«Il magistrato di Cassazione Corrado Carnevale era amico di mio suocero, Gaetano Palaia, che si rivolgeva a lui per ottenere scarcerazioni».
È la rivelazione fatta oggi da Giuseppina Pesce, la pentita di 'ndrangheta che sta deponendo nell'aula del carcere di Rebibbia nel processo alla cosca Pesce. I contatti tra Palaia e Carnevale, secondo quanto ha riferito Giuseppina Pesce rispondendo alle domande del Pm, Alessandra Cerreti, sarebbero andati avanti fino al 2005.
«Dopo che Carnevale lasciò il suo incarico - ha detto la pentita - mio suocero rifiutò qualsiasi altra richiesta di intervento sostenendo che non poteva fare più niente perchè non aveva i contatti di prima con la Cassazione e questo rendeva impossibile qualsiasi tentativo ulteriore di intercessione».
Pronta la replica di Corrado Carnevale alle dichiarazioni di Giuseppina Pesce. «Non ho mai conosciuto nessun clan Pesce - ha detto Carnevale - nè alcuna persona che vi appartenga, nè tantomeno il signor Gaetano Palaia, e non mi occupo del settore penale della giustizia dal 1992, quando chiesi di essere trasferito al ramo civile. Nel 1999, poi, sono andato in pensione e sono stato riammesso in servizio solo nel giugno del 2007 con la legge speciale che porta il mio nome. Sono assolutamente tranquillo. Questo accuse non mi spaventano. Sono solo stupito che ancora si parli di me e che ci siano degli interrogatori nei quali qualcuno si interessa alla mia persona sollecitando fantasie».
La deposizione di Giuseppina Pesce è andata avanti per oltre otto ore. Una testimonianza che sta assumendo contorni clamorosi e che promette ulteriori sorprese, visto che la deposizione della collaboratrice andrà avanti fino a venerdì prossimo.
La pentita ha parlato anche dei contatti che la cosca Pesce avrebbe avuto con un funzionario del Dap per ottenere il trasferimento del padre, Salvatore, da un carcere del nord in Calabria. «Mi risulta - ha detto la pentita - che ci sono stati due diversi interessamenti col funzionario del Dap attraverso un avvocato di Milano ed un altro avvocato di Palmi, ma poi il trasferimento non è avvenuto».
Giuseppina Pesce non soltanto ha confermato l'esistenza della cosca Pesce, ma ne ha descritto l'organigramma ammettendo di avere partecipato direttamente alle attività del gruppo criminale. «Il mio compito, in particolare - ha detto - era quello di fare da tramite tra mio padre Salvatore, che era detenuto, e gli affiliati alla cosca che erano liberi, comunicando loro le sue direttive. Raccoglievo anche le disposizioni di mio fratello Francesco, anch'egli detenuto e le portavo all'esterno».
La pentita ha anche confermato le dichiarazioni rese in istruttoria circa i contatti dei Pesce con un sottufficiale dei carabinieri di Rosarno «grazie ai quali - ha detto - la cosca apprendeva in anticipo delle operazioni che erano in preparazione da parte delle forze dell'ordine contro il gruppo criminale prendendo le opportune contromisure. Insieme a mia madre, inoltre, raccoglievo i soldi delle estorsioni».
La pentita ha riferito che il capo della cosca «era e continua ad essere» Antonino Pesce, di 59 anni, e che «all'interno del gruppo esisteva un cassa comune che serviva per pagare gli avvocati e sostenere le famiglie degli affiliati detenuti».