Diario africano - 53/Karamoja
Creato il 10 febbraio 2015 da Mapo
Moroto, 1 febbraio
Karamoja ti scrivo, così mi distraggo un po',e siccome sei molto lontana più forte ti scriverò
La Karamoja è una gigantesca regione nel remoto nord est dell'Uganda, al confine con Kenya e Sud Sudan. Quaggiù, in particolare durante la stagione secca, si brucia letteralmente dal caldo e la polvere rossa, alzata dalle onnipresenti mucche al pascolo, ti si infila ovunque senza tener conto dei vestiti che porti. Sarà per questo che, semplificando le cose, i locali tendono a girare nudi come mamma li ha fatti.Qualche anno fa il governo guidato dall'intramontabile Museveni (una specie di Mao Tse Tung con la pretesa di essere eletto democraticamente) ha costretto i Karimojong a mettersi maglietta e pantaloni. Così, la strada che dal parco del Kidepo porta a Moroto, una volta alla stregua di una spiaggia nudisti di un'isola delle Baleari (ma con tanta abbronzatura in più) è ora punteggiata dai colori delle T-shirt promozionali con la faccia del presidente, le campagne a sostegno della lotta all'HIV o qualche brand americano. Alcune, con il poco vigore che le rimane dai colori stinti dall'usura, inneggiano all'importanza della mosquito-Net nella prevenzione della Malaria.Nei villaggi, che crescono come funghi nell'aridità tutto intorno, le persone continuano invece a far finta che i vestiti non siano mai stati inventati.Si potrebbe essere tentati di andare a spiegare che non è così, ma i recinti di rovi e legni appuntiti a proteggere uomini e animali sono un discreto deterrente. Animali, appunto.Nel suo saggio "Se niente importa - Perché mangiamo gli animali?" lo scrittore americano Jonathan Safran Foer parla del processo per cui gli animali, da semplici coinquilini più o meno scomodi di questa terra, siano diventati in qualche modo compagni di vita:
"Un tropo diffuso, antico e moderno, descrive la domesticazione come un processo di co-evoluzione tra esseri umani e altre specie. Fondamentalmente, noi esseri umani abbiamo stretto un accordo con gli animali che abbiamo denominato polli, vacche, maiali e così via: noi ti proteggeremo, ti daremo da mangiare e tutto il resto, e in cambio ti imbriglieremo per farti lavorare, prenderemo il tuo latte e, ogni tanto, ti uccideremo e ti mangeremo. E gli animali, a loro modo, hanno acconsentito"
Jonathan Safran FoerSe niente importa - Perché mangiamo gli animali?Pag. 81
Non fa una grinza, specie se sei nato e cresciuto a pochi metri da una mandria di mucche che vengono considerate e accudite più di quanto i tuoi genitori abbiano mai fatto con te. Mucche che, a ben guardare, sono (s)vestite come te. Qui la faccenda del bestiame, in effetti, è una cosa maledettamente seria. Popolo di guerrieri ora costretti alla pace, i Karimojong da sempre vivono a stretto contatto con i loro bovini di cui bevono latte e sangue. Per sposarsi il maschio deve offrire al clan della moglie un certo numero di vacche, spesso decine, che varia a seconda dell'età della sposa, del suo stato sociale, della sua istruzione e di una serie di altre variabili che vengono discusse in lunghi meeting senza calcolatrice o powerpoint.
Sono stato in Karamoja solo per un "weekend lungo", per dirla alla milanese, ma certe cose non possono non balzare all'occhio. Contrariamente ad altri angoli d'Uganda, per esempio, quaggiù le donne hanno una cura tutta particolare del loro aspetto fisico. Lavoratrici sfrenate e instancabili, appaiono più come alte e regali principesse nere che come serve sciupate con la schiena sempre piegata verso terra. Pur senza avere la Rinascente dove fare shopping, è apprezzabile come riescano a costruire rudimentali gioielli con materiali di recupero come frammenti di catarifrangenti, piccoli legnetti intrecciati o elastici di ogni colore. Scatto una foto a una giovane ragazza che porta al collo un grosso pezzo di microchip, di quelli con una base verde solcata da minuscole connessioni in metallo argenteo. L'ossimoro è così forte che mi sembra di stare di fronte a un essere primitivo venuto in contatto con un oggetto alieno e misterioso.Il volto, poi, diventa una tela di pelle su cui ricamare piccole scarificazioni ornamentali, che vengono effettuate con frammenti di erba secca particolarmente appuntiti o pezzi di ferro. Ci si spalma sopra un unguento fatto di cenere ed erbe selvatiche per ritardare la cicatrizzazione, favorendo la formazione del cheloide e il gioco, si fa per dire, è fatto. Terribili e magnifiche insieme.Se non nasci con i pantaloni, da queste parti, non hai troppo da alzare la voce. E' ancora diffusa la barbarie delle mutilazioni genitali femminili, per fortuna in un numero sempre minore di piccole comunità che vivono a ridosso della montagna. Le NGO si sforzano da anni di sensibilizzare la popolazione contro questa pratica abnorme e pericolosa, non senza successi.Eppure le donne almeno un potere ce l'hanno. Qui in Karamoja tende a piovere un po' pochino e i periodi di siccità possono durare anche 8 mesi all'anno. La cosa interessante, però, è che i locals si chiedono il perché. Così, di volta in volta, sono proprio le donne a identificare la causa presunta delle mancate piogge. Talora la colpa è di un nuovo monumento costruito in ricordo di alcuni comboniani uccisi in un attentato che viene prontamente distrutto, un'altra volta dei Muzungu che circolano nella regione ed ecco che un gruppo di canadesi in visita a un villaggio tradizionale viene cacciato con tanto di sassi e bastonate.Barbari, o forse no. Qui la natura è una mamma cattiva che concede poco o niente, la guerra ha lasciato segni indelebili e la vita trascorre al ritmo dettato dalle mandrie al pascolo sotto il sole cocente. Per tenere sotto controllo la popolazione qualche anno fa il governo di Kampala ha condotto una lunga e capillare opera di disarmo sequestrando migliaia di fucili. Ai Karimojong, una volta indomiti guerrieri ricoperti dai segni di battaglie raccontate davanti al fuoco, non rimangono che un pugno di frecce di legno, fionde e sacchetti pieni di Waragi con cui prendere la ciucca.Il Karimojong è una lingua a parte, che ha anche una sua forma scritta, nella quale esistono 30 versioni di tempo presente diverse, 50 parole con cui dire "andare" e "come stai" si pronuncia all'incirca come "ehi-giochi-o-no" detto velocissimo
Incontriamo Alessandro, persona di frontiera se ne esiste una. Nato e cresciuto "nell'ultimo paese in provincia di Bergamo al confine con la provincia di Brescia", ha sposato una Karimojong e ora vive in una bella casa in una zona tranquilla di Moroto. Ha i sandali, una maglietta ovviamente gialla con scritto "polenta" e si è già fatto due malarie dall'inizio dell'anno. I bambini sono bellissimi come solo in queste famiglie "miste" riescono ad essere.Ci beviamo una birra nel bar sotto casa, tutti in preda a un coreografico ballo di San Vito per scacciare le zanzare. La mattina dopo ci accompagna su per la strada che risale la montagna di Moroto, un massiccio imponente e sorprendentemente verde che arriva a più di 3000 metri di altezza. Andiamo a vedere le miniere d'oro, e scioccamente mi immagino grosse caverne infestate da pipistrelli e carri di ferro pieni di pepite scorrere su binari che finiscono nel buio; invece arriviamo in un campo di erba secca costellato da decine di buche di un metro di diametro, profonde anche 10-15 metri nel sottosuolo. Sono le ore centrali della giornata e non c'è molta gente al lavoro. Le persone si calano in queste tane sotterranee e, al buio, estraggono chili di terra da cui, talvolta, affiora qualche pagliuzza. La strada prosegue, passiamo qualche Km oltre il confine con il Kenya strizzando l'occhio ad un compiacente militare Acholi e ci affacciamo sul Turcana. Il paesaggio è collinoso e secco, l'orizzonte invisibile per via della calura. Sapere che qui capita talvolta di avvistare i ghepardi è abbastanza per farci risalire in macchina.
Sulla strada del ritorno diamo un passaggio a una ragazza con il fratellino. Hanno l'aria di camminare da ore sotto il sole e una volta saliti sul retro del range rover non fanno che sorridere. Non parlano inglese, ma riusciamo a capire che lei si chiama Regina e ha 20 anni. Entrambi indossano lunghe tuniche a righe colorate. Sono sporche, strappate ai lati eppure elegantissime. Dopo qualche Km fanno cenno di fermarsi e, veloci come sono saliti, scendono dalla macchina per incamminarsi convinti verso un punto qualsiasi nel nulla infinito.
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