Di male in peggio?

A fine gennaio Berlusconi scrisse una lunga lettera al Corriere della Sera in cui invitava l’opposizione a collaborare sull’impiego di misure a favore della crescita. La lettera seguiva una intervista al Foglio – domande e risposte di Ferrara, il premier con tutta probabilità l’aveva semplicemente avallata – sullo stesso tema: la patrimoniale mai. L’argomento era tornato in auge dopo la proposta di Giuliano Amato a cui il governo aveva garbatamente risposto picche. La patrimoniale torna di strettissima attualità, come del resto la modifica dell’articolo 41 (il che la dice lunga sul tempo perso per quanto quest’ultima idea sia decisamente più complessa), in quanto chiave di scambio con le pensioni (su cui Bossi ha posto il veto) da inserire nell’anticipo della manovra. Berlusconi, stando ai rumors, sarebbe metaforicamente disposto ad un passo indietro in caso di imposizione di una patrimoniale perché, sostiene, “verremmo meno al patto con i nostri elettori e smentiremmo tutte le nostre convinzioni”. In un’intervista a Linkiesta, Gianluca Verzelli, vicedirettore centrale di Banca Akros (Bpm), afferma che “serve uno sforzo concreto sui costi della politica. Significherebbe guadagnare 100 punti di spread e la credibilità che abbiamo perduto. Fare invece una patrimoniale vorrebbe dire poi tornare al livello di prima, senza dimenticare la depressione di una crescita economica già anemica come la nostra. Una patrimoniale la vanificheremmo in tre mesi. Ricordiamoci poi che non è questione solo del governo Berlusconi. La colpa è bipartisan, comprese diverse parti sociali come i sindacati. Il nostro problema, lo ripeto, è di classe dirigente”. E poi aggiunge che mentre per la Spagna le urne sono un’opportunità, per noi potrebbero non esserlo. Le pensioni non si toccano (anche secondo Bersani), la patrimoniale è iniqua, altre vie di uscita non se ne vedono. Di male in peggio, insomma.