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Deserto azzurro di Gianluca Mercadante

Creato il 07 agosto 2011 da Gianpaolotorres

 

Deserto azzurro di Gianluca Mercadante

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Deserto Azzurro

Il Pezzo Grosso risponde al quinto squillo. Non lo disturbo, mi assicura, e subito chiede che tempo faccia dalle mie parti. Dalle sue, dice, fa un freddo becco. Cito testualmente.
Il clima è sempre l’argomento ideale, è il farmaco generico per eccellenza che alimenta di parole un colloquio a due altrimenti malato di silenzi. È un eccellente rompighiaccio, il clima, soprattutto se i diretti interessati non si sentono da parecchio – e il motivo della chiamata dev’essere per forza di natura professionale: di solito, un Pezzo Grosso dell’editoria italiana non lo si chiama per sapere come sta.
Comunque: dalle parti mie, i rigori invernali sembrano aver ceduto un poco la morsa a un principio di primavera. Un azzurro promettente occhieggia di tanto in tanto fra greggi di nuvole sparpagliate.
E col clima il discorso si chiude qui.
- Ti chiamavo per via del mio romanzo d’esordio. – Attacco io, passando ai fatti.
- Ma non l’avevi già pubblicato? – Osserva Pezzo Grosso.
- Sì, appunto… – Ne convengo – …sembra però sparito dalla circolazione. –
- Quanto tempo fa è uscito? –
- Saranno cinque anni, o giù di lì. –
- Uhm. Mi sa che hanno macerato l’eccedenza in magazzino, allora. –
Deglutisco.
L’ipotesi è tutt’altro che esasperata: grazie a una legge che nessun governo si è mai sognato di modificare né in meglio né in peggio, il fatto di mantenere chiusi in un magazzino volumi invenduti significa per un editore versare un botto di tasse all’anno. Finché parliamo di grande editoria, la tiratura di ogni singolo titolo dipende dalle proiezioni effettuate dall’ufficio marketing di detto editore a mesi dall’uscita nelle librerie. Ma se stiamo parlando (e nel mio caso stiamo altroché parlandone) di piccola editoria, le tirature massime si aggirano attorno alle mille, millecinquecento copie per pubblicazione. Oggigiorno, con la fascia dei lettori in costante calo e la colossale quanto incomprensibile offerta libraria sul mercato, vendere tre, quattrocento copie di un volume stampato presso un editore indipendente merita un brindisi col miglior chardonnay in circolazione. Un’eccedenza di circa seicento esemplari a titolo, rappresenta un corrispondente esborso in tasse da suicidio. Meno male che esiste perciò una specifica legge che legittima gli editori a destinare centinaia di testi al forno crematorio, la qual cosa si rivela a ragione più conveniente che tenerli bloccati. Le alternative? Meglio lasciarle perdere: riciclare la carta, regalare quegli stessi libri a premi, iniziative varie e biblioteche (ma la lista sarebbe lunga), è impensabile, i costi sarebbero assurdi, la burocrazia sconfinata, lo sbattimento inversamente proporzionale alla bellezza dell’idea di non lasciarli morire.
I libri o li vendi o li bruci.
- E ristamparlo? – Chiedo dunque a P.G.
- Cosa di preciso? –
- Come “cosa”?… Il mio romanzo d’esordio. Se mi accerto del fatto che non sia più sul mercato, e l’editore ha smaltito i resi, stando al contratto i diritti scadrebbero quest’anno, anzi: fra pochi mesi. Non potremmo pensare a una ripubblicazione? –
- La vedo rischiosa. Riproporre in libreria un titolo già sfiduciato dai librai è controproducente. Sarebbe darsi la zappa sui piedi. –
- Ehi, un momento. – Faccio io, dopo qualche istante di pura apnea – Il mio libro non è mica stato sfiduciato da nessun libraio, scusa. Praticamente, a eccezione delle FNAC e delle Feltrinelli, che come di sicuro saprai dispongono di un loro circuito autonomo ed esclusivo di distribuzione, quel mio romanzo in una libreria non s’è mai visto. Non fosse stato per i successivi, che hanno agito da traino, e per il tour promozionale che abbiamo organizzato quasi a livello di volontariato, è come se non fosse uscito. –
Ricordo alla perfezione le parole del mio primissimo editore. Mi disse che se avessimo venduto cento copie del romanzo potevamo tirarlo sul serio il collo, a quella fottutissima bottiglia di chardonnay. Me le ero legate all’orecchio, le sue bellissime parole di merda: va bene essere realisti, va bene l’onestà intellettuale, va bene cercare di non illudere nessuno, ma spezzare deliberatamente le gambe a chi ha appena cominciato a camminare è un atteggiamento di una stronzaggine senza pari. Alla faccia delle cento copie organizzai delle date, telefonai a destra e a manca, ad amici che con la scrittura non c’entravano nulla, ma bontà loro abitavano in una città dove mi sarebbe piaciuto presentare il libro e potevano quindi farmi da tramite con una libreria del posto – cosa che, con generosità, fecero assai volentieri, fosse stato pure per la banale scusa di rivedersi dopo anni, in alcuni e non pochi casi. Furono altrettanto proficue e determinanti quelle sane amicizie nate in corso d’opera coi musicisti che parteciparono a un’operazione parallela: si era pensato di creare una sorta di colonna sonora, per quel romanzo, utilizzando suggestioni ed estratti dal testo. Ci venne spontaneo pensare a un reading e facemmo parecchie serate, tutte diverse. Non furono esperienze da poco, il suono delle parole mutava a seconda dell’ambiente sonoro che ogni solista, o formazione, di volta in volta andava creando in base alla propria poetica. I giornali parlarono piuttosto bene degli show e almeno un paio di riviste musicali mediamente conosciute recensirono perfino il solo cd.
Il libro, d’altra parte, era stato sfiduciato, come sto per l’appunto scoprendo.
P.G., che immagino seduto alla scrivania del suo comodo ufficio a masturbare il mouse del computer col computer spento, argomenta finalmente la sua tesi.
- Devi capire… – Almanacca serioso – …che quando un libro è uscito, è uscito. –
Tutto qui? Anche quando un uovo è sodo, è sodo, sto per dirgli.
- Insomma, è vecchio. – Puntualizza poi, preso un breve respiro. Oddio, mica tanto breve, se ti trovi dal lato sbagliato di una cornetta. Nello specifico: se quello seduto comodo in ufficio a chiacchierare di meteorologia e di mercato editoriale non dovessi essere tu, il tuo lato è il lato sbagliato. Stanne certo.
Tuttavia, mi appello a una falla nel suo ragionamento: la casa editrice di P.G. ha infatti un precedente.
- Due o tre anni fa… – Gli rammento – …pubblicaste il romanzo d’esordio di XXXXXX XXXXXXX spacciando l’edizione precedente dello stesso libro per un’edizione limitata, ma non erano andate così le cose: la verità è che venne pubblicato in primissima battuta da un editore piccolo quanto il mio. Voi ci siete arrivati dopo. –
- Beh, sono cose che capitano. –
- Sono cose che capitano?! –
- Naturalmente. Hai idea di quanti libri escano al giorno, in Italia? Il tuo romanzo, per quanto bene tu gli voglia, è uno fra i milioni. –
- Senti, scusami, forse sono stato io a spiegarmi male. Qui non si tratta di affettività, o d’invidia. Qui si tratta di sfruttare potenzialità commerciali che sono passate del tutto in sordina. Potenzialità che quel libro possiede, te lo assicuro, e te ne accorgeresti pure tu se lo leggessi una mezza volta. L’amore che posso provare io per quelle pagine, in qualità di autore, non c’entra! –
- Sì, sì, d’accordo, capisco quello che vuoi dire. Ammetto che li trovo anch’io libri spesso ben scritti, ma… ma cosa li ristampiamo a fare, chi li leggerebbe? –
- I lettori. –
- E tu ne hai? –
- Ma che razza di metro di valutazione stai utilizzando, abbi pazienza?! No che non ne ho, e quei pochi che potevo avere si saranno persi per strada. Mica sono uno che va suonando per locali. –
- Appunto. Hai capito, ora, cosa intendo per “sfiduciato dalle librerie”? Concentrati sul nuovo, dammi retta, e lasciati alle spalle il resto. Metti le mani su qualcosa di originale, poi ce lo mandi e… coi nostri tempi, che non saranno velocissimi per ovvie ragioni, ti faremo sapere. –
- Ho spedito alla tua casa editrice tre miei inediti nel corso degli ultimi sette anni. Sto ancora aspettando che mi facciate sapere. Nel frattempo, ne ho pubblicati altrettanti, senza contare le antologie. –
- Ah, sì?… Strano, magari si sono persi. Sai, le Poste. –
- Già, le Poste. –
- … –
- … –
- Madonna che freddo, oggi. –
La temperatura dell’azzurro, fuori, è variata sensibilmente. Adesso non è più promettente. Adesso è insopportabile. È l’ultimo dei colori che vorrei vedere, per ciò che in qualche misura rappresenta, per ciò che in qualche misura suscita nell’animo. Nel mio animo, oggi, non c’è posto per questo cielo. C’è posto per una distesa di sabbia priva di dune. C’è posto per un Deserto Salato soggettivo.
E se proprio dev’essere azzurro, ’sto cielo maledetto, allora che lo sia tanto. E che ce ne sia tanto. Tanto da ridurre la distesa desertica a un’esile linea di confine dello sguardo. Tanto da divenire lui, il cielo, un deserto. Un deserto azzurro, le nuvole assenti, alla deriva, dove crepano le aspettative.
Quanto lo invidio, quel freddo che P.G. lamenta. Cazzo, quanto lo invidio.
- Col freddo ti puoi sempre coprire. – Dico a un tratto.
Ma ho come l’impressione che P.G. non abbia colto l’ironia.


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