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Dialogo con Susan Sontag attorno alla teoria reader oriented, con un intermezzo personale

Creato il 23 giugno 2012 da Sulromanzo

Dialogo con Susan Sontag attorno alla teoria reader oriented, con un intermezzo  personaleMi ero imbattuta casualmente nel diario di Susan Sontag circa un anno fa. Avendo avuto la possibilità di trascorrere qualche mese a Berlino, approfittavo, di tanto in tanto, dei musei della città. Era stato al Bookshop dell'Hamburger Bahnhof Museum che l'occhio mi era caduto sulla fotografia in bianco e nero di una donna che stava fumando una sigaretta: Reborn, di Susan Sontag, Early Diaries 1947-1963. Il fatto che il mio sguardo fosse naufragato, in mezzo a tanti cataloghi d'arte, verso l'unico testo che comportava una quasi totalità di pagine scritte, non mi era sembrato un caso e confermava la mia predisposizione letteraria.

Era stato già allora, in quel volto nero, emblematico e interrogativo, che il diario di Sontag mi aveva interpellata, ancora prima che lo avessi acquistato. Avevo, come è mio solito fare, aperto il testo a caso, trovandomi dinanzi una pagina che conteneva una sola data e una sola frase: "1/3/1951: I marry Philip with full consciousness + fear of my will toward self-destructiveness". Si trattava dell'unica frase stilata nei diari della Sontag nel 1951. La pagina seguente era datata 1/19/1953. Lo spazio bianco che si era intercalato allo spazio temporale tra le date mi aveva procurato un senso di vertigine, seguita da un salto nel vuoto.
Quella sera stessa, il mio dialogo con la vita quotidiana di Susan Sontag era diventato l'inizio di un rituale che si sarebbe protratto per qualche mese. Mi ero dilettata a sottolineare le frasi che più mi toccavano, smuovevano, divertivano o straniavano. E non mi ero limitata a una semplice sottolineatura, poiché contemporaneamente andavo annotando anche le mie reazioni. Era, in fondo, un lavoro di glossa, di commento, quello che andavo facendo. Quando poi, a distanza di mesi, mi sono trovata a risfogliare casualmente il libro, mi sono chiesta quanto questo testo appartenesse ancora a Sontag e quanto ora mi appartenga e parli di me.

Andando in ordine cronologico e riportando in corsivo qualche glossa:

8/19/48 How can I help me, make me cruel?
5/23/49 Aristotle did not know anything about Shakespeare
6/29/49 Motto: "Wolle die Wandlung" - Rilke ("Desire all change") and kill
[Dated only 1957] What do I believe?
In the private life
In holding up culture
In music, Shakespeare, old buildings
1/6/57 I hate to be so self-conscious(notazione ricorrente seguita da "Idem")
1/15/57 write two hours a day minimally(!!!)
I'm dying of self-consciousness!(Ebbene sì, ne muoio anche io!)
[Undated except as 1957 - Oxford]
Idealisms(troppo, spietato, crudele idealismo)
What is the secret of suddenly beginning to write, finding a voice? Try whiskey.(soprattutto l'ultima)
1/4/58 Impenetrable disorder of human relations
[Loose-leaf page, undated except for the notation 1958] Close connection between paranoia + sensitivity.
1/13/60 ... It may take me five years to understand why I don't like to answer the telephone...[...] And contemporary language, with its facile vocabulary of self-analysis, helps me to continue to live on the surface of myself. I can say I am shy; or neurotic; or sensitive to the barbaric insult to privacy represented by the telephone.(su questo punto hanno fatto seguito un numero indefinito di punti esclamativi).

Ogni opera vive di se stessa, ma non solo. Necessita, infatti, per perpetuarsi e riproporsi nel tempo, dello sguardo del suo fruitore. Si nutre di modelli e si cimenta di lettori ideali. La wirkungsgeschichte, la storia degli effetti che un'opera provoca sull'orizzonte di attesa del pubblico dal quale viene recepita, chiede al testo di essere attualizzato per continuare a vivere. Leggendo il diario di Susan Sontag, la parola scritta si manifestava in una realtà concreta, la mia realtà, allora racchiusa in una stanza berlinese con un'ampia finestra che dava su un grande castagno. Nella lettura, tuttavia, non sembrava prodursi unicamente un'"attualizzazione", così come era stata teorizzata da Gadamer ( Verità e metodo), e neppure una riscrittura dell'opera (Umberto Eco, Opera aperta), ma un moto di appropriazione. Oltre alla realtà della mia stanza, intercalata alla realtà dei luoghi visualizzati dalla scrittura (si vedano, a tal proposito, le osservazioni sullo spazio della lettura di Michel Butor, Essais sur le roman), si intramezzano altre realtà, interrogativi e riflessioni nella lettura e alla lettura. Alcuni scrittori ci parlano, quasi si trattasse di un dialogo aperto e fuori dal tempo, ed è in questo dialogo che risiede la forza della parola scritta, la potenza carismatica della letteratura. L'appropriazione di un testo apre a mondi ignoti, che sono parte di una geografia meramente interiore, su cui lo sguardo si posa curioso, in attesa di scoprire regioni dell'esperienza che ci compongono e di cui forse non siamo ancora consapevoli.


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