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Diario di bordo – 5 – di N. Losito

Creato il 17 dicembre 2014 da Nictrecinque42 @LositoNicola

Prima di iniziare il racconto della seconda e ultima giornata a Hong Kong, devo fare due aggiunte al diario di bordo – 4. 

1. Dopo avere visitato il monastero di Chin Lin Nunnery, giusto per non farci mancare nulla, Barbara e Sergio ci convincono, visto che non era tardi e il luogo non era molto distante, ad affrontare pedibus calcantibus  anche il tempio dedicato al monaco Wong Tai Sin:

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Costruito nel 1921, questo è uno dei  luoghi di culto più popolari di Hong Kong per la capacità del dio Wong che vi risiede di esaudire i desideri dei devoti, centrati, quasi esclusivamente, sul denaro. La gente vi accorre per aggraziarsi vincite alle corse dei cavalli, alla lotteria, e a qualunque vincita che il potente Wong, Dio della Fortuna e della Salute, possa garantire. L’immagine di Wong si trova nel tempio principale e si può vedere solo dall’esterno in quanto in questo padiglione non si può entrare. Vistose decorazioni in legno e intagli descrivono la vita del dio. Si predicano tre religioni: taoismo, buddismo e confucianesimo. Il porticato delle offerte e degli indovini, nel tardo pomeriggio del venerdì, è gremito di fedeli che agitano bastoncini di bambù portafortuna ed è il momento ideale per la visita.

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La tradizione prevede che i fedeli in visita al tempio (qualcuno porta persino del cibo o degli oggetti da donare alle divinità) si inginocchino davanti all’altare principale ed esprimano un desiderio agitando un cilindro con alcuni bastoncini di bambù fino a quando uno di essi cade: a quel punto il bastoncino viene scambiato con un pezzo di carta con lo stesso numero, e un indovino (ce ne sono sempre parecchi presenti in loco) interpreta la fortuna per il fedele.
Nel giardino del tempio si possono ammirare 12 statue con volti di animali che rappresentano i dodici segni dello zodiaco cinese: (topo, bufalo, tigre, lepre/gatto, cavallo, gallo, drago, capra, cane, serpente, scimmia, cinghiale):

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Sopra c’è la panoramica, sotto tre segni in evidenza: il maiale, la capra e il cavallo.

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2. Durante il percorso (ci troviamo a Kowloon nel cuore della Hong Kong peninsulare) per raggiungere il famigerato ristorante stellato Michelin e subito dopo avere cenato, tornando in albergo, ci siamo addentrati nella famosa Jordan Road intravedendo la zona Yau Ma Tei, con i suoi mercati su strada nati per soddisfare lo svago e  il piacere del genere umano.  Qui non si contano i negozi dove è in vendita un po’ di tutto e i ristoranti aperti sulla via che offrono mille diverse specialità da asporto o da gustare passeggiando. Ovviamente dopo la “ricca” cena al Tim Ho Wan (vedi diario n. 4) non abbiamo più fame e ci limitiamo ad ammirare – un po’ perplessi – tutto ciò che la “fantasiosa” cucina popolare cinese è in grado di proporre, a prezzi decisamente abbordabili, al viandante coraggioso e incurante dei rischi per il proprio stomaco.

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Sabato 11 Ottobre 2014: secondo giorno a Hong Kong.

Sveglia alle otto a.m. perché occorrono almeno un paio d’ore per raggiungere Tai O, un antico villaggio su palafitte che si trova nell’isola di Lantau (grande due volte l’isola Victoria su cui si estende buona parte di Hong Kong) e desideriamo esplorarlo con tutta calma. Utilizziamo un paio di metropolitane e proseguiamo poi su un bus che serve diverse altre località dell’isola. Arrivati a Tai O, dopo avere attraversato una stretta via con bancarelle che offrono souvenir e cibarie (pesce essiccato o pesce fresco tenuto forzosamente in vita in bacinelle con acqua ossigenata in maniera del tutto artigianale), saliamo su un lungo e tortuoso ponticello in legno e, curiosi, ci immergiamo in un villaggio dove gran parte delle costruzioni (molte abbandonate) poggiano su palafitte in legno e sono costruite alla bell’e meglio con materiale di recupero. L’aspetto dell’insieme, pur nel suo evidente decadimento, è affascinante perché fa capire al visitatore come vivevano un tempo gli abitanti del luogo.

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In mezzo a casupole diroccate, ci sono anche casette in muratura ben costruite o ristrutturate da poco, forse utilizzate in estate durante le ferie. Tai O è la location ideale per macchine fotografiche e  videocamere: infatti tutti ci sbizzarriamo a trovare scorci del paesaggio degni di essere ripresi e immortalati. A disposizione dei turisti (il nostro gruppo e molti altri) c’è una costruzione ancora in perfette condizioni con la proprietaria, una donna anziana con cappello tradizionale, pronta a farsi fotografare, sperando in una buona mancia.

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Nell’isola di Lantau sarebbe stato interessante andare ad ammirare anche la statua del Grande Budda che si erge maestoso su una collina raggiungibile con una funicolare da cui si gode una vista spettacolare ma, pur con tutta la buona volontà di questo mondo, non abbiamo il tempo materiale per farlo. Teniamo questa meta per un nostro (improbabile) nuovo futuro viaggio da queste parti…

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Il bus diretto che ci riporterà a Hong Kong parte da Tai O verso le 14.30 così, terminata la visita al villaggio sulle palafitte, abbiamo a disposizione una buona mezz’ora per uno spuntino in un giardino dotato di panchine sotto alberi frondosi appena fuori dal paese. Non fidandoci della cucina “paesana” cinese, dalla colazione mattutina nel ricco self-service dell’albergo ognuno di noi si era premunito (senza essere visto!) di una congrua quantità di panini imbottiti, pasticcini e frutta, comprando al mercato di Tai O solo delle bottigliette sigillate di acqua minerale.

Verso le 16.00, tornati a Hong Kong, prendiamo la metro e ci rechiamo sull’isola Victoria per visitare la Central Zone della città che gode di una caratteristica quasi unica al mondo: una scala mobile coperta (Escalator) lunga circa 800 metri che porta ai Mid Levels, e permette soste intermedie dove ammirare dall’alto le vie più importanti di Hong Kong, come la Hollywood Street, la Graham Street e la Cochrane Street, vicina al Central Market. In certi punti della salita si può quasi buttare l’occhio all’interno delle abitazioni e nei tanti negozi che  impreziosiscono quelle strade. C’è persino un sarto che, sul marciapiede, prova l’abito di una sua cliente. La scala mobile – lo si ricordi bene – di mattina scende verso la parte bassa della città, mentre nel pomeriggio sale soltanto. Di fianco ci sono anche le scale per chi desidera fare la salita o la discesa a piedi.

Sarto a Hong Kong
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Quando la scala mobile termina, continuiamo a salire a piedi la collina perché vogliamo raggiungere la funivia che porta al Victoria Peak ma, dopo un bel po’ di strada, ci viene il dubbio di avere sbagliato direzione. Avevamo letto su una guida che la funivia distava poco dai Mid Levels, allora perché non riusciamo a trovarla? Era successo che a un incrocio, interpretando male un cartello stradale, invece di scendere verso il basso, abbiamo continuato a salire. Intelligentemente decidiamo di tornare sui nostri passi e di guardare meglio l’indicazione che ci aveva ingannato. In effetti la direzione giusta è la strada sulla sinistra mentre noi avevamo imboccato quella di destra. Affrontiamo così, ormai stanchi, una discesa molto ripida con la strada asfaltata che sembra non finire mai. Gente a piedi che sale ne incontriamo pochissima; ad assicurarci che non ci siamo persi ci sono splendide ville immerse nella folta vegetazione e qualche sporadica auto che sale o scende la collina. Lungo il percorso, seminascosta in una strada laterale bloccata al passaggio di veicoli, si materializza una bella chiesa cattolica: la diocesi di Hong Kong (Xianggang, Dioecesis Sciiamchiamensis). Accendo la videocamera e mi fermo un attimo a riprenderla ma quella breve sosta è sufficiente a farmi perdere il contatto con il resto dei compagni. Mi metto a correre e, per fortuna, riacciuffo Vittorio, l’ultimo della fila che, al pari di me, sta scattando qualche foto dello scenografico panorama che ci circonda. Sono memorabili alcuni possenti alberi miracolosamente abbarbicati alla collina scoscesa e con le radici nodose e contorte praticamente tutte fuori dal terreno.

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Diario di bordo – 5 – di N. Losito
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Finalmente arriviamo alla stazione di partenza della funicolare (Lower Peak Tram Station) e qui ci cascano le braccia: ad aspettare il proprio turno per salire sul tram c’è un biscione chilometrico di persone incanalate in corsie invalicabili, sorvegliate da poliziotti. Di sicuro il tempo di attesa supera le due ore: a questo punto Barbara e Sergio suggeriscono di prendere dei taxi per salire al Victoria Peak. L’idea non è pellegrina, ma si scontra con la dura realtà: taxi in giro se ne vedono pochissimi e quei pochi che passano non si fermano alle nostre mani alzate. Quando chiediamo a un poliziotto di aiutarci, l’unica parola che capiamo è strike, cioè proprio quel pomeriggio i taxisti sono in sciopero e quelli che non aderiscono alla protesta rischiano di essere malmenati dai colleghi.

Lower Peak Tram Station
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The peak tram
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Con le pive nel sacco, decidiamo di tornare in albergo e, prima di prendere il metrò, ne approfittiamo per guardarci intorno. Ci troviamo nella parte più ricca della città. I grattacieli, uno più bello e più alto dell’altro, segnalano che proprio lì hanno sede le banche e le società finanziarie più importanti del mondo. Ci sentiamo piccoli e inadeguati. Ci allontaniamo in fretta da quel luogo che trasuda ricchezza da tutti i pori. Ci fermiamo solo il tempo di scattare qualche foto e fare delle brevi riprese con la videocamera, rischiando lo stesso di beccarci il torcicollo (il cosiddetto male dell’imbianchino  

A bocca aperta
).

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L’indomani mattina, di buon ora, è prevista la partenza per Guilin: le signore, invece di riposarsi dopo la sfacchinata pomeridiana, devono preparare le valige. Incontreremo di nuovo la simpatica guida che ci aveva accolti al nostro arrivo a Hong Kong e sarà lei a condurci col bus in aeroporto per prendere un volo interno che ci scaricherà a Guilin, la seconda tappa del nostro viaggio e primo impatto con la Cina vera e propria.

Barbara e Sergio che in Cina ci sono già stati, ci avvisano che nell’immenso paese del fior di loto e del bamboo qualcuno di noi avrà problemi con il cibo, per cui tanto vale fare l’ultimo pasto decente da Rocco’s Pizzeria, il miglior ristorante di antica origine italiana qui a Hong Kong che, tra l’altro, è a due passi dal nostro albergo. La proposta di un’allegra pizzata viene accettata con grandi e fantozziani applausi. Nessuno, infatti, osa sottolineare che fare migliaia di chilometri per finire a mangiare specialità simil-italiane  non è molto bello da raccontare in giro, ma tant’è…

A bocca aperta

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Otto del nostro gruppo, decisi a fare un ulteriore tentativo di raggiungere il Victoria Peak, prenotano due taxi (lo sciopero sembra sia terminato) direttamente dall’albergo: il loro intento è fotografare e filmare, dal punto più alto dell’isola Victoria, lo skyline della Hong Kong notturna, illuminata al massimo fino alle 22. I rimanenti otto, tra cui io e la mia signora, decidiamo che otto bravi fotografi sono più che sufficienti per portare degnamente a termine l’impresa che non ci era riuscita nel tardo pomeriggio. Mentre mezzo gruppo ci precede da Rocco’s, noi ci prendiamo un po’ di tempo per una veloce doccia e per indossare un abito elegante:  vogliamo festeggiare degnamente la fine del nostro soggiorno a Hong Kong.

Arrivati da Rocco’s prendiamo atto che il locale è decisamente gradevole. L’ambiente, pur essendo una pizzeria, è raffinato; la gente chiacchiera con discrezione e nei tavoli vediamo anche clienti cinesi in giacca e cravatta che si stanno gustando una margherita o una quattro stagioni di pregevoli dimensioni. Gli otto fotografi-mai stanchi stanno già cenando e ci avvertono che le pizze non sono niente male, anche se al posto della mozzarella di bufala di campana memoria, c’è un’imitazione cinese del nostro prodotto caseario più famoso al mondo. Anche la birra si lascia bere: ha persino qualche gradazione in più di quella che abbiamo bevuto in giro fino a quel momento. Ci sentiamo quasi a casa. La stanchezza accumulata nella giornata in un attimo si scioglie come neve al sole e la nostra tavolata si lascia andare a un allegro e sonoro chiacchiericcio tutto italiano, un po’ bevuto, a stento frenato dalle mogli, vieppiù imbarazzate.

Per concludere la serata scommetto con i miei amici che, di sicuro, da Rocco’s non conoscono l’affogato al caffè, il dessert con cui, a Milano, normalmente concludo le cene in pizzeria. Vinco io perché, quando chiamo la cameriera e le chiedo:  “one ice cream drowned in coffee, please…”  lei (una gran bella ragazza) impallidisce e balbetta: “We don’t have this dessert.”. Sorrido e insisto: “It’s impossible. All good restaurant in Italy, have this!”. Lei risponde: “Let me ask to the boss…” e corre a parlottare con il proprietario del locale, figlio di un immigrato italiano ma che, naturalmente, non spiaccica una parola d’italiano.

I due discutono un po’ e, da lontano, mi guardano non sapendo come fare per accontentarmi. Dal tavolo di spalle al nostro, Sergio che ha seguito la vicenda, si alza e va a soccorrere il boss in ambasce. Nel suo perfetto inglese si appresta a insegnargli come si prepara l’affogato al caffè, partendo da un buon gelato al torroncino. La cosa più difficile è spiegargli cos’è un gelato al torroncino: in Hong Kong una delizia del genere non esiste. In sostituzione, Sergio gli consiglia di utilizzare un gelato alla crema con canditi (di produzione cinese) che ha un sapore abbastanza simile al nostro torroncino. Quando gli dice di versare il caffè espresso caldo sul gelato, il boss, incredulo, scuote la testa, a significare che noi italiani siamo proprio pazzi. Comunque, alla fine, accetta di farlo e prova lui per primo ad assaggiare quello strano miscuglio di freddo e caldo. Alla terza cucchiaiata l’uomo si scioglie in un largo sorriso e, in italiano, dice: “Buono!”  e fa Ok con la mano destra.

Prima che Sergio torni al tavolo il boss gli fa scrivere il nome esatto, in lingua italiana, di quel dessert, assicurando che lo metterà da subito in menù. Dunque, cari amici che state leggendo questo post, se anche voi andrete a Hong Kong e pranzerete da Rocco’s Pizzeria, chiedete tranquillamente alle cameriere questo tipico dessert milanese. Se lo gusterete, il merito è tutto del gruppo di 16 italiani che a metà ottobre del 2014 sono stati tre notti e due giorni in questa bella città.

Tornando alle cose importanti, ecco qualche foto di Hong Kong by night vista dal Victoria Peak proprio quella sera:

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DSC_0170a   victoria peak di notte
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Arrivederci alla prossima puntata, finite le festività di fine anno.

Ne approfitto per anticiparvi i miei migliori auguri di un lieto Natale e di un festoso e brillante Capodanno.

Nicola

Crediti: le foto sono di Mirella & Giorgio I°, Barbara & Sergio, Giorgio II° e Chicca. Qualche immagine l’ho scaricata da Internet. Il filmato è mio.


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