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Di luoghi comuni, stereotipi ed ignoranze

Creato il 28 aprile 2010 da Andima
L'altro giorno di ritorno dalla costa del nord, infatuati da un sole che subito richiama la mente ed i sensi all'estate (anche se poi la brezza fredda non lascia ancora scoprirsi), ci fermiamo a Bruges per bere qualcosa. Ad un tavolo di un bar in una piazzola nei pressi del centro storico, siamo in 4: io, la mia ragazza spagnola, un mio amico francese e la ragazza lituana. Al tavolo a fianco due italiani, sui 35 almeno e dall'accento credo fossero romani o giù di lì, in compagnia di due ragazze russe, tentando un inglese balbettante e scattando foto in continuazione. Ad un certo punto uno di loro ascolta qualche parola della mia ragazza ed allora esclama "Ah, spagnola!" ed inizia uno spagnolo addirittura peggiore di quell'inglese senza senso. Io lascio fare e nessuno chiarisce che anche io son italiano. Dicono di essere turisti. La ragazza lituana risponde qualcosa, loro chiedono e si sorprendono nel sapere che vivessimo a Bruxelles. Finisce lì. Poi tra di loro a bassa voce "hai capito, vive a Bruxelles, sicuramente una studentessa, quelli poi in Lituania chissà che università hanno... e sono costretti a venire fino a qui". Una perla.
Peccato che la mia amica sia laureata in economia, parli cinque lingue e lavori presso un ente europeo qui a Bruxelles.
L'altra sera verso la fine di un party in una casa nei pressi di Place Flagey a Bruxelles, tento di spiegare ad un mio amico di Torino quale è la parole che ti riempie la bocca, o almeno così definita a Napoli da alcuni miei amici. E allora lui ci prova una due volte ed io lo aiuto "no, devi dire P-U-R-C-H-I-A-C-C-A". Una ragazza si accosta a prendere la giacca e allora esclama "ma cosa gli insegni?". Capisco subito di dove era ed arrossisco "vabbé era per scherzare". Un ragazzo dietro con un accento tipicamente veneto esclama "mi sa tanto che io parlo molto meglio di voi l'italiano". Prende anche lui la sua giacca e si avvicina alla porta "buona continuazione... e mi raccomando, parlate bene italiano". Chiude la porta e va via. Altra perla. Io ed il mio amico ci guardiamo sconvolti, scrolliamo le spalle, qualche smorfia di disapprovazione (con in mente un "che coglione").Cari lettori, se quando mi leggete trovate difficoltà con il mio italiano, cercate di capirmi, non è colpa mia, sono del sud.
Mesi fa ad un matrimonio in Italia, al tavolo eravamo io, un amico che vive a Dublino, tre signori di cui il più giovane almeno 40enne. Si inizia a parlare di qualunque cosa, giusto per non cadere nel solito silenzio tra imbarazzo e fastidio. L'argomento cade subito sul vivere all'estero: eravamo due ragazzi, uno emigrato in Belgio, l'altro in Irlanda. Un signore ci racconta d'esser stato in Germania, ai tempi dell'ondata migratoria italiana, ma in fondo all'epoca era tutto diverso. Un altro signore ci domanda "ma poi cosa mangiate lì? Chissà che vi fanno mangiare, quanto mi dispiace, poveri ragazzi", prima ancora che potessimo aprir bocca l'altro gli risponde "eh poveri ragazzi sì, li vedi, sono dovuti andare via dal paese più bello del mondo per colpa di una classe politica che non funziona bene, eh ma le cose che avete qui non le trovate da nessuna parte, questo cibo, questo clima, è tutta un'altra cosa". Poi tante altre perle su cui si potrebbero scrivere trattati lunghissimi.Pero' è vero, sto crescendo davvero male con tutte queste cose che mi fanno mangiare all'estero.
Cosa hanno in comune i nostri personaggi? Tutti avevano viaggiato, chi come turista chi come emigrato temporaneo. Ecco, la prossima volta che qualcuno mi dice che viaggiare apre la mente, gli elenco subito i miei controesempi, perché muovere il corpo non è abbastanza, se poi la mente rimane ferma.

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