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Diario africano/23 - Roberto

Creato il 03 novembre 2014 da Mapo

Sipi Falls, 1-3 novembre
Roberto è nato a Napoli, lavora a Verona e si chiama Ferrara di cognome.Viene quasi da pensare che persino nel nome sia scritta la storia di un dottore che non ha ancora trovato una casa.Un "guaglione", niente più; a cui il Veneto sta un pó stretto, e che quindi non perde occasione  per scappare da mamma Africa.Roberto è un (quasi) oncologo che è stato al Lacor Hospital di Gulu, Uganda, per 3 settimane. Ci siamo chiesti più di una volta quale fosse il senso di quel camice bianco, indossato 6 mattine a settimana, per andare a curare malattie degenerative come tumori e scompenso cardiaco, in un posto dove le infezioni uccidono migliaia di bambini all'anno. Una risposta, per ora, non l'abbiamo trovata. Ma non ci è ancora passato per la testa di smettere di cercare.
Diario africano/23 - Roberto
Roberto ha lavorato nel reparto di pediatria, seguendo in particolare bambini ammalati di Linfoma di Burkitt, una neoplasia ematologica qui tutt'altro che rara.Roberto ricorda a memoria nome e cognome di tutti i suoi pazienti, a volte persino il paese da dove vengono, in un posto dove i nomi tendono ad essere tanti e difficili. Roberto ha coordinato la realizzazione di un grande piccolo documentario ambientato tra questi letti d'ospedale dove ci sono bimbi con addomi grossi come angurie ma che ridono sempre. Servirà a fare "found raising", come dicono qui.Ha imparato varie frasi in Acholi, ma una delle prime è stata "nessun problema". Ha comprato una maglietta dell'ospedale di un paio di taglie più grandi della sua e un orribile quadretto di legno a forma di continente africano, ma va bene così.Era colpito dall'immagine di questi padri e madri, adagiati per ore ai piedi del letto dei loro figli, di notte soprattutto, indolenti e stanchi, ma mai rassegnati.Roberto, una volta esauriti i pazienti in coda, mi portava un paio di bambini a sera per vedere con l'ecografia quanto il cuore stesse funzionando. "Perché la chemioterapia è spesso cardiotossica", un dettaglio che qui a volte viene un po' sottovalutato.Li portava lui, in carrozzina, a piedi mano nella mano, talvolta in spalla. Loro, con quel loro faccino serio, senza spiccicare parola, lo accompagnavano senza batter ciglio fino a quella stanza già un po' buia dove appoggiavo loro la sonda sul petto.E che sguardi esterrefatti davanti a quella specie di bacchetta magica inumidita dal gel che trasformava il nulla in un disegno in bianco e nero sulla TV.
Parlo al passato, ma Roberto mica è morto. Solo torna in Italia.Un amico sostiene che nella vita uno debba fermarsi quando ha trovato "il suo pubblico". Può essere una famiglia, un lavora appagante, una stanza vuota dove sentirsi bene, non importa. Quello che conta è avere qualcuno davanti a cui mostrarsi al meglio, foss'anche sè stessi. Solo allora uno può dire sentirsi a casa. Ed è quello che gli auguro, dal sedile posteriore di questa macchina lanciata verso sud, con il tettuccio apribile, l'aria sulla faccia, le urla dei bambini. Qui "nessun problema" si dice "Pau gusivona".
"Quando al ritorno da un viaggio, infiliamo le chiavi nella toppa della porta, al momento in cui dischiudiamo appena quella soglia, si ha sempre, anche solo per un istante, la sensazione che quella non sia la nostra abitazione. Si pensa quasi di avere sbagliato piano o edificio. E mentre facciamo un solo passo, con il timore di sembrare troppo invadeni in quella che un tempo ritenevano essere casa nostra, proviamo quasi la sensazione che stiamo entrando nella dimora di uno sconosciuto.Diario africano/23 - RobertoProcediamo allora lentissimi e ci sorprendiamo alla vista di quegli spazi mai visti e ora così minuti. Pensiamo che il ritorno, beffardamente sembra quasi volerci concedere un'ultima coda di stupore. Allora poi, solo dopo un passo, rimaniamo fermi e, nel silenzio delle mute pareti che stanno diritte e distanti, ci accorgiamo del leggerissimo disallineamento in quel pianeta che era la nostra casa. Di uno slittamento millimetrico che, allo stesso tempo, ci fa sembrare estraneo e nostro ogni singolo angolo di quello spazio domestico. Quando stiamo lì, poco prima di scoprire se nella camera da letto c'è un altro io che dorme al posto nostro, non sappiamo ancora se quel che abbiamo perduto è superiore a quello che abbiamo guadagnato."
Federico PaceSenza voloPag. 87
PS (postumo): Esiste una città che si chiama Mbale sulla strada tra Kampala e Gulu. Roberto è da poco sceso dalla macchina con quella sua valigia rigida e poco maneggevole ed è salito su un pullman coloratissimo e zeppo di gente diretta alla capitale. Prima ha abbracciato tutti, per ultimo David, il nostro immenso driver. Così immenso che abbracciarlo è stato un po' come abbracciare l'Africa intera. Buon viaggio.

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