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Di "Se avessi" e dell'addormentarsi

Da Dalailaps @dalailaps
Sono le tre e venticinque e come mi succede da qualche giorno non riesco ad addormentarmi.
Le ho provate tutte, ma certi giorni il sonno tarda ad arrivare. Di solito Franz sonnecchia verso mezzanotte e da quel momento in poi per me inizia la scelta di cosa fare per cercare di richiamare Morfeo. Magari leggo, magari navigo tra i Feed, magari sfrutto SkyGo per guardarmi qualche documentario notevole. Sempre di solito, in modo particolare quando porto avanti l’ultima delle tre scelte, mi capita di appisolarmi rivedendo sulle palpebre chiuse alcuni degli attimi che più mi hanno colpita. Che poi, per spiegarvelo, si tratta di vedere immagini come se la mente fosse un vecchio proiettore a pellicola e le palpebre fossero le serrande abbassate di un bar appena chiuso.
Sono impressionabile a una certa ora della notte – una che non riesce neanche a guardare i servizi sugli animali di Striscia la Notizia perché la fanno stare male fisicamente – perciò tutto quello che guardo, o leggo, sarà di certo qualcosa che in un certo senso andrò a utilizzare per cercare di addormentarmi. La cosa capita soprattutto in quelle notti in cui non riesco a scorgere una singola traccia di pace, quelle in cui se dormo di fianco vorrei che una delle braccia fosse scomponibile perché mi sembra di troppo, il cuscino sembra fatto di pietra pomice e le coperte mi stringono i piedi come fossero diventare una grossa incudine.
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Per dirvi, qualche sera fa ho spento l’abat-jour, ho abbassato le saracinesche e mentre Pippo trovava posizione accanto a me ho immaginato le seguenti cose: La Signora Ispirazione (che nella mia mente è praticamente uguale a Kirsten Dunst in Maria Antoinette della Coppola) mentre passeggiava accanto a me nei giardini di Versailles mangiando dei macaron (io ero in me, nel senso che vedevo la scena come se fossi lì). Arriviamo, non so come, vicino a un dirupo (identico a quello che Keira Knightley sogna in Orgoglio e pregiudizio), ma quando mi giro Kirsten Ispirazione mi saluta con un fazzoletto per lasciarmi lì da sola. Cammino un po’, inizio a guardare le nuvole (vi ho mai detto della mia passione per le nuvole?) e socchiudendo gli occhi per mettere a fuoco una strana sagoma vedo Katy Perry che mi saluta. Mi invita a “salire da lei”, mi ritrovo nel video di California Gurls e a mangiare un gigantesco orsetto gommoso alla fragola. Me ne sto lì, distesa su una nuvola a mangiare l’orsetto quando mi accorgo di essermi spostata su un prato e di star cercando una forma alle nuvole sopra di me, le stesse nuvole da cui ero magicamente appena scesa.Ho vaghe rimembranze del dopo, perché arrivata a quel punto mi sono finalmente appisolata, ma ricordo che c’erano anche un beccaccino e un paguro gigante.Tutto questo senza che io sia stata sotto l’effetto di medicinali o droghe, sia chiaro. Sempre che non consideriate lo Yomo alla fragola come una droga (ecco da cosa proveniva l’idea dell’orsetto alla fragola!).
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Dopo questa divagazione sulle cose che immagino per afferrare il sonno fuggente – cose per cui probabilmente anche un analista bravo impazzirebbe – voglio dirvi che ho un’idea parecchio precisa di quale sia  il motivo per cui tra ieri e oggi non sono riuscita a crollare sul cuscino: ho praticamente finito Se avessi.Ho promesso che quest’anno l’avrei finito davvero. E per finito intendo che avrei smesso di spostare anche una virgola. Ma la cosa mi fa un male cane.
Buttai su carta le prime parole alla fine del 2008 e la storia immaginata doveva essere qualcosa di molto più banale di quello che ne è venuto fuori dopo più di quattro anni: doveva essere una storia d’amore con un finale semplice e felice, quella che meritiamo tutti. Quella che meritavo anch’io e che all’epoca non avevo trovato, dopo che uno stronzo mi aveva mollata in un modo atroce per sposarsi un’altra otto mesi dopo. Tre anni prima, però. Era ora di cercare una via d’uscita da quei ricordi.Man mano che scrivevo, però, le parole venivano fuori da sole e lo facevano diversamente da come, quanto e quando avrei voluto.
C’è tanta vita dentro. Tanto di me. Un pezzo di cuore e di cervello. Perché per descrivere certi attimi di passato ho dovuto trovare un ordine a vicende che non l’avevano, cercando di dare un senso a quella vita che non era andata come se fosse stata scritta su una sceneggiatura.Alcune parti sono sgorgate assieme a fiumi di lacrime e altre a crampi alla pancia per le risate. Alcune sono state come vomitare rancore puro e altre così forti da farmi male allo stomaco. Male perché nello scriverle ho capito cose di me e del mio passato che, col senno di poi, avrei preferito uscissero in un altro momento della mia vita; cose che avrei preferito se ne fossero rimaste come acque chete ancora un po’ perché sarebbe stato molto, molto più facile.
Invece mi hanno lasciata senza sonno e senza immagini e saracinesche in grado di reggere la fatica.Nel tempo, la storia si faceva mia e di altri. Mia, che crescendo sono cambiata, diventata più pratica conservando comunque il mio stare in bilico, come in lotta, tra negatività e totale ottimismo. Di persone che l’hanno letta e mi hanno detto di sentirmi viva dentro ogni parola, anche in quelle inventate. Di persone sconosciute che leggendo le lettere dei protagonisti si sono trovare a porsi domande sulla loro stessa vita e sul loro tempo, che hanno usato quello che avevo scritto come esortazione a rimettersi sempre in carreggiata. Di persone a cui magari non l’ho detto, ma che porterò sempre nell’anima.
Così ho deciso di insistere quando la cosa stava tentando di prendere il sopravvento e abbandonarla sarebbe stato più comodo. Ho rimandato, ho fatto altro, trovando sempre buonissime scuse per non prendere quei fogli e continuare a leggermi dentro. E anche adesso, mentre scrivo, continuo ad annuire con la testa perché anche mettere per iscritto questa cosa è, in qualche modo, un passo.
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Domenica compirò ventisei anni e non sono nulla di ciò che avevo sperato. Non so neanche quale sia il destino di quelle mie parole, ma ho deciso di stracciare sia il finale che avevo in testa per me sia quello che avevo buttato su carta per la mia storia e di ripartire, così come scrivendo avevo consigliato agli altri.
Quello che so è che ho imparato tanto: che dare un significato al mio passato non significa di sicuro dare un significato alla mia vita per intero, che le parole sono  potenti soprattutto quando ti mettono a nudo e che certe volte possono trasformarsi in energia pura, che guardarti dentro e analizzare i tuoi errori può solo farti migliorare.
Se avessi mi aspetta stampato su metà pagina di più di un centinaio di fogli A4, rilegato con una spirale bianca perché io possa procedere al meglio nel sistemare pensieri vecchi e nuovi.Quando leggerete questa cosa io probabilmente starò dormendo. E quando su questo spazio non troverete particolari aggiornamenti saprete qual è il motivo.Non voglio più dormire. In certi casi non esistono proiezioni  o stratagemmi che tengano. Sono le quattro e trentanove e tutto quello che voglio è ricapitolare la storia, quella mia che e quella che ho scritto. A Se avessitroverò un finale. A me darò l’ultimo tempo.   

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