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Di italiani dai piedi leggeri, ma anche no

Creato il 09 agosto 2010 da Andima
C'è un articolo de Il sole 24 ore che da qualche giorno gira e rimbalza da una social network ad un'altra, descrivendo gli italiani all'estero come specie dai piedi leggeri, come nuova classe dirigente che si va formando senza corruzione né nepotismo, senza compromessi né raccomandazioni, che abbandona l'Italia in cerca di qualcosa di migliore e la trova e soprattutto "non si tratta di emigrati nel vero senso della parola e nemmeno di una fuga di cervelli, ma di italiani, ragazzi e ragazze, uomini e donne che stanno all'estero in Europa «come se fossero in Italia»".
E tu che lo leggi, ragazzo italiano all'estero, ti senti emozionato, è quasi una sviolinata, parla di te, ti ci immedesimi, qualche ricordo sale alla memoria, di quelli di valigie ed imprevisti, ti immagini tra qualche riga e quasi vorresti che la tua foto fosse lì, in mezzo all'articolo, magari con un bel sorriso e sullo sfondo la città dove vivi all'estero, un sorriso bello ma non troppo altrimenti ti si potrebbe vedere la carie che ancora devi curare ma attendi di andare dal dentista in Italia perché all'estero non ti fidi; e ti immagini anche intervistato, con quel sorriso, a mostrare il piede "sì, i miei piedi? Sono quelli di emigrato, sono leggeri, non si direbbe lo so, porto un 42, a volte con le scarpe sportive mi calza anche il 41, ma sono piedi leggeri eh, l-e-g-g-e-r-i".

Ma fermi tutti. Calma. Di cosa stiamo parlando? Di italiani che emigrano in cerca di qualcosa di migliore ed hanno i piedi leggeri. E dov'è la novità? Se ondate di emigrazioni italiane esistono da più di 150 anni verso ogni parte del mondo, le nuove generazioni non sono certo supereroi al confronto con chi nel dopoguerra lasciava la terra natia con la famosa valigia di cartone, per un viaggio in treno di qualche giorno o per una nave in balia del mare per settimane.
L'evoluzione della società moderna ha apportato migliorie indiscutibili nel tenore medio di vita, almeno nel mondo occidentale benestante, così oggi si emigra con la carta di credito ed un laurea da dimostrare, con il cellulare innestato nel rene e l'account skype per salutare mamma, con un volo low cost che con 50 euro permette di arrivare a Dublino, a Londra, a Barcellona e che in caso le cose vadano male permette di tornare a casa in poco tempo e a bassi costi; l'annullamento delle frontiere, la moneta unica, le politiche comunitarie, progetti come Erasmus e Leonardo hanno sicuramente facilitato l'idea dello spostamento in Europa e adesso i piedi sono leggeri, sì, perché agevolati dai tempi, dal dinamismo del villaggio globale e se si ha voglia di provarci, di andare altrove e tentare, lo si può fare con una facilità disarmante.
Quando mio nonno emigrò negli anni 60 in Germania, senza conoscere la lingua né poter permettersi un albergo a destinazione, per lavorare in una fabbrica ed inviare soldi in Italia, scavalcando montagne di difficoltà, i suoi piedi erano sicuramente meno leggeri, trascinandosi dietro catene di sacrifici e necessità, ma è anche grazie ai suoi sforzi se oggi i miei sono più leggeri, se le generazioni precedenti ci hanno permesso di laurearci ed avere una scelta. E allora il fenomeno dei piedi leggeri non è altro che un'evoluzione dello stesso ininterrotto flusso migratorio del passato, aggiornato al web 2.0 e agevolato dal progresso incessante. Nessuna novità. E certamente non è un fenomeno tutto italiano, di ragazzi con i piedi leggeri ce ne sono in tutti i paesi, anzi a maggior ragione dove la formazione della lingua inglese permette a ragazzi francesi, tedeschi, polacchi di comunicare senza troppe difficoltà rispetto alla nostra balbettante media da brividi.

E allora lasciamo stare i piedi e le leggerezze non conquistate: siamo soltanto figli dei tempi, magari spinti con maggior propulsione da una classe politica inefficiente, saturi della cultura della non meritocrazia, ma sicuramente cittadini del mondo, perché non possiamo abbattere le frontiere e poi meravigliarci se le nuove generazioni incominciano ad attraversarle; e sopratutto senza trascinarsi addosso la nazione, gli indelebili stereotipi e la voglia di trasformare Parigi in "unica città italiana che funziona" o andare a "spasso in una delle sue città europee alla ricerca di un ristorante che non ci faccia troppo sentire la nostalgia a me della caponata e a lui della piadina". Perché se davvero vogliamo che i piedi siano leggeri, dobbiamo prima alleggerire la testa da tutte quelle nozioni di nazione, sciovinismi a spada tratta o sottili ma onnipresenti, identità sanguigna e voglia di ricreare o cercare ovunque quello che si è lasciato inciampando in un'integrazione rallentata, magari muovendo il corpo ma non la mente.

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