Voto la sfiducia, ma non poosso strappare la tessera, perchè l'ultima tessera l'ho rinnovata nel 1976. Le parole assolutorie di Napolitano per salvare il SUO governo, e quelle auto-assolutorie di Epifani e Letta per salvare "culo e poltrona annessa", hanno creato enorme sconcerto in quei milioni di (ex) elettori del PD, ancora convinti che fra sinistra e Forza Italia debbano esserci delle differenze.
Il discorso di Napolitano è stato indecente. Non è più accettabile andare avanti con "Governo del Non Fare Un Cazzo" che riparte ogni mese con un programma di 18 mesi. Mi ricorda tanto quei cartelli che c'erano nelle "botteghe" alcuni decenni fa: "Oggi non si fa credito, domani si". Una specie di "Calendriér Perpetuel", col "refresh" incorporato. Ora BASTA. Napolitano avrebbe dovuto dare a Letta (è sempre in tempo a farlo) il mandato di presentare in UNA SETTIMANA un decreto-legge per l'abrogazione del Porcellum. Punto. Non ci sono le condizioni per fare nient'altro con questa maggioranza. Nè improbabili riforme istituzionali (stiamo scherzando???) né riforme economiche che tolgano a chi ha di più per dare a chi ha di meno.
Anche se la cosa non è breve, vorrei che tutti leggessero (e meditassero) sull'articolo odierno di Massimo Giannini su Repubblica, e sull'intervista di Gianni Cuperlo su l'Unità. Non c'è più tempo per giochini in 80 punti o in 18 mesi. Votare la sfiducia ad Alfano, costi quel che costi, e lasciare il cerino in mano ad Angelino e ai suoi magnaccia. Urge recuperare un minimo di verginità. E, per piacere, non si scambi Renzi per un Savonarola bruciato dal sacro fuoco. Renzi sta solo facendo quello che ha sempre fatto per anni: tutto ciò che serve - secondo la sua miope visione - ad indebolire il PD per rafforzare se stesso. Renzi non rafforzerà un bel nulla. Finalmente sappiamo quante divisioni ha. In senato: i renziani che hanno dichiarato di seguire le indicazioni di Renzi sono 7 (SETTE) su 108: il 6,48%. Questo è tutto. Tafanus
"Il Padrone Kazako" (di Massimo Giannini - Repubblica.it)
Quello che invece non dice ai senatori, il ministro dell’Interno, è ciò che è scritto nelle sette cartelle precedenti di quel rapporto, intitolate “Cronologia dei fatti”, dove alla pagina 2 si può leggere ciò che accadde davvero «il 28 maggio», «nella serata»: «Il ministro dell’Interno, a seguito di ulteriori telefonate dell’Ambasciatore, cui non ha risposto, fa incontrare lo stesso con il suo Capo di gabinetto». Quello che non dice ai senatori, il ministro dell’Interno, e ciò che invece riconosce il suo stesso Capo di Gabinetto, ora costretto alle dimissioni e finora unico capro espiatorio dell’intera vicenda, nell’intervista non smentita rilasciata ieri a “Repubblica”. Alla domanda di Carlo Bonini: «Era stato il ministro Alfano a chiederle di ricevere l’ambasciatore kazako?», Giuseppe Procaccini testualmente risponde: «Sì. Ero stato informato che l’ambasciatore doveva riferirmi una questione molto delicata ». E poco più avanti, alla domanda: «Dunque il 29 maggio il ministro dell’Interno sapeva che la diplomazia kazaka aveva chiesto l’arresto di un latitante? », il funzionario ammette: «Sì. Di un pericoloso latitante».
Eccole, se ancora ce ne fosse bisogno, le prove dell’omertà che rendono indifendibile Alfano, e non più sostenibile la sua posizione dentro il governo. Per un mese e mezzo il ministro dell’Interno, e con lui quello degli Esteri, hanno vissuto o hanno fatto finta di vivere in un vuoto politico e pneumatico, dove la sovranità statuale è stata sospesa, e dove la potestà ministeriale è stata disattesa. Alfano e Bonino non hanno visto, sentito o parlato. E hanno lasciato che, a ordinare, a gestire e a decidere della sorte di due cittadine straniere, sul territorio italiano, fosse il «padrone kazako», cioè il satrapo dispotico Nursultan Nazarbaeyev, attraverso i suoi messi diplomatici. Lo dicono i fatti, e lo confermano i documenti ufficiali.
È Yelemessov, la sera del 28 maggio, a irrompere al Viminale, ad esigere il blitz nella villetta di Casal Palocco, a prendere parte insieme ai funzionari della Ps alla «riunione operativa» nell’ufficio di Procaccini, che lo stesso (ex) Capo di Gabinetto, nell’intervista a “Repubblica” di ieri, racconta sia «finita molto tardi».
È Yelemessov, attraverso il suo consigliere Khassen, a forzare la Questura di Roma per avviare l’operazione, spiegando che il dissidente Ablyazov «è un criminale pericoloso in contatto con gruppi armati terroristici ». È Yelemessov, attraverso Khassen, a concordare il 30 maggio (dopo il blitz che non ha portato alla cattura di Ablyazov, ma al sequestro di sua moglie e sua figlia) le procedure di espulsione di Alma e di Alua, a «rappresentare alla Questura il timore che un transito a Mosca possa diventare l’occasione per un attacco organizzato dal ricercato», e a comunicare alla stessa Questura che la Shalabayeva «potrebbe usare un passaporto falso della Repubblica del Centro Africa» (comunicazione poi rivelatasi a sua volta falsa). È Yelemessov, attraverso Khassen, a fornire il 31 maggio alla Questura i documenti di viaggio di Alma e Alua e a proporre «la possibilità di un volo diretto verso la capitale del Kazakhstan, in partenza dall’aeroporto di Ciampino alle ore 17». E infine è ancora Yelemessov, attraverso Khassen, a prendere direttamente in carico madre e figlia poco prima delle 17 del 31 maggio, e ad imbarcarle «sul volo della compagnia austriaca Avcon Jet, proveniente da Lipsia e diretto ad Astana».
Com’è evidente, per ragioni che vanno al di là della pura e semplice inefficienza delle burocrazie amministrative, un bel pezzo di sicurezza nazionale è stata nelle mani delle autorità kazake, mentre quelle italiane si bagnavano nell’acqua di Ponzio Pilato. Il “padrone kazako” è stato il vero gestore di questa «rendition all’amatriciana », che ha ridicolizzato l’Italia di fronte al mondo e l’ha esposta a una più grave violazione dei diritti umani nei confronti di una donna e della sua figlioletta di sei anni. Può ritenersi soddisfatto, l’ambasciatore kazako, che ora un’indignata Bonino convoca inutilmente alla Farnesina. Yelemessov se n’è già andato in ferie: un meritato «viaggio premio», perché lui la sua «missione» può dire di averla a tutti gli effetti compiuta.
Sono le autorità politiche e amministrative italiane che, invece, la loro missione l’hanno miseramente fallita, o volutamente sfuggita. Bisognava ammetterlo subito, senza rifugiarsi dietro l’ormai solita scusa tartufesca del misfatto «a mia insaputa». Bisognava che Alfano lo riconoscesse subito, assumendosi fino in fondo e a viso aperto le sue responsabilità, senza scaricarle sulla tecnostruttura che comunque dipende da lui, e senza la penosa e pelosa «chiamata di correo» nei confronti di Enrico Letta. «Né io né il premier sapevamo nulla», ribadisce il ministro. A sproposito, perché nessuno ha mai insinuato che il presidente del Consiglio sapeva o avrebbe dovuto sapere fin dall’inizio cosa successe in quei frenetici giorni di fine maggio, nel quadrilatero oscuro Viminale- Casal Palocco-Ponte Galeria-Ciampino.
Questa colpa «in vigilando», o questo dolo «in agendo», pesa tutto intero sulle spalle del ministro dell’Interno. Che se non sapeva è stato negligente, e se sapeva è stato reticente. Forse ha agito in base a ordini superiori, vista la spregiudicata disinvoltura con la quale la «falange kazaka» ha orchestrato e diretto le operazioni italiane, certa di poter pretendere un «sequestro di persona» in cambio dei buoni affari conclusi a suo tempo dall’ex premier Berlusconi con gli zar del petrolio ex sovietico. Forse è stato addirittura scavalcato dal suo leader, che di Nazarbayev è molto più amico di quanto non riconosca lui stesso nell’intervista al “Corriere della Sera” di ieri, in cui il Cavaliere blinda Alfano e il governo definendo «assurde queste mozioni di sfiducia presentate dalle opposizioni, che impegnano il Parlamento e fanno perdere tempo in un momento così difficile e preoccupante». Non male, detto dal capo-popolo di un partito che solo una settimana fa, dopo la semplice fissazione di un’udienza della Cassazione, ha minacciato l’Aventino chiedendo la «serrata » delle Camere per tre giorni consecutivi.
Comunque siano andate le cose, Alfano aveva il dovere di dimettersi da ministro dell’Interno. E quel dovere lo ha ancora. Non è troppo tardi, per un gesto di serietà istituzionale e di onestà intellettuale di fronte al Paese. E il Pd non dovrebbe dividersi né provare imbarazzi inutili, nell’invocare ed esigere quel gesto. Non dovrebbe rassegnarsi alla logica che lega inestricabilmente la sorte personale di Alfano a quella del governo. E invece è esattamente quello che fa: scivolando sempre di più, in nome di una governabilità a qualsiasi costo, sul piano inclinato del compromesso al ribasso. Si dice che la richiesta delle dimissioni di Alfano indebolisce il governo, o addirittura lo espone al rischio di una crisi.
Ma proviamo a rovesciare la visuale. È quello che è accaduto, cioè lo scandalo kazako, ad aver indebolito irrimediabilmente il governo e ad averlo esposto al pericolo di una caduta. Non è quello che dovrebbe accadere, cioè la doverosa uscita di scena di chi ha sbagliato, a minacciare la sopravvivenza della Grande Coalizione. Se non si erigono le barricate dell’ideologia, è possibile separare il destino del ministro dell’Interno dal futuro delle Larghe Intese. Il governo Letta potrebbe persino rafforzarsi, se riuscisse ad uscire da questo pasticcio kazako con una soluzione decorosa. L’autoassoluzione della politica, che per durare insegue di volta in volta l’impunità formale e sostanziale, non lo è affatto. Se la «pacificazione» produce assuefazione, non ci rimette solo la sinistra. Ci rimette l’Italia.
L'intervista a Gianni Cuperlo (di Vladimiro Frulletti - l'Unità)
«Un atto di responsabilità», rimettere il proprio incarico nelle mani di Letta, per salvare il governo, ma soprattutto la faccia dell’Italia. È questo che chiede il deputato Gianni Cuperlo ad Alfano avvertendo, nello stesso tempo, il Pdl a farla finita con i ricatti.
«Prima di tutto dobbiamo dare un giudizio sulla ricostruzione della vicenda».
E lei che giudizio dà?
«Per come è stata fatta in Parlamento dal ministro dell’interno la ricostruzione della vicenda è apparsa a molti, direi quasi a tutti, insufficiente»
Perché?
«Perché siamo davanti a un fatto gravissimo che ha visto il nostro Paese violare i principi e le regole del diritto internazionale nella sfera fondamentale del rispetto dei diritti umani. E purtroppo ci sono ancora aspetti da chiarire in tutta questa vicenda».
Cosa non la convince nella ricostruzione fornita dal ministro?
«Va chiarito come e perché ha agito ha agito tutta la catena di comando che ha gestito quelle ore così delicate che partono dal fermo dalla signora Shalabayeva e della figlia al momento in cui vengono fatte salire su un aereo privato di proprietà o comunque inviato dal regime kazako violando ogni regola e ogni precauzione riguardante la sicurezza di una mamma e di una bambina. Per questo è doveroso che in primo luogo si attivi, attraverso ogni canale diplomatico, per garantirne la sicurezza, ma è necessario anche che non archivi questa vicenda eliminando ogni zona d’ombra residua sulle responsabilità».
Il governo ha ribadito che non ci sono responsabilità politiche.
«Io invece ritengo che vada eliminato ogni dubbio affinché la credibilità delle istituzioni e del governo stesso non venga indebolita».
E quindi il ministro dell’interno deve dimettersi?
«Sarebbe un atto di sensibilità istituzionale se di fronte a questi eventi e agli sviluppi che hanno avuto, il ministro Alfano scegliesse di rimettere le sue deleghe nelle mani del Presidente del Consiglio ».
Così il governo non rischia di cadere?
«Al contrario questo gesto consentirebbe di procedere sulla via della massima chiarezza e metterebbe il governo nella condizione di portare avanti quell’azione, necessaria soprattutto sul piano economico e sociale, e che sta cominciando a dare dei segnali positivi».
Non crede che il Pdl farà cadere il governo se Alfano sarà costretto al passo indietro?
«Sono convinto che il Pd in modo unitario debba sostenere l’azione del governo per consentirgli di fare le cose su cui ha ottenuto la fiducia delle Camere. E credo che sarebbe nell’interesse di tutti e quindi anche del Pdl garantire con senso di responsabilità una risposta ferma anche a chi spinge per una crisi di governo che sarebbe questa sì drammatica per il Paese».
Però Letta dice che è chiaro che il vicepremier non ne sapeva nulla, che Alfano è totalmente estraneo. Non è sufficente?
«Venerdì il presidente del Consiglio andrà al Senato e ascolteremo con grande attenzione e rispetto le sue parole. Sono convinto che il premier si sia mosso con assoluta correttezza invocando la massima trasparenza e revocando il decreto di espulsione. Ma qui siamo di fronte ad aspetti non ancora chiariti. E si tratta di aspetti gravi. Ma come è possibile che nessuna autorità di governo, o della pubblica sicurezza, o dei servizi non sapeva che quello che l’ambasciatore kazako definiva un pericoloso ricercato invece era un dissidente politico che godeva dello status di rifugiato riconosciuto dal governo britannico? Bisogna capire per quali ragioni con un provvedimento di espulsione accelerata si sono consegnate una mamma e una bambina, moglie e figlia di quel dissidente, a un regime autoritario sottoposto più volte a dei rapporti severissimi da parte di Amnesty sulla repressione del dissenso politico. E soprattutto c’è da capire perché tutto questo sia avvenuto senza investire o mettere a conoscenza l’autorità politica. È questo che richiede un’atto di sensibilità istituzionale al ministro Alfano ».
Il premier da Londra ha ribadito che è la stabilità il primo obiettivo che dovrebbero porsi i partiti al governo. Sembra un messaggio chiaro al Pd.
«Noi siamo impegnati, e in questi mesi l’abbiamo fatto con una lealtà assoluta, a garantire la stabilità di questo governo. Chi ha invece l’ha ripetutamente e puntualmente minacciata è stato il Pdl con un atteggiamento di costante ricatto e minaccia: “o si fa così o cade il governo, o si toglie l’Imu a tutti o il governo non c’è più”. Il Pd ha sempre dimostrato equilibrio, ragionevolezza, sostegno leale e autonomo, incalzando il governo ad accelerare decisioni per alleviare la sofferenza della fasce sociali più colpite dalla crisi. È curioso che sul banco degli imputati sia messo il Pd».
In Senato c’è la mozione di sfiducia di Sel e Movimento 5 Stelle. I senatori renziani e anche Puppato chiedono al Pd di votarla...
«Un atto di responsabilità del ministro permetterebbe di non arrivare a quel voto. I senatori Pd decideranno tutti assieme quale atteggiamento tenere, ma mi sembra evidente che un voto del Senato che sfiduciasse il ministro dell’interno avrebbe elevate possibilità di produrre conseguenze politiche».
Se lei fosse al Senato non voterebbe la mozione di sfiducia?
«Ripeto, occorre evitare di arrivare al voto su quella mozione attraverso un atto di responsabilità politica e sensibilità istituzionale».
Ma perché anche di fronte a questi passaggi che dovrebbero produrre posizioni unanimi, il Pd si mostra diviso?
«Il Pd è unito nel dire che ci troviamo di fronte a un fatto enorme e che è necessario che il governo faccia chiarezza fino in fondo. Poi è vero che siamo in una maggioranza strana, e noi lavoriamo affinché compia il compito che s’è data in un tempo ragionevole e che parallelamente il Parlamento acceleri il cambiamento della legge elettorale per liberare il Paese dal ricatto del Porcellum perché non è possibile tornare a votare con le attuali regole».