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Dentro la tromba d'aria

Creato il 01 agosto 2010 da Barbaragreggio
Dentro la tromba d'aria Dentro la tromba d'aria Venerdì 23 luglio 2010, ore 17.10. Dentro la notizia. La natura ci avvisa dei suoi cattivi umori, lanciando segnali che solo poi riconosciamo come cattivi presagi. Così è accaduto un pomeriggio di luglio, un venerdì di mezza estate, che il cielo ha scagliato la sua furia contro Abano Terme e Montegrotto Terme, il più grande bacino termale d'Europa. Percorrendo i viali che si diramano lungo il cuore della zona pedonale, qualche manciata di minuti prima delle 17.00, si respirava l'aria surreale e tetra di una città fantasma. Nessuna traccia di turisti, né di mamme a passeggio con i bambini. Dai sanpietrini della pavimentazione si alzava una polvere sottile, fatta di particelle impure e fogliame, sospinta in vortici bassi e lunghi da un vento autunnale. Il brivido lungo la schiena, alla vista dell'insolita desolazione, sarebbe poi divenuto sinonimo di cattivo presagio. Avviso silenzioso eppure netto di una catasfrofe che di lì a breve si sarebbe abbattuta su un territorio noto in tutto il mondo per il relax e la tranquillità. Le strade pullulavano di automobili, inconsapevoli vittime privilegiate di un cielo infuriato e senza pietà. Nel tratto che collega Abano Terme a Montegrotto Terme il vento si era fatto più intenso, corposo nel suo grigiore, aumentato da una cappa d'afa che toglieva il fiato e mozzava i respiri in gola. Il Corso delle Terme, dritto e fiero nel suo ghirigori di parcheggi e rientranze pedonali, appariva largo e sicuro. Massiccio, indistruttibile, una di quelle strade su cui si guida con piacere, perché spaziosa, di buona visibilità. Sul fondo si intravedeva la rotatoria, delimitata su un lato dalla pista ciclabile, le fronde dei pini marittimi rilasciavano piccoli aghi marroni, rinsecchiti dalla calura dei giorni precedenti. Un mantello che s'infilava tra le ruote e si faceva spesso in prossimità dei tombini. La croce luminescente della farmacia rilasciava un alone artificiale sul marciapiede, illuminando un quadrato compreso tra una pachina e il tronco solido di un vecchio albero. Aveva iniziato a scendere una pioggia sottile, calda e polverosa. Dal cielo cadeva una luce scura, rischiarata soltanto dai lampioni arancioni, che, freddi, stentavano ad accendersi. L'aria soffiava in orizzontale, lungo la linea di mezzeria. Un gruppo di ragazzi accatastava le biciclette contro la colonna di marmo di fronte alla gelateria, senza lucchetti né troppi pensieri. Tutti dentro, oltre la vetrina, stretti accanto al frigo dei gelati. Una coppetta all'amarena, un cono alla fragola, un paio di frullati e un frappé. Scanzonati e ribelli, quei ragazzi. Le cinture pendevano verso il basso, oscillando in maniera innaturale, poco oltre, davanti ad un negozio di pelletteria. E poi alcune agenzie, una parrucchiera, un bar. Un tratto come tanti, di un paese curato e attento. Una località turistica nel mezzo della stagione. D'improvviso la pioggia svanì, non si vedevano più le strisce verticali d'acqua, sottili e leggermente inclinate verso destra. Tutto si era fatto fumo, vapore e polvere, nero e marrone. Dal cielo cadevano i coppi di un tetto, a centinaia la volta, uno sull'altro in un volo inusuale, violento e veloce. La copertura trasparente di un passaggio pedonale cadde a terra, frantumata in migliaia di aghi taglienti. L'asfalto si tinse di rosso, una distesa frastagliata e massiccia di tegole, un fiume di sangue edilizio, rivoli di pioggia tra i cocci, vetri e fronde ovunque. Due lucernai si erano staccati dai tetti e volteggiavano nel vuoto, in una caduta pesante e rovinosa. Uno finì la sua corsa sul cruscotto di un'auto - quella di chi scrive - l'altro s'incagliò nel ferro di un terrazzo prima di sventrare una finestra e andare a sbattere nell'angolo ammobiliato di un soggiorno. Oltre il Corso, alberi abbattuti, auto incastrate tra i rami, una gru piegata su se stessa, accasciata sul fianco di un hotel poco lontano. Pini marittimi secolari sradicati e sposatati in diagonale di alcuni metri, gente ammassata sotto i portici, nascosta dietro le vetrine bagnate dei negozi. E ancora esercizi pubblici squarciati nelle loro facciate, il plesso comunale danneggiato, ombrelloni e sdraio fatti volteggiare fino a schiantarsi a terra, dopo lunghi voli all'interno degli stabilimenti termali. Cinque minuti di terrore, manciate di secondi senza tempo né misura che hanno segnato uomini e città. Il nulla nella testa, il vuoto nel cuore. Solo il rumore incessante della tromba d'aria, il vorticare scomposto dei coppi, l'aggirarsi famelico del vento e il battito irregolare nel petto delle tante persone disseminate lungo la traiettoria della furia. Fino al silenzio assoluto. Un secondo lunghissimo durante il quale cercare di comprendere cosa fosse davvero accaduto, se fosse stata realtà o incubo. Era tutto reale. Indiscutibilmente reale. Un secondo e poi tutti in strada, a fare la conta dei danni, a sincerarsi che nessuno si fosse ferito. Tutti uniti, a farsi coraggio, pacche sulle spalle, occhi increduli eppure gentili, parole di conforto a chi aveva perso il tetto di casa, a chi non aveva più un balcone o a chi piangeva, bambini e donne in gravidanza, anziani e ragazzi. Poi subito in azione, via le lacrime, scope in mano a spazzare la strada, a fare largo ai soccorsi, le sirene spiegate delle ambulanze, i vigili del fuoco, la protezione civile, la polizia municipale. Nessuno a guardare, tutti ad agire. Estranei che si ammassavano attorno alle auto schiacciate dagli alberi, a dare aiuto a chi stava dentro. Donne che consolavano bambini, loro e non. Cinque minuti d'inferno e poi di nuovo la vita. E' passata una settimana da quel pomeriggio, ed è già tornata la normalità. Non ci sono alberi sulle strade, cocci ammassati agli angoli dei marciapiedi, gente che si lamenta e aspetta. Ci sono le gru accanto ai palazzi danneggiati, i tronchi segati e composti dei pini marittimi, le strisce bianche e rosse accanto alle vetrine colpite. E tanta gente che si adopera perché i turisti - e la cittadinanza tutta - non risenta in alcun modo di quanto accaduto. E' stato qui il capo della Protezione Civile - Guido Bertolaso - che, guardandosi attorno 48 ore dopo la tromba d'aria, ha affermato "Non ho trovato nessuno seduto sugli scalini a piangere, ma già al mio arrivo qui tutto era in movimento, hotel aperti e ricettivi, uomini e donne impegnati nella ricostruzione." "Grazie a tutti per quello che state facendo!" ha fatto scrivere il sindaco di Montegrotto Terme, Luca Claudio, sui cartelli luminosi disseminati lungo il territorio comunale. Perché la differenza - in situazioni di emergenza - la fanno gli uomini e non i politicanti. E qui, ad Abano e Montegrotto, per una settimana ci sono stati tanti uomini volenterosi, uguali e uniti, sia che si trattasse di sindaci, operai, albergatori o impiegati. La tromba d'aria ha piegato alberi, tetti e gru, ma non lo spirito e la dignità delle persone. Barbara Greggio.

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