toglietevi dalla testa Dostoevskij e lasciate perdere il Balrog del Signore degli anelli.
Qui il demone in questione cammina fra spacciatori e uomini che indossano intimo femminile e si fingono donne nella realtà virtuale.
In questo mondo, il demone cammina fianco a fianco al suo padrone, un ex seminarista che vive da più di cent'anni, non invecchia, e usa il il suo compagno infernale per vincere partite truccate a biliardo.
È la prima volta che leggo qualcosa di Moore, e devo dire che lo stile e i contenuti sono decisamente originali. L'incontro di situazioni e personaggi che ci propone è assurdo, ma funziona. L'autore riesce a mantenere il contatto con il lettore senza che a quest'ultimo passi per la testa che stia un po' esagerando e si rompa quel sottilissimo legame che tiene unite realtà e verosimiglianza.
Entriamo nello specifico:
Travis, il suddetto seminarista, nato nel 1900, diventa padrone del Demone ancestrale Catch che gli donerà eterna giovinezza, ma in compenso ogni tanto divorerà qualche essere umano. Da buon cattolico (e quasi prete), in preda ai sensi di colpa, Travis passa il resto della sua vita a cercare una donna che possiede l'unico modo per liberarsi del demone e farlo tornare negli inferi. E qui entra in gioco Pine Cove, ridente (ma non troppo) cittadina della California, con la sua popolazione varia e avariata che entrerà a far parte della storia o entrerà a far parte del menù del demone. In più, per concimare un po' il terreno fertile di questo romanzo, si aggiunga un genio generato nell'alba dei tempi da un Dio chiamato Geova che, a suo dire, ha creato la Terra solo per fare un dispetto a Satana. Tutto qui?
Ebbene no, perché ci aspettano anche storie d'amore, tradimenti, droga, bruschette all'aglio ed esorcismi proclamati a doppia velocità con un registratore. I personaggi raccontati sono bellissimi, originali e soprattutto ben definiti: sanno cosa vogliono, sanno dove vanno e risultano anche simpatici.
Ho un unico appunto da fare a questo consigliatissimo libro, ovvero le ultime pagine. Più mi avvicinavo alla conclusione e più speravo che il finale restasse aperto e non ci fosse una risoluzione completa del conflitto che si era creato. Purtroppo la storia, che come una corsa si dipana fra colpi di scena e affini, finisce sbrigativamente e sparpaglia i tanto amati protagonisti di qua e di là nel mondo. Come uno di quei film dove le schermate finali sono delle fotografie stoppate sui personaggi e sottotitoli esplicativi che ti raccontano in due righe il resto delle loro vite.
Leggendo “Demoni. Istruzioni per l'uso” mi è venuto in mente un altro autore che ha utilizzato, come modalità di racconto, il fantastico o il sovrannaturale per raccontarci invece qualcosa di molto vicino alla realtà che ci circonda.
Per essere preciso, direi che l'autore Christopher Moore è un Palahniuk più goliardico e meno pulp, dove il tentativo di strappare una risata è più forte dell'analisi di una qualche perversione umana.
Si badi bene a non fraintendermi perché non sto screditando nessuno dei due autori, anzi apprezzo le diverse strade che si possono prendere partendo da uno stesso punto. Ritengo, in più, che raccontare il mondo quotidiano e le sue sfaccettature attraverso il canale dell'irreale sia molto difficile perché il rischio vero è di dettare nuove leggi fisiche o convenzioni e di doverle seguire (pena la perdita di coerenza) sconvolgendo il mondo in cui si va a raccontare la storia. In questo modo si allontana il lettore e si perde il punto di partenza.
Banalmente, se voglio parlare del disagio di un tossicodipendente e decido di utilizzare un fantasma come punto di vista dovrò stare molto attento alla piega che faccio prendere al romanzo.
Ma a quanto pare non è il caso di Moore, che riesce a destreggiarsi molto bene in questo libro.
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