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Comunque, riprendendo il filo... Per ora non è un brutto festival. E rispetto all'anno passato ha una qualità media (andando a naso) decisamente più alta. E se ad esempio non sono all'altezza del concorso il francese Polisse, una copia malandata di Legge 627 di Tavernier, con al massimo qualche bella scena da commedia acida, e l'autraliano Sleeping Beauty, incomprensibile saggio sulla banalità della bellezza tra Kubrick e Lynch, lo è a tutti gli effetti (e complimenti chi ha avuto il coraggio di mettercelo) un film sorprendente come Footnote di Joseph Cedar, storia dell’invidia e dello scontro tra un padre e un figlio entrambi filologi del Talmud, divisi dal successo del più giovane e dal risentimento del più vecchio. Con molti punti di contatto con Habemus Papam (che contribuisce ad alzare il livello della competizione), il film è una riflessione in pura comicità ebraica - cioè feroce, suicida e vagamente sinistra - sul potere e sul successo, sul talento e la rivalsa tra vecchi e giovani.
Attraverso una guerra intestina spietata ma al tempo stesso morale, costruisce personaggi sia ambigui sia onesti, condannati dalla loro fortezza (e il corsivo non è una svista) a vivere imprigionati dal ruolo che hanno imposto agli altri o che gli altri hanno imposto loro. Footnote è un film sul peso delle parole nell'era delle parole in fumo, un cul-de-sac delle motivazioni personali che trasforma una presunta societa civile in un'arena senza regole o, meglio ancora, distorta dal senso dell'assurdo celato da ogni regole. In fondo, credo sia una versione cinematografica del capolavoro di Martin Amis L'informazione: ci sono la stessa acidità e lo stesso senso del paradosso che rendevano quel romanzo una riflessione piuttosto definitiva sulla prigione in cui ogni uomo, artista o scienziato che sia, si rinchiude per farsi largo nella società.
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