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Di recensioni negative e denigrazioni pubbliche

Creato il 11 febbraio 2015 da Ceenderella @iltempodivivere

Credo che la linea di demarcazione che separa una recensione negativa dalla denigrazione di un’opera sia molto sottile, labile a tal punto che spesso saltare dalla prima alla seconda è un attimo e, forse, tante volte, nemmeno volontario. Mi capita, talvolta, di leggere su Goodreads o Amazon – più spesso, a esser sinceri, dall’estero che dall’Italia – parole dure nei confronti di autori e libri e domandarmi se e quanta verità ci sia dietro, se quelle critiche siano figlie della volontà, per me inconcepibile, di demolire una persona e il suo lavoro o se chi le ha scritte non ha saputo convogliare in maniera decente, rispettosa, il suo pensiero.
Cerco sempre, sul blog, così come nella vita di ogni giorno, di essere razionale il più possibile e non lasciarmi travolgere troppo dai sentimenti, anche se so benissimo che la lettura, per me, è sempre stata quello: un lasciarsi investire dalle parole di qualcuno, farsi cullare e portare alla deriva, vivere mondi ed emozioni che cessano di essere solo dei personaggi e diventano miei, indossare i panni di chi davvero non esiste ma prende vita dalla carta e dalla penna di qualcuno per parlar direttamente a chi dà accesso ai propri pensieri, al proprio cuore. Ma, nello scriverne la recensione, nonostante le vampate di emozioni che mi è impossibile lasciar fuori, mi trovo spesso a pensare di dover dare un parere che è personale ma quanto più logico possa essere. Mi spiego meglio. So benissimo che parlar di un libro, così come di qualsiasi altra cosa dopotutto, significa filtrarlo attraverso i propri occhi e la propria pelle; però, nei limiti del concepibile, ritengo di dover dare, a chi mi legge e ci perde del tempo, un’analisi oggettiva, basata non solo su quel che anni di studio della letteratura e dei suoi mezzi mi hanno lasciato, ma anche sulla vita per come la vedo io, e di non lasciarmi guidare semplicemente dalle sensazioni. Cerco di portar rispetto, insomma, del testo, di chi lo ha scritto e di chi lo ha apprezzato e di non ritenere il mio parere assoluto, ma, bensì, aperto a critiche che siano, allo stesso modo, dettate dall’emotività ma filtrate dal cervello. Ecco perché non accetto che mi si offenda per una recensione negativa così come non accetto offese nelle recensioni negative.
Qua sopra, sono poche le recensioni negative che ho scritto, per due semplicissime motivazioni. La prima riguarda il fatto che preferisco di gran lunga consigliare libri, piuttosto che sconsigliarli. D’altronde, da amanti della lettura, non concordate forse che è innegabilmente più meraviglioso intessere conversazioni sulla qualità di un libro, sulla prosa del suo scrittore, su tutto ciò che balza fuori dalle righe per atterrarvi addosso, che perder troppo tempo in chiacchiere sterili su quanto qualcosa non vi ha colpito? Non è forse più semplice, e gratificante, abbandonarlo e cercar qualcosa che sappia coinvolgere di più anziché intestardirsi nello spendere parole? Tanto più che quando qualcuno mi dice che sta leggendo un autore o un volume spinto dalle mie strane elucubrazioni mentali è proprio una gran bella soddisfazione che si crogiola nella speranza che anche lui o lei sappia ritrovarci le mie stesse emozioni travolgenti.
In secondo luogo, la scarsità dei miei bassi voti dipende dal fatto che  scrivo recensioni negative solamente quando nel libro in questione ho trovato qualcosa che in qualche modo mi ha colpita e mi ha spinta a rifletterci su. Tipo Ricordati di sognare della Van Dyken: un messaggio, a mio parere, sbagliato, le parole usate non giuste, l’uso di temi delicati in maniera superficiale rendono, per me, irritante un libro che, di base, altrimenti, sarebbe stato carino e sicuramente capace di farmi trascorrere una piacevole serata tra sospiri e commozione. Non solo, troppa la fretta di arrivare a un non ben precisato punto di svolta, troppe le cose lasciate in sospeso che non venivano approfondite, troppe le illogicità dei comportamenti dei suoi protagonisti; troppe le cose che non mi avevano convinta. Tuttavia, chi ha letto il libro potrà ritrovarci i miei stessi difetti oppure no, potrà sorvolare su quello che io non son riuscita a digerire, andare oltre ciò che ho percepito come inconsistente e trovarlo credibile ed è giusto che sia così, ed è giusto che si senta libero di farlo. Perché sentirsi vittimizzato per aver amato un libro è illogico, oltreché insensato. Non mi piace attaccare il lavoro di qualcuno e il suo impegno, e provo sempre a non farlo, anche se calibrare la vena sarcastica che spesso fa perdere le staffe a chi mi ha attorno non è semplice, seppur necessario. Ecco perché, di nuovo, non accetto che mi si offenda per una recensione negativa così come non accetto offese nelle recensioni negative. Posso capire che un romanzo non sia piaciuto, posso accettarne delle critiche, purché costruttive, allo stile, ai suoi protagonisti, al mondo che l’autore ha creato, posso comprendere che si scelga di abbandonarlo o relegarlo tra quelli che mai e poi mai si vorrà rileggere; non posso capire – né voglio farlo – la pubblica gogna, però. È una mancanza di rispetto, che coinvolge non solo chi ha scritto il libro in oggetto ma anche chi lo ha apprezzato ed è, allo stesso tempo, una realtà sulla cui tristezza non voglio nemmeno esprimermi troppo a lungo. La trovo una squallida diffamazione, un sintomo di una falla così grande nell’esprimere le proprie opinioni che potrei accettare solamente da ragazzini ancora immaturi e non da adulti fatti e finiti; perché, inoltre, è umiliante, per chi la fa, specialmente se nascosto dietro il bozzolo sicuro che uno schermo e una connessione internet sanno creare meglio di qualunque altro mezzo. Non la concepisco, quindi, e non mi interessa se una volgarizzazione tale è mossa dalla ricerca di consenso sociale o semplicemente dal gusto ricavato dallo spremere fino al midollo qualcosa per metterne in luce tutte le più minuscole ombre. La trovo di cattivo gusto e vi autorizzo a farmelo notare, qualora oltrepassassi quel limite che separa il rispetto dall’offesa gratuita perché mai vorrei che qualcuno si senta colpito in pieno dalle mie parole né, da blogger, da studentessa di Editoria, da semplice avida lettrice, voglio lasciarmi cadere nel facile tranello del ritenermi sul piedistallo a gettare grandi e inossidabili giudizi dall’alto in virtù della possibilità di avere un blog, dei miei studi o del percorso lavorativo che vorrei veder realizzato. Ripeto, il rispetto, prima di tutto quanto, deve accompagnare ogni relazione, sia essa virtuale o faccia a faccia, si tratti di osservazioni su un romanzo o su qualsiasi altro aspetto che vi pare; e poi l’umiltà, quella sconosciuta, nella quale fare un bagno ogni tanto non sembra una pessima idea, perché nessuno ha in tasca la verità, e meno male.


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