Magazine Diario personale

Devastata

Da Fredy73 @FedericaRossi5
Si sedette su una panchina nella piazza principale della città. Nonostante le macerie tutto intorno, le puntellature, le impalcature, le ferite in quei muri sconnessi, L'Aquila conservava ancora un certo fascino. Non l'aveva vista prima del terremoto. Cercò quindi di immaginarsela con la gente, i negozi, i suoni noti delle campane delle due chiese, il vociare dei bambini e il frullare delle ali dei piccioni. Anche loro erano andati via insieme alle persone, alla vita stessa. E anche lei si sentiva devastata, distrutta, disabitata. Era tornata in quel luogo dopo tre anni, senza che tre anni prima fosse mai stata davvero in quel luogo. Allora era presidiato, inibito, inaccessibile. Poteva solo intuirlo al di là delle transenne. Non che ora ce ne fossero di meno. Anzi. Le vie accessibili erano davvero poche, rendendo la città un acquario troppo piccolo per pesci che ambiscono all'oceano. E poi faceva troppo freddo. Un freddo innaturale, come tutto il resto. E lui non era lì a scaldarla, come aveva sempre sognato in quei tre lunghi anni. Decise di alzarsi per provare a farlo da sola, camminando. Ma il percorso era limitato e ormai lo conosceva a memoria. Non poteva trovare lì né il conforto della consuetudine, né quello della scoperta. Tornò in hotel, nella sua stanza solitaria e iniziò a rimuginare. Lo faceva sempre. Sapeva di essere particolarmente cerebrale con frequenti, inopportune e sconquassanti incursioni in una istintività primitiva, atavica illogica. Se solo i suoi colpi di testa fossero stati forieri di un minuto di appagamento! E, invece, no. C'era sempre la voce della razionalità a rovinare anche il godimento dell'attimo. Con quale sfacciataggine! La sua ragione dov'era quando c'era da evitare il disastro? E perchè interveniva troppo tardi ad impedire non che il colpo di testa avesse luogo, ma che quell'effimero appagamento la rendesse follemente felice per un attimo intero. Un attimo intero. Si soffermò a pesare le parole, trovandosi, come al solito, fastidiosamente melodrammatica. Eppure, quando si chiedeva se fosse mai stata felice anche se solo per un lasso davvero brevissimo di tempo, lei sapeva già qual era la risposta: un weekend di tre anni fa. Contro ogni previsione, si era innamorata. Era caduta nella più banale e stupida delle condizioni . Senza che la sua consapevolezza la abbandonasse, ovviamente. Ma, come per la razionalità, anche in questo caso la consapevolezza non le era servita - e continuava a non servirle - per prendere le giuste distanze e ridimensionare la cosa. Né per evitare idealizzazioni o fughe di pensiero in sogni inconfessabili. No. Era solo un monito, canzonatorio quanto fastidioso. Come una maestrina petulante o un collega saccente che traggono soddisfazione nel continuare a ripetere "te l'avevo detto", sorridendo con un ghigno da schiaffi. E alla fine, dopo aver imparato a convivere con questa sua duplicità, dopo aver reinventato se stessa senza di lui, dopo aver trovato un qualche equilibrio - sebbene precario - almeno funzionale alla sua vita da single, ecco che ci era ricascata. Ed era tornata pure sul luogo del delitto, per perdersi di nuovo e maledirsi all'infinito. Secondo una sua massima, infatti, non bisogna mai ritornare nei luoghi in cui si è stati felici. E lei ci era tornata, infrangendo, al contempo, anche altre tre o quattro regole che si era data. Poca roba, in fondo, e di scarsissimo peso nel computo valoriale delle cose. Ma quanto bastava perchè quell'equilibrio da precario diventasse completamente instabile e si trasformasse in una caduta rovinosa. Il più grande amore della sua vita - niente di meno! -, un uomo visto solo una volta tre anni prima e verso il quale i suoi sentimenti sembravano brace sotto la cenere. Pronti ad esplodere al suo comando, o alla prima folata di vento, per diventare incendio e divampare con una foga distruttrice. Nel tepore della sua camera d'albergo ripensò ai giorni che l'avevano separata da quel momento, alle sue aspettative. Si era immaginata un incontro tutto sesso e passione, condito da abbondante romanticismo, qualche lacrima e diversi sorrisi. Una cosa a metà tra il peggior romanzo rosa della letteratura mondiale e la peggiore soap opera dai tempi di beautiful, assaporando nell'immagine al rallenty del suo film mentale tutta l'inadeguatezza e il senso del ridicolo che la sua stessa fantasia le trasmetteva. E invece niente. Non c'era stato altro che qualche fugace bacio a fior di labbra. Neanche mezzo centimetro di lingua. E tante parole. Discorsi. Monologhi, più che altro, di un uomo che aveva un'evidente necessità di parlare. E mica parlare di un "noi", ma di un sè separato dal mondo al quale lei apperteneva. Anzi, di un mondo al quale - se ne rese conto - non le sarebbe mai stato possibile appartenere. L'Aquila devastata non è una cicatrice ancora pulsante, ma un vero e proprio intervento a cuore aperto ancora in corso. Non si può pensare di andare e sistemare le cose con un cerotto, pensò lei amaramente. "Non so perchè mi risulti sempre più facile scrivere che parlare. Forse perchè la scrittura necessita di una certa organizzazione logica che mi difetta nel parlato. O forse solo perchè è l'unica dimensione in cui mi sento davvero al sicuro... O a "casa". Quello che vorrei (bada bene, vorrei e non voglio) ormai lo sai. Modi, tempi e possibilità, come mi hai detto quella volta al telefono, si possono sempre trovare. L'importante è condividere lo stesso significato valoriale per le cose della vita (persone e sentimenti in primis). Il problema, se pure condivido queste cose con te, è che non posso condividere il tuo percorso in questo momento. E questo non per una mancanza di empatia o per insensibilità. Ma è principalmente perchè penso tu debba compierlo da solo..." Rilesse il messaggio che gli aveva scritto nella chat di facebook, con il pollice pronto a premere invio. Ci manca distinti saluti, pensò con cinismo, mentre cancellava tutte le parole. Non era da lei esprimersi in maniera così fredda e distaccata. E poi era vigliacca. Lo voleva. Continuava a volerlo. E scrivergli che era necessario che lui, prima, si chiarisse le idee, significava lasciarlo libero. E arrendersi alla sua perdita. Definitiva. Si rese conto solo allora di quanto la sua assenza le avesse fatto compagnia. Di quanto la sua mancanza fosse stata benzina su fuoco. E di quanto quell'amore impossibile avesse assunto nella sua vita un ruolo determinante. Fino a caratterizzarla. Comprese che non ci sarebbe mai stato nulla quel weekend. Nulla di quello che lei si aspettava. E, forse, non ci sarebbe stato neanche un lieto fine. Le lacrime cominciarono a scorrerle copiose lungo le guance, contro la sua volontà. Provò ad asciugarle, ma ne vennero giù altre, sempre più numerose, a disfarle il trucco e ad arrossarle gli occhi e il naso. Si rese conto che piangeva senza emettere un suono, come sempre. Mentre avrebbe voluto urlare tutta la sua disperazione. Si sentiva prigioniera, smarrita, in balia di una vita non più sua. Bloccata in una città morta che le aveva strappato l'anima per giocare al gioco della solitudine. Pensò di andarsene, di tornare a casa sua prima del tempo, archiviando per sempre quella storia. Ma ancora una volta il pensiero di perderlo la immobilizzò. Lui era lì, da qualche parte. Così vicino, eppure mai così lontano. A poche centinaia di metri da quella camera d'albergo, dove il termoconvettore regalava - per contrasto - l'effetto di un'estate caraibica, lui era lì, a porata di mano. Eppure così distante. Provò a calmarsi ripescando nella sua memoria le frasi che le aveva detto la sera prima e quella carezza sfuggente alla sua guancia. Un gesto di tenerezza per tentare di strapparla alla malinconia che l'attanagliava. "Tu sei importante per me" le aveva detto. Ma per il resto, entrambi avevano affrontato l'argomento della loro relazione (o quello che era) con un approccio sin troppo cerebrale. Provò di nuovo ad aggrapparsi all'appiglio di quelle sue parole, tentando di ricacciare nel profondo la consapevolezza delle cose perdute. Non voleva arrendersi, non ora che si trovava di fonte al centesimo cancello da scavalcare. Si rese conto che lo amava. Non come le altre volte, ma con maggiore convinzione. Non glielo avrebbe detto, questo no. Anche perchè in quella epifania scoprì anche la strada che era stata tracciata per lei: Proseguire la sua vita così come aveva fatto fino ad ora, ben sapendo che quel posto al suo fianco non sarebbe stato occupato mai da nessun altro. Tanto valeva arrendersi all'evidenza e accettare un futuro da zitella, piuttosto che cercare inutilmente un rimpiazzo. In fondo la sua vita da single non era poi tanto male. E poteva regalarle almeno il conforto dell'abitudine. Fu tra questi pensieri che udì il segnale di un sms sul suo cellulare. Era lui, pronto ad incontrarla di nuovo per un altro round della loro eterna battaglia a suon di cose non dette. Lui voleva farle conoscere il suo punto di vista e la sua condizione di vita. Le macerie dell'Aquila avevano distrutto e scavato anche dentro di lei, lasciando un vuoto enorme. Un vuoto pronto ad ospitare macigni. Lei, ora, era pronta ad ascoltarlo... Continua... Articolo originale di Federica Rossi per Poco sex e niente city. Non è consentito ripubblicare, anche solo in parte, questo articolo senza il consenso dell’autrice.

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