La depressione è sempre stata largamente associata alla visione, in particolare alla percezione del colore. Ad esempio nella vita quotidiana, una tipica espressione per definirla (qui in Inghilterra) è “feeling blue”. Anche facendo riferimento all’arte il cosiddetto “periodo blu” di Picasso è coinciso con il suicidio del suo caro amico Carlos Casagemas, portandolo a creare dipinti sulle tonalità del blu scuro, legate alla profonda malinconia del momento.
Questa associazione depressione-colore è sempre stata solo metaforica, ma adesso è stata scoperta anche evidenza empirica a riguardo. La più recente è stata pubblicata sulla rivista Biological Psychology da un gruppo di ricercatori tedeschi, che dimostra come i soggetti depressi abbiano una ridotta sensibilità al contrasto cromatico, che li porta a percepire il mondo in maniera differente. Questa suggerisce addirittura la possibilità di diagnosticare il disturbo tramite la misurazione oggettiva dell’attività elettrica presente negli occhi dei soggetti. Si avete capito bene!
Contributi precedenti avevano già evidenziato l’esistenza di un legame fisiologico tra la depressione e la visione. E’ ad esempio noto che la Reserpina, farmaco prescritto per psicosi, ipertensione e depressione, provoca spesso eccessiva sensibilità alla luce. Altri ancora hanno dimostrato l’ipersensibilità alla luce in soggetti con Depressione Maggiore e la possibilità d’invertire il fenomeno con la somministrazione di anti-depressivi ad hoc, che causano cambiamenti nell’attività elettrica del cervello in risposta a stimoli visivi.
Circa un anno fa Tebartz Ludger Van Elst, neuropsichiatra dell’Università di Friburgo, ha rilevato che pazienti con Disturbo Depressivo Maggiore mostrano una ridotta sensibilità al contrasto cromatico; mentre un gruppo di ricercatori di Yale, sempre in questi soggetti, ha registrato un aumento della percezione del movimento. Gli esperimenti in esame non sono però riusciti a definire se questi fenomeni sono legati ad alterazioni della retina o a cambiamenti delle vie neurali utilizzate dall’informazione visiva.
Nel loro utlimo esperimento Van Elst e il suo gruppo hanno cercato di indagare, tramite l’utilizzo di metodi oggettivi e non descrizione di eventi coscienti autoriportati come nel caso del primo studio, proprio se i cambiamenti osservati nella sensibilità al contrasto sono dovuti ad alterazioni a livello oculare o cerebrale. Hanno selezionato 40 soggetti con diagnosi di Depressione Maggiore e 40 soggetti di controllo ai quali hanno presentato un’immagine in bianco e nero. I ricercatori hanno utilizzato l’elettroretinografia (PERG) per rappresentare l’attività delle cellule gangliari retiniche, coinvolte nel trattamento precoce degli stimoli visivi, i cui assoni formano il nervo ottico che porta l’informazione visiva la cervello.
Gli sperimentatori hanno cercato le differenze tra i due gruppi nel processo attraverso il quale le cellule retiniche si adattano alle variazione dell’intensità luminosa, in modo da massimizzare la quantità d’informazione percepita. I partecipanti con diagnosi depressiva hanno mostrato una significativa riduzione di sensibilità al contrasto rispetto al gruppo di controllo. Tale differenza si è presentata sia in soggetti sottoposti a trattamento farmacologico che non, anche se per questo secondo gruppo i punteggi sono stati leggermente migliori.
La riduzione della sensibilità è stata invece fortemente correlata con l’importanza della depressione: più grave era la depressione e minore è stata la percezione del contrasto. Non è stata invece osservata alcuna differenza tra pazienti che utilizzano inibitori selettivi della Serotonina, quali la Fluoxetina (Prozac) e coloro che assumono antidepressivi triciclici come l’Imipramina. Anche l’intensità del trattamento farmacologico non è risultata rilevante ai fini del compito.
Il dato, a mio parere, estremamente importante è che i ricercatori sono stati in grado di predire, con un accuratezza superiore al 90%, la diagnosi depressiva o meno del soggetto che avevano di fronte solo tramite le misurazioni elettroretinografiche.
Quello descritto rimane comunque uno studio pilota, i cui risultati necessitano di essere replicati, ciò non toglie però l’importante evidenza dell’alterazione nella percezione del contrasto visivo in soggetti depressi. Lo studio inoltre suggerisce che l’elettroretinografia può essere un utile strumento nel processo diagnostico della depressione. Non è ancora tuttavia chiaro se la riduzione del contrasto sia un marker specifico della depressione o meno, poiché lo stesso effetto potrebbe verificarsi anche in pazienti con altre patologie psichiatriche, come ad esempio la schizofrenia.
- Fonte: Neurophilosophy