Magazine Diario personale

Di simpatia, lavapiatti e bestemmie in urdu

Creato il 23 luglio 2014 da Pontomedusa @Pontomedusa

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Io odio quei ristoranti in cui appena arrivi il personale ti dà del tu, ti prende a pacche sulle spalle, anziché portarti il menù ti consiglia la specialità della casa e se tu vuoi qualcos’altro si incazza.

Magari ti consigliano la fiorentina, ma tu sei vegetariano. O gli gnocchi ai quattro formaggi, e a te il formaggio fa vomitare.
Poi propongono antipastini, contorni, come se ti avessero invitato a casa loro: “Vi porto anche una focaccia? Ci mettiamo anche due verdure grigliate? Anzi, facciamo tre.” E, esattamente come se fossi un loro ospite invitato a cena, si offendono se dici di no.
Ma è solo un’illusione, ovviamente: in questo modo non si capisce mai il prezzo di quello che ordini, e quando arriva il conto è troppo tardi. Praticamente, l’ultima frontiera del guerrilla marketing.

Eppure molti, a questo trattamento, pensano: “Minghie, sono troppo amico del proprietario, e sono solo cinque minuti che lo conosco!”
E ti consigliano il posto in questione dicendoti che il personale è troppo simpatico, mentre per me è simpatico come un dito in culo, e pure cafone.

D’altronde, questo è un modo di fare tipico dei ristoratori del Sud Italia, e invece Pontomedusa si è sempre trovata benissimo in Danimarca e Regno Unito, dove la gente ti saluta (educazione) ma poi ti tratta come quello che sei, un cliente, ti chiede cosa vuoi, te lo porta, si fa pagare il conto, e fine.

Certo, sono anni che non vado più a Londra, e forse adesso con tutti i pakistani e italiani che ci si sono trasferiti di recente (fra l’altro, spesso condividendo lo stesso ecosistema) le cose saranno cambiate.

I pakistani ci vanno per lavorare, gli italiani per “imparare l’inglese”: ma siccome l’inglese, appunto, non lo sanno, l’unico lavoro che trovano è lavapiatti in un ristorante italiano, e con uno stipendio così l’unico alloggio che riescono a trovare è in un caseggiato occupato solo da immigrati pakistani.
Quindi dopo tre mesi tornano da mammà con la coda tra le gambe avendo imparato solo “Uozziorneim”, “Fucking Dago” (ma non sono ancora sicuri di cosa voglia dire) e un paio di bestemmie in urdu.


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