40 anni di Devilman
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Attingendo alle difficili esperienze vissute col suo primo manga di successo, il comico-erotico Harenchi Gakuen (’68, inedito), e agli spunti disseminati nel suo incompiuto fanta-horror Mao Dante (titolo internazionale: Demon Lord Dante, ’71), > LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" height="356" width="245" alt="Devilman e il lato oscuro dellanimo umano >> LoSpazioBianco" class="alignright wp-image-54838" />Go Nagai concepisce una storia dell’orrore che mostra il collasso della civiltà umana: Devilman (’72).
In seguito all’interruzione di Mao Dante, Nagai è contattato da un produttore della Toei, entusiasta di quel manga e deciso ad ispirarsi ad esso per ideare una nuova serie animata, in cui unire alcuni elementi di Mao Dante a quelli tipici dei telefilm di supereroi (i “tokusatsu”) come Ultraman (’66) e Kamen Rider (’71). Al termine delle trattative tra Toei, la rete tv Net (poi divenuta Tv Asahi), l’editore Kodansha e Nagai, si decide che l’anime e il manga vengano sviluppati in modo diverso, presentando due storie distinte accomunate da spunti iniziali simili.
Mentre per l’esordio dell’anime di Devilman (titolo originale: Debiruman) sugli schermi nipponici si attende l’8/07/’72, Nagai inizia la pubblicazione del suo manga sulla rivista settimanale Shonen Magazine (rivolta a un pubblico adulto) già a giugno. Come in Mao Dante, Nagai vuole creare un’opera di forte critica sociale e di analisi della psicologia delle masse, dove la società artificiosa costruita dagli uomini su una morale artificiosa, finisca con l’essere distrutta. Tale determinazione scaturisce in Nagai dall’essere divenuto, pochi anni prima, il bersaglio mediatico di insegnanti, genitori, politici e giornalisti, che lo presero di mira per via dei contenuti di Harenchi Gakuen; tali feroci critiche, di forte presa sull’opinione pubblica, spinsero Nagai a dare ad Harenchi Gakuen un provocatorio, violento e sanguinoso finale – dove non mancano decapitazioni, suicidi e brutali omicidi, perpetrati dall’esercito dell’associazione dei genitori e degli insegnanti –, ma,
Tra le fonti di ispirazioni per Devilman, oltre alla lettura in tenera età della Divina Commedia illustrata da Gustave Doré, alla cultura orientale (“Fudo”, cognome di Akira protagonista di Devilman, trae origine da “Fudo l’Irremovibile”, divinità dall’espressione feroce appartenente ai Cinque Grandi Myo-o protettori della dottrina buddista), a studi storici (il periodo dell’inquisizione in Europa) e sulle religioni occidentali (Amon, il demone che si fonde con Akira nel manga, è presente in diverse religioni; per gli antichi egizi era una divinità, mentre nella demonologia cristiana è un demone seguace di Astaroth), c’è anche il contesto socio-culturale del periodo in cui sta lavorando Nagai, quando un certo interesse e una certa “simpatia per il Diavolo” erano presenti in diversi settori artistici internazionali (dalla musica al cinema, passando per la letteratura), mentre le lotte per i diritti sociali dei neri e delle minoranze etniche (a cui si fa riferimento in Devilman), le proteste contro la guerra in Vietnam, le contestazioni studentesche, la guerra fredda tra USA e URSS (destinata ad avere esiti catastrofici nel manga), il desiderio e il sostegno di una contro-cultura da parte dei giovani che infrangesse i tabù della società degli adulti, dilagavano in tutto il mondo, ispirando artisti di ogni nazionalità.
Nel ’72 appariva anche chiara la degenerazione del movimento pacifista degli hippy (presenti nel manga), travolto da arresti, problemi di tossicodipendenza, e coinvolto in casi di feroci omicidi, come il massacro avvenuto nell’agosto del ’69 nella casa dell’attrice Sharon Tate (moglie di Roman Polanski, regista dell’horror Rosemary’s Baby nel ‘68), ad opera di una comunità presieduta da Charles Manson. Come se non bastasse, nel dicembre del ’69, al grande concerto gratuito svoltosi ad Altamont (California) che fece seguito a quello di Woodstock tenutosi nell’agosto dello stesso anno, ci fu il caso di un giovane spettatore nero armato di pistola che venne assalito e ucciso a pugnalate da un motociclista degli Hell’s Angels – incaricati dai Rolling Stones di occuparsi della sicurezza – a pochi metri dal palco, davanti alle cineprese che stavano filmando l’evento e che portarono alla creazione del documentario Gimme Shelter (’70). A tutto ciò va infine aggiunto che, in quel periodo, il popolo nipponico deve fronteggiare gruppi terroristici interni – tema affrontato da Nagai in sue varie opere, come il manga Guerrilla High del ’70 – che, come nel caso dell’Armata Rossa, non si limitano ad agire solo sul territorio nazionale, ma anche su quello internazionale, compiendo un attacco suicida all’aeroporto israeliano di Tel Aviv (maggio del ’72).
Alla luce di quanto esposto, non appare dunque del tutto casuale la scelta di Nagai di mostrare, ad esempio, una discoteca popolata da hippy ansiosi di ubriacarsi, perdere il controllo e fare sesso, come il luogo ideale in cui Akira Fudo può perdere la propria razionalità per fondersi con un demone: così come il concerto di Altamont passò dall’essere un evento pacifico al luogo infernale di un omicidio che avvenne davanti alle cineprese, così anche la discoteca popolata da hippy in Devilman perde la propria caratteristica di spazio di aggregazione sociale e di divertimento, trasformandosi in un luogo oscuro in cui le persone perdono il controllo scatenando sanguinose risse, fornendo ai demoni la possibilità di fondersi con loro, e divenendo teatro di un feroce massacro anch’esso filmato e destinato ad essere trasmesso in tv.
Il profondo pessimismo che pervade Devilman, unito alla sua carica di denuncia sociale, rimanda ad un’altra celebre opera horror, diretta da un regista cinematografico cresciuto leggendo gli E. C. Comics (Tales from The Crypt, The Vault of Horror), dai quali apprese come questo genere si potesse usare per effettuare della critica sociale e politica. Si tratta di George A. Romero e del suo film La notte dei morti viventi (’68), con il quale rielabora la figura dello zombi
Sia in Romero sia in Nagai prevale la sfiducia nel genere umano, e, tra gli altri punti di contatto tra le loro opere, segnaliamo: le coppie di giovani innamorati destinate a soccombere; il protagonista che non è più un eroe invincibile, ma un individuo che commette errori; gli esseri umani che, davanti a una minaccia collettiva, non riescono a collaborare, ma si dividono fino al punto di aggredirsi l’un l’altro; la casa, luogo di tranquillità e di rifugio dalle minacce esterne, diventa un fortino destinato a essere violato; i nuclei famigliari vanno in pezzi davanti alla minaccia soprannaturale, rimanendone contagiati e spinti ad uccidersi l’un l’altro, o mostrando come gli adulti siano incapaci di difendere i propri figli da quello che sta accadendo; la creazione di squadre di sicurezza per proteggere gli uomini dalla mostruosa invasione che, però, provocano la morte di alcuni dei personaggi positivi principali.
Il tema della crisi della famiglia, in particolare, era già stato trattato da Nagai nel ’71, nel breve manga Il grande shock del piccolo Susumu (Susumuchan Daishokku, inedito), incentrato su un’ondata di follia che spinge i genitori ad uccidere i propri figli: non è dunque un caso se in Devilman appaia Susumu, un bambino che teme di essere ucciso dalla madre. Il tema della crisi dell’unità famigliare, nonostante venga spesso negato, edulcorato o volutamente trascurato nelle rappresentazioni artistiche, è ancora oggi più attuale che mai, in Italia come in Giappone, basti pensare alle parole del regista nipponico Sion Sono: “in Giappone la violenza dei rapporti famigliari è molto più drammatica e pervasiva rispetto agli altri Paesi” (cfr. Nocturno Cinema di marzo 2012).
Oltre a tutto ciò, Nagai evidenzia il pericolo della regressione della popolazione di fronte a una grave crisi, facendo sprofondare le persone in metodi e ragionamenti tipici del medioevo europeo, come la caccia alle streghe: nel manga nagaiano, infatti, un folto gruppo di individui assalta la casa di Miki, ritenendola una strega da giustiziare poiché rappresenta una mortale minaccia per tutti loro.
La denuncia di Nagai nei confronti delle nostre civiltà continua anche nel manga Violence Jack (iniziato nel ’73), ideale prosecuzione stilistica, tematica e perfino narrativa di Devilman (il legame tra le due storie è svelato anche nel terzo OAV de Il pazzo mondo di Go Nagai, anime del ’91), e nelle altre opere collegate alla saga di Akira Fudo come Devil Lady (’97), ma che non sempre portano la firma di Nagai, come nei casi di Amon: The Darkside of Devilman (’99) e Strange Days (2005), entrambi opera di Yu Kinutani. Tra queste opere successive ricordiamo Devilman: Time Travellers, composto da episodi realizzati da Nagai tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, in cui, ad esclusione dell’ultimo (incentrato su Akira, Miki e Ryo),
Per quello che riguarda l’anime, esso si compone di 39 episodi – giunti nel nostro paese nel corso degli anni ’80, con un doppiaggio italiano purtroppo inadeguato – che donano un finale aperto alla vicenda, senza mostrare lo scontro finale tra Akira e i demoni. Sebbene la serie sia rivolta a un pubblico più giovane, non mancano fin dalla prima puntata le occasioni in cui il sangue (blu, verde, o rosso) schizza in modo evidente. Nel corso della serie, inoltre, si mostra spesso Tare, il fratellino di Miki, pisciarsi addosso dalla paura.
Nell’anime, Akira e suo padre vengono uccisi da tre demoni, dei quali, al termine di uno scontro mortale tra di essi, solo uno sopravvive e possiede il corpo del giovane, facendo ritorno in Giappone e andando a vivere nella casa dei Makimura, dove si innamora dell’adolescente Miki. Per via di questo sentimento, Akira/Devilman si ribella alla tribù dei demoni, divenendo un loro implacabile nemico.
Nello staff dell’anime troviamo animatori come Kazuo Komatsubara, Kazuo Nakamura e Shingo Araki,
Come per altri titoli cult dell’horror, anche Devilman è continuamente riproposto in svariati modi alle nuove generazioni, ma ci teniamo a concludere ricordando il finale di un episodio di Time Travellers, in cui è mostrata la decapitazione della regina Maria Antonietta, accolta con entusiasmo da parte del popolo francese desideroso di assistere all’esecuzione.
Essa serva come monito a ciò che potrebbe accadere se l’attuale crisi economica continuasse a funestare la gran parte della popolazione mondiale, favorendo solo una piccola cerchia di privilegiati che detengono una fetta crescente delle ricchezze e, come altre volte in passato, tentano di prevaricare tutti coloro che sono meno fortunati di loro.
OMAGGI
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