Deriva #35 #derivaditwitter: Effetto comitiva

Da Bibolotty
Almeno fino agli anni ottanta andavano di gran moda le comitive. Gruppi di ragazzini dai tredici ai diciotto anni che si riunivano –dopo i compiti- per non fare altro se non del sano cazzeggio, e che i genitori guardavano con grande diffidenza: con la scusa di stare in gruppo si finiva spesso e volentieri a pomiciare sul sedile posteriore di un’auto (pericolosissima) o dietro il cespuglio dei giardinetti. Ora non so se non ne vedo più perché sono cresciuta io, o perché ci sono i social network, sta di fatto che non mi pare di vedere nugoli di giovani in gruppo girare chiassosi per la città. Allora ci dividevamo gli spazi per fascia di età, e non era difficile che ragazzi della comitiva dei “grandi”, che stava a tre metri da quella dei "piccoli", andassero a punzecchiare ginnasiali più alte o esuberanti dei loro coetanei creando faide che duravano anni. In centro, invece, “compagni” e “fasci” erano separati dalla strada più alla moda e da un modo di vestire inequivocabile. Ma per tutti i generi di comitive, il meccanismo d’ingresso era sempre lo stesso, molto simile a quello di un’iniziazione a una setta massonica. I “tipi” da comitiva erano anch’essi uguali per tutti. Il più bruttarello, che non rimorchiando mai era costretto a sorbirsi a turno i drammi d’amore di tutte le ragazzine con l’ormone impazzito, il figo, che ci provava sempre e spesso ci riusciva, la “zoccola” quella carinissima, che ogni volta faceva l’errore di fidarsi del più figo, e ci cascava, il “saggio” capo spirituale indiscusso che decideva, tramando nell’ombra, le sorti dei nuovi arrivati. Infine c’erano tutti gli altri, il gregge obbediente e belante.
Il solito detrattore si domanderà che nesso ci sia tra la vecchia comitiva analogica e la #derivaditwitter. Invece io credo che il meccanismo non cambi molto, parlo del livello di conoscenza superficiale che si instaura qui sui social, e che alla fine è basato su poche informazioni scambiate tra un “ciao” e un “a domani”. All’inizio, prima del Follow Back reciproco, è tutto uno scambio di DM e di bacini zuccherosi, di “ti lovvo” e di “sei impagabile” che arrivano a commuovere, poi, dopo un paio di settimane, tutto torna alla normalità, a sporadici “stellinamenti” e rarissimi Rt. Esattamente come in comitiva, che quando ci entravi, soprattutto se simpatica e caruccia, tutti ti stavano intorno e poi, tempo due settimane, non ti si filavano più. Ma è umana la gioia incontenibile che ci prende al cospetto di una novità, e che si tratti di un’auto, un nuovo cellulare o di un amore non cambia molto, dura il tempo di un attimo e niente di più. Certo, è ovvio, anche nelle comitive si cementavano amicizie, ma per lo più (confessiamolo) le abbiamo dimenticate sul lungomare di qualche luogo di villeggiatura, e nonostante lì per lì avessimo giurato eterno amore. La superficialità è un male dilagante nell’era dell’informazione. Ma è normale e fisiologico, almeno per me che credo con fermezza che contenuto e forma debbano andare a braccetto e che quindi, un social che ti costringe a una comunicazione limitata in centoquaranta caratteri, non ti lasci alcuna possibilità di scelta o di approfondimento. Ho incontrato spesso alcuni tuitteri fuori da qui, ma la cosa non è mai andata altre una conoscenza di superficie, forse perché io credo negli incontri “casuali”, nella magia del primo sguardo, nella scelta che si fa, tra tanti, di uno/a che ci colpisce per ragioni che nulla hanno a che fare con l’aspetto fisico o affinità culturali o musicali.
Nelle comitive ci sono le gelosie e così si Twitter. Che cosa possono fare un gruppo di adolescenti, che come massima preoccupazione hanno la versione mensile di greco e l’interrogazione settimanale, se non innamorarsi ogni giorno? Amori devastanti soltanto a parole e che durano al massimo un pugno di mesi, che si nutrono di gelosie e battibecchi, e che si concludono, in entrambi i casi, per l’arrivo di una novità, normalmente messa in una PIC con grandi tette o un’esplosiva intelligenza unita a sferzante sarcasmo e a un numero enorme di follouer. E il pettegolezzo?
In comitiva si arrivava a liti furibonde che sfociavano in vere e proprie zuffe e botte da orbi. La voce invisibile delle malelingue s’insinuava come un virus tra i componenti del gruppo. Gli “errori” del passato della giovane accolita, ingigantivano, passando di bocca in bocca, per trasformarsi in sbagli colossali da condannare a vita: una canna fumata nel bagno della scuola, e ti additavano come tossico, un passaggio in auto dal ripetente di quinta era il marchio perenne dell’adultera, un furto alla Upim, e ti trasformavi a vita in “Giovanna la ladra”. Forse perché bisogna dare un’etichetta a tutto e ci si sente più tranquilli a incasellare per bene chiunque, che anche su #Twitter si formano gruppi che si rituittano soltanto tra loro, che adulano il proprio “amico del cuore” con #FF il più delle volte improbabili e raccapriccianti, di account pronti ad aggredire chiunque parli male degli amici e che raccolgono informazioni da andare a riferire al capo spirituale, un leader digitale nascosto da nickname e del tutto orfano di una vita reale da leader, ma tanto pieno di sé da attrarre una buona quantità di tuitteri con battute sempre e soltanto sarcastiche.
Come quando ero ragazza, però, anche su #Twitter viaggio in solitaria, guardo e osservo, rituitto spesso e mai per piaggeria. Normalmente diffido di chi fa troppi complimenti: ho sempre avuto pessime sorprese dagli innamoramenti improvvisi. Viaggio con la convinzione che se parli male di loro parlerai male anche di me, per cui mi tengo alla larga da chi, credendo di farmi un piacere, digita DM che sprizzano veleno e mi spezzano il cuore. Ecco perché per me #Twitter è soltanto un gioco divertente. Si fanno scoperte, a volte, persone che magari credevo piene di boria e che invece si rivelano umili e umane, gente che la propria onestà intellettuale la mette anche sul web, sì, ma quante sono? So già che gli ottimisti non saranno d’accordo con la mia visione, ma d’altra parte scrivo #derive proprio perché al peggio non c’è mai fine...



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