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Dialetto umbro: vurdùra, pirìtu, caccià li nummari

Creato il 24 novembre 2013 da Berenice @beneagnese

 

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Porgendo l’orecchio alle parole e alle locuzioni usate comunemente in Umbria, circoscrivo la mia attenzione sul dialetto parlato in Val di Narco e nello spoletino, aree di espressione linguistica assai simili.

Questa volta tratterò delle cinque o sei espressioni che l’umbro di queste zone, esprimendosi in dialetto, utilizza nel trattare il delicato settore delle transazioni immobiliari ovvero le compravendite di fabbricati e terreni. Tra le parole più usate ricorrono termini come vurdùra, pirìtu e caccià li mummari.  

Da sempre i passaggi di proprietà rappresentano nella cultura popolare avvenimenti importanti che un tempo venivano conclusi con una stretta di mano e perpetuati oralmente nei decenni, mentre oggi, epoca in cui la parola data non si sa più cosa sia, la formalizzazione avviene necessariamente davanti a un pubblico ufficiale cosicché carta canta e villan dorme. 

Pirìtu: perito. Quasi tutti gli accordi cominciano con l’intervento di un tecnico professionista, in genere un geometra, che si occupa di verificare la completezza dei dati e dei documenti necessari. Pirìtu deriva dalla vecchia denominazione di perito agrimensore attribuita al geometra, che successivamente è stata modificata e aggiornata. “Lu pirìtu me dicìa ce vòle pocu, ce vòle pocu, ‘mbece è passatu un anno e ancora me deve portà l’incartamenti. Arrabbiali tutti!” (Il geometra mi aveva detto che ci sarebbe voluto poco tempo, invece è passato un anno e ancora mi deve consegnare i documenti. Arrabbiali tutti!)

Attaccà lu campanu: attaccare il campano. La locuzione figurativa fa riferimento alla furba pratica che gli allevatori usavano durante le fiere di bestiame e che consisteva nel proporre un’offerta vantaggiosa per l’acquisto di un animale anche senza un concreto interesse. In quel modo si falsava a proprio tornaconto tutta la trattativa. “Lu campanu lu poi attaccà sia su  ‘na bestia che su un campu, che su ‘n fabbricatu. Fai l’offerta arda che a calà e a cumbinà vène sèmbre a témbu.”(Il campano lo puoi attaccare sia a una bestia che a un campo che a un edificio. Fai l’offerta alta che a scendere di prezzo e ad accordarsi viene sempre a tempo.”)

Caccià li nummari: estrarre i numeri. Definite le condizioni di vendita, prima di andare dal notaio (notàru o notaiu), occorrono le visure catastali e i certificati di destinazione urbanistica. Tutta la proceduta viene riassunta in dialetto con l’espressione ‘caccià li nummari’ con riferimento all’estrazione dai registri catastali, conservati presso le sezioni dell’Agenzia del Territorio, dei numeri dei fogli censuari comunali e delle particelle catastali. “Jètte a caccià li nummari e non scappavano a me. Ci ho duutu fa tanti ggiri e ‘rpagà sussopra ‘n se sa se quanti euri e pu’ s’erano sbajati loro. ‘Ste cose solo in Itaglia!” ( Andò a fare le visure e le proprietà non risultavano intestate a me. Ho dovuto girare per vari uffici e pagarci sopra diversi euro e poi ho scoperto che avevano sbagliato loro. Queste cose solo in Italia!”)

L’attu: l’atto. Nella fattispecie l’atto notarile, il documento pubblico che raccoglie le volontà e le modalità di passaggio di un immobile da un proprietario all’altro. Tra i ricordi più teneri a cui ho più volte assistito c’è il momento dell’apposizione della firma da parte delle persone anziane, preoccupate di non far brutta figura: “Vidi ‘n po’ se ho scrittu bene che ce vedo pocu. Me sa che la firma m’è vinuta un po’ stòrta.”  (Controlla se ho scritto bene che ci vedo poco. Mi sa che la firma è venuta un po’ storta.”)

La vurdùra: la voltura. Una volta formalizzato, il passaggio di proprietà deve essere registrato ufficialmente cioè volturato. Cosa che non sempre accade correttamente. “La vurdurà no l’iano fatta, l’attu ‘n se ‘rtròva, ecco qua che tòcca ‘rcumincià da capu.”(La voltura non era stata fatta, l’atto notarile non si ritrova, ecco che bisogna ricominciare da capo.”)

L’usu gabbione: distorsione dell’espressione latina usu capione che permette di acquisire la proprietà goduta e usata continuativamente per lungo tempo. “Ce lu ‘rchiudessero lu pirìtu dentro quill’usu gabbione!”– esclamava Esterina, confusa sullo strumento invocato e preoccupata per le lungaggini burocratiche.

Alla prossima!

(Trovi altre parole nella categoria Dialetto umbro)

      Nella foto: Fernando Botero - Il notaio


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