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Detachment. Il distacco di Tony Kaye. Tu mi vedi?

Creato il 25 luglio 2012 da Spaceoddity
Detachment. Il distacco di Tony Kaye. Tu mi vedi?Detachment. Il distacco (2011) è un pugno nello stomaco. Interpretato e prodotto da Adrien Brody, diretto da Tony Kaye, parla di un insegnante di letteratura, un supplente che affronta un mese in una scuola di confine, una di quelle che a qualcuno sembra che esistano solo nei film. Costruito in parte come un documentario, ivi comprese certe importanti soluzioni di continuità, Detachement è in realtà un film con alcuni caratteri molto ben delineati e una folla di figuranti, intorno, di persone disperse nel mondo, ciascuno in cerca del suo posto e del suo equilibrio.
Speculare sulla natura "esistenziale" del supplente rischia di essere vano e offensivo, di costringere a luoghi comuni sul ruolo secondario che il protagonista dovrebbe occupare e, in effetti, occupa nella vita. Questo perché l'ottica narrativa dell'antieroe fagocita qualunque ideale costruttivo si possa immaginare e difendere. Ma il prof. Barthes di Adrien Brody è in realtà in primo piano e si occupa dei suoi ragazzi in prima persona: prende il posto che la vita e la scuola, ma soprattutto la famiglia, non hanno avuto nella vita di questi relitti sociali.
Detachement. Il Distacco è chiaramente un film sul prendersi cura reciprocamente, sull'accorgersi dell'esistenza altrui, sul convivere. Il mezzo è quello cinematografico e Tony Kaye non esita a proporre scene e situaizoni molto forti, talvolta anche a indugiarvi, secondo me senza troppo guadagno per il film. Ma l'ambiente scolastico è quello perfetto: se è vero che il disagio umano di cui si parla è riscontrabile in qualunque ambiente di lavoro e di vita quotidiana, se l'unica felicità possibile sembra talora quella che si ruba al malessere in cui si è immersi e si è destinati a morire, in nessun altro ambiente si ha, strutturalmente, la preoccupazione di superare e far superare la nausea, la mancanza di entusiasmo, la grettezza sociale, come invece dovrebbe accadere in un ambiente educativo.
C'è, dunque, un conflitto, tra le storie personali, degli insegnanti (e, in grado diverso, degli alunni), con quell'insistenza a volte eccessiva sui trascorsi e sui vissuti infelici di chi svolge questo mestiere, e il tentativo di fare strada alla speranza tra le macerie di un mondo che ha perso i suoi riferimenti. Intanto i genitori, questi genitori spessissimo arroganti, quasi sempre assenti, in una parola inadeguati. Poi le istituzioni territoriali, che parlano di scuola senza capire di cosa si tratti, che trattano vite ed educazione con odiosa sufficienza. È chiaro che rabbia, amarezza, disillusione siano i termometri di questa storia-non storia. Barthes lascia la scuola con un senso di incompiuto e noi spettatori sappiamo che quelle vite non si esauriscono in un incontro più o meno fortunato, ammesso che qualcuno, insomma, possa fare la differenza anche solo un poco, anche solo per poco.
Detachment. Il distacco di Tony Kaye. Tu mi vedi?Possiamo senz'altro sottolineare le nevrosi di alcuni insegnanti come troppo facili, quasi macchiettistiche, e ribellarci di fronte a situazioni-limite, per dire che non tutto è così, che questa è solo una storia, non un trattato sociologico: è vero, questa è una storia, singola e non per forza aderente a fatti accaduti davvero: ma ciò non può esimerci dal prendercene carico, anche se, come dice il prof. Barthes, nella nosra vita ci sono troppe storie di cui occuparci. A rimetterci sono le storie che noi non riusciamo a raccontare ancora, per le quali ci sembra impossibile un finale diverso. Proprio questa è, però, l'ambizione di un insegnante, il suo atto di responsabilità: perché È facile essere indifferenti: l'interesse richiede coraggio e il coraggio richiede carattere. Questo carattere e questo coraggio sono appunto la forza e l'invito di Detachment. Il distacco.

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