Magazine Cultura

Dialoghi impossibili (parte prima): Jane Austen e Virginia Woolf

Creato il 04 settembre 2015 da Luz1971
Dialoghi impossibili (parte prima): Jane Austen e Virginia WoolfChi almeno una volta non abbia sentito il fascino del mondo inglese fra Ottocento e Novecento alzi la mano. Uhm, credo siano davvero in pochi. Personalmente tutto ciò che termina in "shire" mi attrae da sempre, così come le brume che si levano dal Tamigi in una Londra del passato e le abitazioni, ville o cottage che siano, di questo paese che chiamiamo Inghilterra ma che comprende un insieme di terre, colori, lingue, latitudini. Non ci sono mai stata (!), non ancora, ma ho "vissuto" questo mondo nei tanti romanzi che ho letto, i classici delle Bronte, la Austen, Dickens, Henry James, Defoe, Fielding e tanti altri, nutrendomi a ogni pagina di atmosfere di epoche lontane e diverse, lasciandomene catturare e direi avvincere. Credo che ogni buon lettore non possa né debba perdersi quello straordinario repertorio. Poi nel Novecento esplode l'intelligenza originale di Virginia Woolf, e con lei si riesce a fare una sorta di "resoconto" sul pregresso, perché Virginia è scrittrice assai colta e conosce molto bene la propria letteratura. Tempo fa mi sono divertita a immaginare alcuni dialoghi fra personalità della letteratura, del teatro, dell'arte vissuti in epoche diverse, una sorta di incontri impossibili basati sulle norme della cortesia, nei quali queste straordinarie menti si raccontano e si mostrano assai incuriosite dei racconti dell'altro. Cominciamo con queste due grandi donne, nate e vissute a più di un secolo di distanza, che si "parlano" da due epoche diverse e lontane.
Jane Austen: E’ cosa universalmente nota e riconosciuta...che una donna di buoni costumi si presenti. Ebbene, il mio nome è Jane Austen e sono originaria dello Hampshire.Dialoghi impossibili (parte prima): Jane Austen e Virginia WoolfDa sempre sono stata risparmiata dall'affanno di trascorrere una vita monotona, grazie all'allegria e al buon senso della mia famiglia, la quale mi ha permesso di istruirmi e di fare il mio ingresso in società come ogni adolescente inglese che si rispetti. Da quando i miei primi vent'anni di esperienze sono trascorsi, ho lasciato nell'armadio qualcuno dei miei abiti da cerimonia, ma non l'allegria che ancora mi trasmettono le mie conoscenze più strette ed i miei cari.A proposito, mi scuserete se talvolta non potrò essere presente qui fra voi nelle ore diurne, ma la stesura di alcuni scritti quotidiani assorbe quasi tutte le energie che mi restano dalla convivenza con mia sorella Cassandra: nei pomeriggi in cui non ricevo né faccio visite, infatti, non appena le faccende domestiche me lo consentono è mia abitudine porre mano febbrilmente al calamaio.Talvolta le parole impresse sulla carta mi appaiono quasi più di compagnia rispetto a certe conversazioni che ho il dovere di ascoltare, dunque mi compiaccio delle mie stesse corrispondenze o dei paragrafi descrittivi che mi ispirano taluni frequentatori di questa casa, senza rimpiangere gli inviti a passeggiare in aperta campagna che declino di tanto in tanto.Ad ogni buon conto, coltivare la solitudine non mi rende una persona né isolata né superba. Mia sorella mi definisce spesso "una gatta randagia e testarda", ma sa bene che io faccio volentieri le fusa a coloro che onorano e comprendono i miei spazi, privando invece di attenzioni ciò che mi provoca noia, imbarazzo o disgusto.Non a caso sono capitata qui, dove so di poter trovare l'intelligente sensibilità di cui ho bisogno nelle mie amicizie e dove sarò lieta di condividere le mie riflessioni e vicende quotidiane, con la sicurezza di imbattermi sempre in un'ironia capace di tener testa al mio benevolo sarcasmo.Prima di congedarmi, affido a voi il tavolino sul quale ho lasciato le tracce dei miei libri più noti e delle mie lettere più intime: è qui che mi sono appoggiata, indugiando fra un pensiero e l'altro, ed è qui che ho confessato ad interlocutori distanti o solo immaginari le mie paure temporanee, le mie sporadiche beffe ed i miei buonumori.
Dialoghi impossibili (parte prima): Jane Austen e Virginia Woolf Virginia Woolf: Accolgo onorata il tuo arrivo, signora Austen. Lo so, so bene che detesterai questo appellativo, ma lascia che lo adoperi almeno una volta, io che sono stata e sono una fervida lettrice di tutto ciò che hai scritto. "Signora" per ossequio dovuto alla tua persona, e per quanto signora tu sia stata, pur in un'epoca così difficile per una donna, come quella in cui vivi. Non so quanto tu possa indulgere all'orgoglio di avere qui una solerte ammiratrice, so invece che la tua intelligenza è tale da meritare tutto il mio rispetto. Se tu leggessi il mio "Una stanza tutta per sè" sapresti quale modello tu sia da sempre. Posso annoverarti in quell'Olimpo di cui fanno parte gli stessi Milton, Shakespeare, Henry James. Tu e le sorelle Bronte siete state una fonte d'ispirazione per me, in quanto scrittrice e donna.

Jane Austen: Cara Virginia, l'Olimpo sarebbe per me una dimora troppo caotica e priva di rifugi in cui trascorrere le giornate. Mi sentirei maldestra a passeggiare fra i nomi che hai citato, verosimilmente perché io stessa ho spesso pensato a Milton e a Shakespeare come a personaggi da emulare, o da dissacrare per gioco.
Fammi dunque restare qui in tua compagnia, dove non ci pesa sulle spalle l'onere di aspettative troppo grandi rispetto alle nostre imperfezioni da scrittrici compatriote quali siamo - e dove, io mi auguro, potrò venire a conoscenza dei tuoi scritti senza indugiare ancora a lungo.
Trovo sia un peccato il non aver vissuto abbastanza per poter stringere la mano ad una donna carismatica e aperta alle sensibilità letterarie e umane quale tu hai dimostrato di essere, Virginia, e saperti mia ammiratrice mi lusinga, tanto più che, se tu fossi venuta al mondo prima di me e non viceversa, suppongo sarei stata io a nutrire per te un'immortale devozione.Virginia Woolf: Donne di origini simili ma soprattutto donne, siamo noi, persone che artiste sono state in virtù del combattere contro i pregiudizi e rafforzare lo spirito, aprendo la strada all'affermazione di altre donne, dopo di noi. Eppure abbiamo mantenuto la purezza del nostro genere, l'umiltà, la leggerezza femminile, hanno fatto scorrere la penna sul foglio con la stessa grazia dell'ago che s'appunta sul nostro ricamo ed abbiamo aperto con la penna le porte e i muri delle case in cui avrebbero voluto relegarci. Nascere su un'isola ci ha rese insulari, scolpite come le rocce delle nostre coste che ci separano dal resto del mondo e anelanti alla libertà degli estesi orizzonti. L'insularità non può che essere una parte di noi che ci forgia e ci accomuna.
Jane Austen: Nascere su un'isola ci ha reso insulari...E' stata forse questa la nostra condanna e ad un tempo la nostra peculiarità, Virginia. Nascere su un'isola ci ha reso irrimediabilmente lontane da molto di ciò che avremmo desiderato toccare, ma ci ha anche concesso di valicare cancelli sigillati per altri Nascere su un'isola ci ha fatto piangere più intensamente, ma di meno, perché siamo caparbie dentro il petto e siamo capaci di parole calde e ironiche come la Corrente del Golfo, per difenderci dai pericoli soffiandone via il peso dalla nostra mente. Nascere su un'isola ci ha reso fortunate, seppure nel nostro destino di parziale sfortuna individuale.(continua)Conoscete queste due scrittrici? Cosa avete letto del repertorio letterario inglese?E soprattutto: se siete stati in Inghilterra che ricordo ne avete?

Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :

Magazines