Oggi è il 15 Aprile. Nel 1452 nasceva un certo Leonardo da Vinci. Qualche secolo più tardi era il turno del sottoscritto (per la precisione, nello stesso orario in cui il Titanic concludeva il suo inabissamento; vorrà forse dire qualcosa?).
Ora, da qui a qualche mese, da quando cioè il buon Duca mi ha convertito al Quattrismo – pure voi, pagani, pentitevi e abbandonate le false divinità! – tutte le sere, prima di andare a dormire ho pregato il sommo Quattro (ma anche Chtulhu, giusto per non sbagliare) di farmi partecipe della sua volontà con un segno.
E così è stato.
Domani Dopodomani, infatti, uscirà un film Steampunk di cui di certo parlerò nei prossimi giorni. Ma dall’alto della sua bontà, il Quattro mi ha fatto pure un altro dono, ovvero un interessante articolo di Paul di Filippo sulla rivista online Barnes and Nobles Review, uscito giusto ieri. Per tutti coloro che non avessero idea di chi caspio è Paul di Filippo, rimando allo spoiler qua sotto.
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L’articolo di di Filippo è interessante per una serie di ragioni.
La prima è che in poche righe definisce i tratti essenziali e della genesi e dell’anima dello Steampunk, andando a ripescare tra l’altro una divertente serie del 1965, Wild Wild West (scordatevi però l’orripilante trasposizione cinematografica del 1999 con Will Smith e Kevin Kline).
Il guardare agli anni Sessanta come uno dei momenti chiave per lo sviluppo dello Steampunk non è un dato da sottovalutare. Infatti molto spesso all’interno di questo genere vengono erroneamente inseriti autori Ottocenteschi, primo fra tutti Jules Verne (la stessa versione italiana di Wikipedia lo segnalava tra gli autori Steampunk fino a poco tempo fa). Nulla di più sbagliato. Infatti Verne, così come qualsiasi altro autore di Fantascienza dell’epoca vittoriana, anche quando ambientava le sue opere nel periodo a lui contemporaneo descrivendo oggetti tecnologicamente futuribili come per esempio il Nautilus, lo faceva con l’occhio di chi guarda al futuro, e non al passato, come invece (in parte) fa un autore di Steampunk. Detto in maniera più semplice: è l’approccio a cambiare. Non basta qualche tubo e un po’ di vapore perché un’opera possa essere definita Steampunk.
Il secondo punto fondamentale dell’articolo di di Filippo su cui occorre soffermarsi riguarda lo Steampunk inteso non solo come genere narrativo, bensì anche come autentico fenomeno culturale:
For every reader and writer of steampunk fiction, there are probably hundreds or thousands of other activists who gleefully embrace some non-written manifestation of the steampunk ethos.
Ecco, è proprio questo quello che più mi affascina dello Steampunk: il travalicare la narrativa per trasformarsi in vera esperienza a 360 gradi. Alcuni potrebbero vedere in tutto ciò una semplice stravaganza, al pari di un cosplayer che si traveste da personaggio dei fumetti. Ma non è così. La differenza, e qui ci metto del mio, è che un cosplayer “classico” imita qualcun altro; un cosplayer steampunk non imita nessuno: egli è e rimane se stesso, solo in una versione alternativa. Differenza da poco anche qui? Non credo, in quanto alla base di tutto ciò risiede la voglia e volontà d’indagare sul proprio “IO alternativo”. La potremmo quasi definire una forma molto particolare di documentazione; perché il vero Steampunk si nutre anche di una certa dose di nostalgia e celebrazione del passato (termini non a caso usati sempre da di Filippo). Il vero Steampunk necessità conoscenza. L’improvvisazione non esiste, e se esiste viene smascherata in fretta.
Un’indagine, se così la vogliamo definire, che però non deve in alcun modo essere fine a se stessa. Scrive sempre di Filippo:
Thick-lensed goggles of funky brass and leather are a trademark signifier of steampunk. But frequently, beyond a certain fashionableness theirutility is negligible. So when Cherie Priest goes to the trouble in her novel Boneshaker to provide a clever rationale for the existence and prevalence of such eye gear, you know you’re in for a meticulously conceived and executed ride.
Insomma, proprio come dicevo poco sopra, non basta parlare di tubi e vapore (o, in questo caso, di spessi occhiali in ottone e cuoio) per dar vita a un racconto Steampunk. Occorre anche giustificare ogni propria scelta. Un discorso molto simile, per non dire identico, l’ho fatto più e più volte in riferimento al Fantasy classico. Non ha senso descrivere guerriere amazzoni (s)vestite di sola pelle, se poi simili scelte non hanno alcuna utilità che non sia attirare l’adolescente in crisi ormonale. Proprio come in una partita a scacchi, ogni scelta deve essere ponderata con cura, motivata, deve andare a incastrarsi alla perfezione con quanto la circonda; e se così non avviene allora va scartata, senza remora alcuna.
Per tirare le somme, ciò che ho apprezzato dell’articolo di di Filippo è l’approccio che ne costituisce l’ossatura. Si tratta di un pezzo semplice, lineare, e proprio per questo adatto soprattutto a chi si comincia ad affacciare al genere. Al suo interno lo steampunker di lungo corso non vi troverà infatti nulla di nuovo; anzi, potrebbe pure considerarlo lacunoso nel suo non accennare, se non di sfuggita, alla matrice politica o ancora allo Steam-Fantasy. Ciononostante, tutti gli elementi principali (definizione, elementi costitutivi, sostrato culturale, metodologia di lavoro) sono presenti e dal sottoscritto condivisi in pieno, visto che si tratta di punti da me più volte ripetuti, seppur in riferimento ad altri generi. Anche questi sono i piccoli piaceri della vita.
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