Magazine Psicologia
Ma esattamente che cosa vuol dire "Insegnare a Parlare"?
Nella pratica quotidiana si traduce nel dover correggere fonemi articolati in maniera sbagliata, o nel dover costruire dalle basi la capacità di Denominare il Mondo.
Quando arriva alla nostra cura un bambino che non è in grado di parlare o a un linguaggio incomprensibile, il nostro ruolo non è solo di renderlo in grado di poter articolare correttamente una parola o una frase, ma quello di renderlo capace di esprimersi. Di esprimere non solo bisogni immediati (come per esempio: "ho fame, ho sete, mi fa male la pancia," ecc.), ma ancor di più di renderlo abile a narrare i propri stati d'animo!
A tutti è capitato di sentire queste parole almeno una volta: "A scuola, le insegnanti mi dicono, che a volte è molto fisico, strappa di mano i giochi ai bambini..." o " Quando non riesce a fare qualcosa si arrabbia, distrugge tutto, si mette a piangere...". Qual'è il significato di questa corporalità? Dell'arrabbiarsi e del mettersi a piangere? Spesso è la mancanza di parole, l'incapacità di denominare quella particolare situazione, quel particolare stato d'animo, quel desiderio di giocare con te o di dire: "Non ci riesco".E non è una condizione che sperimentano solo i bambini, è una condizione che permea tutta la nostra vita. Quanto spesso, anche da adulti, ci troviamo frustati, tristi, demoralizzati e non siamo in grado di trovare una sola parola per spiegare quello stato d'animo? Non abbiamo le parole. Non siamo in grado di denominare la causa di tanto abbattimento!
"L'abbondanza, la ricchezza delle parole è dunque una condizione del dominio sul reale," dice Zagrebelsky (parlando di democrazia, ma è tanto vero nella vita di tutti i giorni) e non solo: "...il rapporto fra ricchezza delle parole e ricchezza delle possibilità è dimostrato anche dalla ricerca scientifica, medica e criminologica: i ragazzi più violenti possiedono strumenti linguistici scarsi e inefficaci, sul piano del lessico, della grammatica e della sintassi. (....) Non sanno sentire, non sanno nominare le proprie emozioni. Spesso non sanno raccontare storie(...) una carenza che può produrre conseguenze tragiche (...) quando è indispensabile raccontare, descrivere, dare ragioni, della successione, della dinamica di una evento.(...) e più di tutte proprio le parole che dicono la paura, la fragilità la differenza, la tristezza; quando manca la capacità di nominare le cose e le emozioni, manca un meccanismo fondamentale di controllo sulla realtà e su se stessi.".
Il nostro compito a LogoPaideia non si riduce quindi al correggere la pronuncia, ma è sopratutto dare uno strumento potente per far sì che coloro di cui ci prendiamo cura abbiano la possibilità di controllare la realtà e se stessi. Abbiano la capacità di nominare le proprie emozioni e non solo di sentirle; abbiano gli strumenti linguistici lessicali, grammaticali e sintattici per raccontare il mondo e se stessi.
Adriana De Filippis sintetizza così il suo metodo: "Oralismo cognitivo è rivestire un concetto di parole e farlo entrare nel nostro universo cognitivo in maniera indelebile": è proprio questo che ci dà la possibilità di rendere reale il mondo. Denominare quell'oggetto lo fa esistere e se esiste possiamo comunicarlo ed esprimerlo. Ed esprimendolo e comunicandolo controlliamo la realtà e noi stessi.
Quindi, mi piace pensare che il nostro compito non è "insegnare a parlare", ma insegnare a Denominare il Mondo, il mondo esteriore, ma ancora di più quello interiore. Il nostro compito è di rendere le parole reali, perchè possano essere pensate e modellate e comunicate e diventino uno strumento forte e concreto per stare adeguatamente nel mondo.
Viviana Gaglione
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