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Di cosa parliamo quando parliamo di Renzi

Creato il 28 settembre 2012 da Lundici @lundici_it

La chiesa di Santa Maria del Fiore (Duomo di Firenze) fu iniziata nel 1296 e terminata nel 1436 quando fu consacrata dal papa Eugenio IV. Per i successivi 573 anni vi passò affianco ogni tipo di veicolo: cavalli, carrozze, carri, poi automobili, moto, scooter, ecc. Fino al 25 ottobre 2009, quando l’intera area fu pedonalizzata. Di cosa parliamo quando parliamo di RenziAll’epoca (nel 2009) erano già in fase di cancrena avanzata i dibattiti sull’opportunità o meno di far passare una linea di tram al lato del celeberrimo monumento. Nel frattempo però, vi continuavano a transitare automobili manco fosse una rotatoria.

Scavalcando la palude della discussione tram sì o tram no, l’appena eletto sindaco della città – come Alessandro Magno di fronte al nodo di Gordio – decise che l’importante era rendere pedonale l’intera piazza immediatamente e così fu. Il sindaco in questione, tuttora in carica, era Matteo Renzi.

Piaccia o no, Renzi è la novità più concreta nel panorama del centro-sinistra italiano negli ultimi 15 anni dopo L’Ulivo. Racconta la leggenda che, nell’estate del 2008, in vista delle elezioni a sindaco di Firenze (“roba” di DS-PD dal 1999), Don Massimo D’Alema durante un incontro nel capoluogo toscano, rispondendo a chi gli faceva notare che nel PD mancavano i giovani, rispose con aria sprezzante e sorrisetto: “Che si facciano avanti questi giovani! Dove sono?”. Renzi, allora 33enne presidente della provincia, si fece avanti. Si presentò alle primarie del centro-sinistra, le vinse e poi vinse anche le elezioni per il sindaco.

Piaccia o no, ora il PD di Bersani e D’Alema deve fare i conti con la sua faccia a metà tra il piacione ed il secchioncello.

Ma perché Renzi è una novità così importante? In fondo di possibili leader della sinistra ne sono passati sotto i ponti a decine. Beh, Renzi è una novità perché, al contrario di tutti gli altri, Bersani compreso, dà l’impressione di volere una cosa più d’ogni altra: vincere.

Di cosa parliamo quando parliamo di Renzi

Matteo Renzi è nato a Firenze l’11 gennaio 1975. E’ diventato coordinatore provinciale della Margherita a 26 anni e presidente della provincia di Firenze a 29.

E per vincere – cosa che evidentemente dimostra di saper fare bene – Renzi parla con l’aria di chi si piace (e quindi crede in ciò che dice), si comporta come uno sbruffoncello, si rivolge ai sostenitori con frasi da rock star del tipo: “Il vostro entusiasmo è semplicemente contagioso” (suo tweet del 22 di settembre 2012), si fa fotografare in pose e situazioni “all’americana”, fa stampare manifesti con sue espressioni volutamente ammiccanti, ecc. ecc.. In altre parole, comunica e si atteggia con modi non ortodossi secondo i canoni della sinistra. Tanto da essere additato a novello Berlusconi.

Il punto è che neanche la sinistra o almeno il PD sa bene come confrontarsi con le proprie ortodossie. Continuamente timoroso di scontentare qualcuno ed incapace di mettere a fuoco la propria identità, il PD si nasconde da anni dietro discorsi inconcludenti, dimostrazioni d’insicurezza e di confusione. Come diavolo è possibile ad esempio, che una forza che si proclama di sinistra (e quindi che per definizione deve difendere i più deboli) non abbia una posizione netta, chiara e forte a favore delle unioni tra omosessuali???

Di cosa parliamo quando parliamo di Renzi
Per usare una metafora sessuale un po’ volgare, ma efficace, di fronte a spirali di indecisionismo e dibattiti che sembrano sabbie mobili, esattamente come Berlusconi, ma probabilmente con più sostanza, Renzi “lo tira fuori”. Ossia si propone chiaramente come qualcuno che vuole copulare, vuole generare, vuole passare al sodo. Al contrario del PD che dà l’impressione di temere più d’ogni altra cosa “il momento cruciale”…per timore di non farcela…

Per cominciare, Renzi non intende competere alle primarie con lo spirito di tanti “giovani” e meno giovani del PD che vi hanno partecipato così come si partecipa ad un concorso universitario di cui già si conosce il vincitore, ossia perché “il prof” ce lo ha chiesto per fare numero, in modo che il concorso abbia un barlume di credibilità e per potere guadagnare punti in vista delle prossime tornate. Renzi vuole chiaramente vincere le primarie. E’ un candidato “esterno”, un candidato – per rimanere nella metafora universitaria – che non è il protetto del “prof” (leggi: non è candidato dell’apparato del partito che ha fatto la sua bella trafila interna).

Per questo Renzi risulta immensamente ed epidermicamente antipatico a vasti settori della sinistra: perché vuole e può vincere e perché lo farebbe seguendo strategie e modalità distinte a quelle canoniche del “partito”.

E’ a proposito interessante notare che l’avversione per Renzi non si concentra tanto sul suo programma politico: si tratta piuttosto di un’insofferenza viscerale e profonda che non a caso fa riferimento all’aspetto fisico: “pallone gonfiato”, “bamboccio viziato”, “faccia da schiaffi”, “puzzi di sacrestia!”, ecc. ecc. Tipiche reazioni di fronte a qualcuno o qualcosa che va a toccare i nostri nervi scoperti, dove più ci dà fastidio e dove più fa male.

Di cosa parliamo quando parliamo di Renzi

“La spinta al suicidio del PD è senza limiti” [Romano Prodi, giugno 2012]

fare qualcosa che noi non siamo stati capaci di fare

Non esiste niente e nessuno più specializzato e dedicato all’esercizio della sconfitta della sinistra italiana. A prescindere dai motivi (spesso individuabili nel preferire salvaguardare privilegi interni piuttosto che costruire strategie vincenti che significherebbero intaccare quei privilegi), la vocazione al suicidio del PD è ogni giorno più sorprendente. Renzi si presenta in questo scenario, rischiando di smascherare deficienze ed errori che sono sotto gli occhi di tutti, ma di cui pochi osano parlare (uno dei pochi fu Moretti nel 2002) e per cui nessuno ha mai pagato. Il PD è come una squadra di calcio che perde da 20 partite di fila e continua a tenere il medesimo allenatore. Come minimo qualche domanda senza risposta e qualche dubbio deve essersi fatto largo nelle fila dei tifosi…

Ma perdere può anche andare bene: si può dar la colpa al “cattivo” B., alla legge elettorale, agli inciuci nei corridoi, alle televisioni, ecc. ecc. Senza mai guardarsi allo specchio.

I guai cominciano quando arriva qualcuno “come noi” o vicino a noi che, con risorse ed opportunità che anche noi potremmo o avremmo potuto utilizzare, costruisce una proposta diversa alla nostra e potenzialmente vincente. Tutto questo ci crea enormi difficoltà, perché rischia di mettere in discussione il nostro modo di agire, la nostra condotta passata, la nostra credibilità, le nostra capacità. E si può arrivare ad augurarsi che – senza di noi al comando – la nostra parte continui a perdere piuttosto che vinca perché la vittoria smaschererebbe le nostre debolezze e sottolineerebbe i nostri errori.

Di cosa parliamo quando parliamo di Renzi

Nel 1994, Renzi partecipò a “La ruota della fortuna” condotto da Mike Bongiorno, vincendo 48 milioni di lire

Come ci sentiremmo se con la macchina bucata, la fidanzata a bordo ed incapaci di cambiare la ruota, si fermasse un aitante giovane che si offre di aiutarci? Preferiremmo che ci riuscisse e ripartissimo velocemente o che anche lui non fosse capace e non rimanesse che chiamare il carro attrezzi?

Nel caso specifico, è probabile che nel PD siano in tanti a pensare: meglio che il prossimo presidente del consiglio sia ancora di destra, piuttosto che sia Renzi. Perché se il PD di Renzi vince, significa che anche noi del PD di Bersani e D’Alema avremmo potuto riuscirci e se ciò non è accaduto significa che abbiamo sbagliato ed avremmo dovuto andarcene da tempo.

Renzi può piacere o non piacere ed è ad esempio abbastanza distante da una proposta vincente come quella di Pisapia, ma chi ne è infastidito, per il bene della sinistra, dell’Italia e delle persone per bene (si può ancora dire “persone per bene”), dovrebbe interrogarsi intimamente ed onestamente sui motivi di questa avversione.


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