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Di domini di Facebook, engagement e "like" compulsivo

Da Danemblog @danemblog
Il portale statistico Statista ha pubblicato un grafico che sintetizza il traffico in entrata degli articoli online dai social network. I dati si riferiscono, per i diversi social, alle principali fonti d'informazione negli Stati Uniti.
domini Facebook, engagement
Il principale produttore di contatti è Facebook, che convoglia  in media circa il trenta per cento del traffico in entrata dai socialné. Per capirci, prendendo il caso di HufPostUs, ogni volta che un articolo viene pubblicato online - condiviso - nei profili di HuffPost dei vari social network, il 6 per cento del traffico di ritorno al sito, proviene da Facebook, il restante se lo dividono Twitter, Reddit e gli altri.
Una prima analisi, riguarda proprio quel restante, che sommato alla quantità di Fb porta al massimo ad un valore di 9.7% - caso del Washington Post - e medie intorno al 5. Questo significa che al di là delle considerazioni entusiaste che si stanno facendo, soltanto il dieci per cento - scarso, a dire il vero - delle visite, arriva ai siti dei principali quotidiani del mondo, di ritorno dai social network.
La dominazione di Facebook è con ogni probabilità legata alla maggiore quantità di utenti attivi, che dalle ultime rivelazioni ufficiali avrebbero raggiunto il miliardo - è pensabile che il dato sia di gran lunga superato. Contro i circa 200 milioni di Twitter.
Ma la questione si lega anche molto al meccanismo di condivisione che Facebook rappresenta. Con momenti in cui si può assistere a impennate di sharing - e dunque dei contatti di ritorno - per determinati articoli con oggetto determinati temi. Con l'instaurarsi di vere e proprie reazioni a catena.
Un esempio può essere fatto collegando la riflessione alla mia esperienza con quell'articolo di cui vi avevo parlato - quello con cui raggiunsi per la prima volta i "1000 like". Ora quei "like" sono diventati 1500, segno che il pezzo ancora viene letto - e apprezzato (?) - anche se sono passati un ventina di giorni. L'argomento d'altronde, non aveva particolari scadenze.
Da poche analisi speditive, richieste al sito in cui è stato pubblicato, ho registrato che le visualizzazioni sono state intorno alle 2000, mentre il tempo di permanenza di circa due minuti e mezzo.
Con ordine: le visualizzazioni sono state molto poche, in relazione al discorso che riguarda i "like". Si tratterebbe di un 50% di condivisione (con "like", diciamo engagement) - saranno aumentate, il dato è di un po' di tempo fa e si riferisce a quando si era a quota 1100. Ora, visto che non sono un evangelista, siamo proprio fuori senso. O forse no.
L'argomento di cui si parlava è il punto: o meglio, la parte percepita dell'argomento di cui si parlava. Il tema era quello dello stipendio dei dipendenti della Camera, stipendi altissimi, fuori da ogni logica di mercato - i barbieri, per dire, guadagnavano dieci volte i guadagni medi di un barbiere extra-Montecitorio. Il fulcro attorno a cui girava quel pezzo, era mettere a nudo situazioni - si diceva ad un certo punto anche con un certo fare didascalico - in cui i privilegi non erano strettamente inquadrabili nei politici eletti. Non solo: occorreva, allora, spostare l'obiettivo sull'intorno, sull'indotto della politica, tralasciando proprio quegli eletti - deputati e senatori, come consiglieri regionali o provinciali, rei di godere d'ogni ben di Dio, che è vero, ma non basta.
Il pezzo per certi versi aveva un sottofondo provocatorio, come dire "ehi voi che ce l'avete con la Casta, avete sbagliato Casta!". Ma in questo senso non credo sia stato capito perfettamente. Con ogni probabilità, dato l'alto rapporto percentuale lettori/like, ci dev'essere stata una sorta di compulsione nella condivisione su cui si è sviluppato tutto quell'apprezzamento.
Mi spiego: se i lettori fossero stati dieci mila, allora avrei avuto fiducia che quei mille e passa stavano con me. Nel senso che, leggendo il pezzo, si trovavano d'accordo con il taglio al di fuori del populismo e della retorica della Casta, che avevo dato all'articolo. Ma non credo sia così.
Credo invece - e il tempo di permanenza, che poi corrisponde al "per quanto hanno letto il pezzo", salvo qualcuno che ci s'è addormentato davanti, mi aiuta - che chi è arrivato al mio articolo si è soffermato sul titolo e sulle prime righe fino a circa la metà. Ho provato a leggerlo e il mio tempo medio è di tre minuti e mezzo, uno in più rispetto a quello della permanenza. Significa dunque che la parte finale - quella della mia considerazione sulla dissimulazione dei privilegi in una mappa molto ben articolata e mimetizzata, non soltanto sugli scranni degli eletti - non è stata letta, o non è stata letta con attenzione.
Significa altresì, che si è arrivati fin dove venivano elencati i numeri di quei guadagni, e cioè fin dove la preconcetta visione del lettore su quel che c'era scritto, in base al titolo, si voleva fermare.
Da lì, o da qui, è scattato il "like" compulsivo. Chi leggeva condivideva, sull'onda dell'indignazione e di quell'anticastismo dilagante, di quel frame incarnito, di quel meme consolidato. "Ehi, guardate, ne hanno scoperta un'altra di quelli là!".
Si innescano così le dinamiche della riprova sociale: la forza che ci spinge a compiere un'azione, quando sappiamo che è stata svolta anche da altri. E così si ragionava che, visto che molte persone hanno messo il "mi piace", in linea di massima quell'articolo è buono, davvero e non era soltanto una mia impressione. Il "like" diventa virale, tanto che più ce ne sono e più ne vengono: mettere il milleduecentesimo "mi piace" non vale lo stesso di mettere il secondo. Nel primo caso lo si fa con più disinvoltura e oltretutto con maggiore sicurezza: si entra a far parte del gruppo vincente (vincente perché più numeroso, sia chiaro). È un po' "ehi metto anch'io un like, perché se lo hanno fatto gli altri dev'essere una cosa diffusa, figa, giusta, buona!" ed è proprio il fatto che sia diffusa, dunque figa, dunque giusta, dunque buona, a renderla così.
Meccanismo di "fiducia e emulazione": non siamo sicuri nemmeno che quel che "ci piace" ci piaccia davvero, ma la riprova sociale elimina ogni insicurezza. A questo si abbina una sorta di concetto di mirroring - utilizzato dalla Programmazione Neuro Linguistica (PNL) per indicare il meccanismo comunicativo in cui si compiono inconsciamente azioni ricalcando quelle altrui.
E così, dunque, si torna nel merito della questione: il tema dell'articolo. Condivisibile e sentito, tanto da innescare il meccanismo: se avessi parlato della Trasformata di Fourier - che adesso mettermi a spiegare cos'è mi sembra quanto meno fuori luogo - non avrei avuto lo stesso successo, tanto per capirci. E non saremmo arrivati a quel numero e non staremmo qui a parlare di traiettorie sociologiche.
Il tema è stato di sicuro il merito del successo, il bene, se per bene si può considerare il peso delle condivisioni, il vendere il pezzo un tanto al chilo. A questo si è collegato tutto ciò che riguarda l'aspetto superficiale del successo, con quei meccanismi antropologici spesso compulsivi.
Rammarico, per certi versi, ma c'era da aspettarselo: qui, nel mondo eletto del popolo della rete - tanto per usare qualcosa di brutto, come l'anticastismo - ancora l'approfondimento e il pensiero, giocano un ruolo marginale. Ci si ferma alla confezione, senza nemmeno guardare troppo quel che c'è dentro: soprattutto per i grandi numeri.
Non crediamoci di essere troppo diversi da fuori di qua: abbiamo forse metodi e sentimenti diversi, o forse nemmeno troppo.
Nota: l'argomento è molto complesso e ricco di studi e validi approfondimenti (se vi interessa cercate in giro), quello che trovate in questo post è una sorta di analisi di un'esperienza personale e niente di più. 



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