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Dialoghi impossibili (parte seconda): le stanze di Jane Austen e Virginia Woolf

Creato il 09 gennaio 2016 da Luz1971
Dialoghi impossibili (parte seconda): le stanze di Jane Austen e Virginia WoolfEd eccoci alla seconda parte di questo "dialogo impossibile" fra due grandi scrittrici inglesi. Tutto ciò che riguarda questo esperimento trovate qui, nella prima parte, dove le nostre si sono incontrate e hanno fatto conoscenza, scambiandosi qualche osservazione sulla condizione femminile. Ora immaginiamo che continuino a confrontarsi su questo interessante argomento, che è appartenuto loro intimamente, e che tutto si svolga attorno a un piccolo grande libro della Woolf: Una stanza tutta per sé.
La stanza è una specie di "hortus conclusus" per Virginia. Un luogo reale e allo stesso tempo una metafora di libertà.
Virginia Woolf:  Non potrei far torto al mio restante repertorio se dicessi che ho amato molto scrivere questo libro. Tutto nacque con una serie di conferenze che mi chiesero di tenere nelle università. Ero nota in vita, non mi sono mancati gratificazioni e riconoscimenti.
Avevo pubblicato alcuni scritti e il mio pensiero attorno al mondo femminile dell'epoca presto si diffuse. In questo piccolo saggio raccolsi, sullo sfondo di una finzione scherzosa (non v'è scrittore che possa farne a meno!), i miei pensieri che qualcuno decenni più tardi definì "femministi".Nascere femmina nel 1882, assistere al passaggio fra due secoli restando come stordita dinanzi al progresso, non poter comunque partecipare di questo che marginalmente, malgrado una riconosciuta intelligenza, mi costò impegno e fatica. Non mancai di urlare il mio disappunto dinanzi alla discriminazione cui ogni femmina era condannata. Ritenevo offensivo che a noi donne fossero precluse quasi tutte le università, per non parlare dell'obbligo di maritarsi per essere definita "onorata" e varcare le soglie delle famiglie perbene.

Dialoghi impossibili (parte seconda): le stanze di Jane Austen e Virginia Woolf

Una delle stanze di Virginia Woolf

Ebbi una stanza tutta per me quando ero già adulta e sposata da molti anni. Leonard, il mio paziente marito, riconobbe il mio diritto all'isolamento, come faceva con tutto ciò che sapeva mi avrebbe soddisfatto e reso felice.
Jane Austen:  La tua rievocazione mi ha incuriosita ed intenerita, Virginia, e suppongo non ti stupirai se scrivo che la mia esperienza è stata in parte precorritrice di quella cui hai fatto cenno.Nella nostra Inghilterra, da un lato così avanzata e dall'altro così conservatrice, non sono mai mancate delle donne carismatiche e bramose di battersi per i diritti negati loro da una comune mentalità.
Come tu in vita, molti decenni dopo di me, hai aspirato a ritagliare "una stanza tutta per te" fisicamente, così io ho avuto un angolo di quiete da cui osservare il mondo e nel quale analizzarlo, presso il quale sedevo solo io e presso il quale stava una finestra che ancora rammento con nostalgia. Come te, inoltre, ho denunciato ciò che di offensivo era ancora diffuso nella nostra società - non con la tua inestinguibile verve, ma con allusioni sottili e satiresche, che non tutti i miei lettori hanno avuto la prontezza di cogliere.
Siamo simili nell'animo e diversissime nei modi che abbiamo di esternare gli stessi sentimenti, carissima. Ora che ho la possibilità di leggere di te, scopro sempre più il nostro essere facce complementari della medesima medaglia.
Virginia Woolf:  Sì, avverto la stessa affinità. Singolare come, a distanza di quasi un secolo, possiamo "parlarci" e avvertire questa somiglianza d'anime. Sei stata precorritrice dei miei stessi ideali. Tornando a questo mio saggio, in esso mi sono divertita a fare una supposizione un po' azzardata ma che trovai interessante. Se Shakespeare fosse nato donna, avremmo mai noi lettori potuto godere delle sue mirabili opere, che a distanza di secoli ci parlano ancora? La risposta è assai semplice: no. La nostra, non avrebbe avuto quella stanza che non solo simbolicamente l'avrebbe resa padrona delle proprie azioni, il proprio sentire, perché la vena creativa potesse esplodere in mille solchi scavati dall'inchiostro. E non è forse triste, immensamente triste tutto questo?

Dialoghi impossibili (parte seconda): le stanze di Jane Austen e Virginia Woolf

Un tavolino appartenuto a Jane Austen (J. A. Museum)

Jane Austen:  Ho l'impressione che le nostre vite sarebbero state molto riscaldate vicendevolmente, se solo avessimo potuto guardarci negli occhi chiacchierando sullo stesso divanetto.Ad ogni modo, la tua riflessione è molto triste realmente, Virginia, ma è anche molto saggia. Molto basso è il numero di artiste che è sopravvissuto alla censura sessista dei secoli, ancor più basso quello delle donne che non hanno sofferto a causa del proprio talento o dei tentativi di emergere in centri culturali a loro ostili. Se solo un saggio lucido come il tuo potesse riscattare anche solo la metà di costoro!
Virginia Woolf: Nel tuo tempo il problema era certamente accentuato. Ma ciò che fa riflettere è che quasi un secolo non abbia fatto alcuna differenza. In parte ti invidio, perché avesti il coraggio di vivere della tua scrittura, tollerando le critiche dei "benpensanti". In qualche modo, avesti una stanza tutta per te.
Jane Austen:  E' vero; riguardo a questo problema, pare che l'Inghilterra si sia quasi presa una pausa lunga cento anni, durante la quale niente o quasi niente si è smosso.In realtà, in molte prima e dopo di me hanno cercato una stanza tutta per sé, cara Virginia. A partire dalla nostra Emily fino ad arrivare alle suffraggette e poi a te, tutte hanno rivendicato un qualche spazio in cui poter mostrare e vivere apertamente i lati più edificanti e quelli più frivoli della personalità femminile. Tu sola, rispetto a noi, hai avuto un grande privilegio, ossia quello di usare il tuo talento per immortalare e per denunciare queste stesse rivendicazioni a nome di chi non ha potuto o saputo farlo. Hai per ciò tutta la mia stima, Virginia.
Qual è la vostra "stanza tutta per sé", intesa come luogo prediletto dove cercare e trovare intimità tutta solitaria e allo stesso tempo luogo da rivendicare per il proprio diritto a uno spazio personalissimo?

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