Eccoci alla seconda puntata del diario di traduzione dei Collected Writings di Joe Brainard. Se vi siete persi la prima, la trovate qui.
Una delle tante cose belle di tradurre Joe è che in genere, quando lavoro sui miei soliti saggi, continuo a distrarmi, sono irrequieta, procedo per inerzia, comincio a fare ricerche e poi mi perdo, magari faccio sei o sette pagine senza mai spostare lo sguardo dallo schermo ma poi vado avanti una frase per volta per quello che mi sembra un secolo. Con Joe invece mi metto al pc e a un certo punto mi accorgo che intorno si è fatto tutto buio e non vedo neanche più le mani sulla tastiera, sono le otto e mezza e non ho ancora cenato. È come cadere nella tana del coniglio bianco.
A questo punto ho la sensazione di aver appena cominciato il libro, e così controllo velocemente quanto ho tradotto finora. Il risultato mi stupisce: 50 cartelle senza nemmeno accorgermene. Mi sembrava di averne tradotte una decina. Sono scivolata tra le pagine con una facilità sorprendente. È una cosa stranissima, perché di solito per ottenere un testo scorrevole e un’apparente facilità di scrittura il traduttore fa uno sforzo notevole. E ciò mi fa capire che questo libro ha veramente tutti i numeri per farsi leggere e amare.
Ma veniamo al dunque. Certi brani fanno davvero girare la testa (May read, she knew how to read, that a bird’s feather was the strongest thing in nature for its size and weight and we tried it out and we decided that tho this might be true it wasn’t saying much because we found breaking bird feathers quite easy and extremely enyojable and we enjoyed enjoyable things in the most enjoyable way you can imagine enjoyable things as being enjoyed) ma se ci si lascia trascinare, quando si arriva alla fine del singolo testo si scopre di aver capito esattamente cosa voleva dire. E di solito lo si capisce col sorriso sulle labbra. Ciò non vuol dire che si sappia bene come riprodurlo in italiano, ma il bello è anche questo.
Uno dei miei problemi principali nel corso della traduzione: le frasi brevissime; in certi brani ogni pensiero è interrotto da un punto, cosa molto americana e molto da Joe. Ma il problema non è solo lo stile. È anche che a volte sono buttate lì senza ulteriori riferimenti, magari con un pizzico di slang che le rende estremamente ambigue. Avevo già affrontato questo problema in Mi ricordo, ma generalmente con qualche ricerca (ok, un bel po’ di ricerche) riuscivo a capire di cosa stesse parlando. Qui più che riferimenti oscuri si tratta di pensieri sconnessi e tutti suoi, magari inseriti in una riga isolata da tutto il resto.
Per esempio, cos’avrà voluto dire con “I don’t want you in my pocket.”? E a chi si rivolge, così all’improvviso, se questo è il suo diario e sta parlando di tutt’altro? In realtà usa moltissimo “you”, e non solo come impersonale tipico della lingua inglese (tanto per fare un esempio, dice anche “I love you”, quindi ha in mente uno o più ipotetici lettori). Ho optato quasi sempre per un pubblico collettivo, un “voi” al posto di un “tu” che in certi pezzi proprio non ci stava. Ma a volte Joe mi spiazza, anzi, più spesso di quanto sarebbe sano ammettere. Sarà sicuramente un aspetto su cui riflettere una volta finito il libro, ma per adesso procediamo.
Mikko Kuorinki, Joe Brainard: Poem
Ora sta parlando di certi “allspice trees”, non so cosa siano, vediamo un po’… Ah, ecco, alberi di pimento, o pepe della Giamaica. Benissimo, perfetto. Ecco, però subito dopo dice che credeva che “allspice” indicasse un miscuglio di tutte le spezie esistenti e invece si tratta di una sola. Accidenti, bisognerà trovare un modo per non perdere questo fraintendimento. Visto che la parola Giamaica compare più volte poco prima, per ora metto alberi di pimento ed evidenzio in giallo. Vediamo che dice dopo… “Also there are pimento trees”. Ma porc… Faccio ulteriori ricerche, niente: sembra proprio che pimento e allspice siano la stessa cosa. Che faccio, nel primo caso mi invento una traduzione letterale per allspice? No, mi sembra troppo forzato, forse potrei lasciarlo in inglese, tanto spiega subito di cosa si tratta, e in questo modo non si perderebbe il gioco di parole. Per ora farò così. Evidenziato anche questo.
Proseguo nella traduzione incontrando alcune parti che mi fanno disperare: ripetizioni infinite, che in inglese stanno bene e danno il senso del flusso dei pensieri, ma in italiano sono terribili. Però a eliminarle mi sembra di tradire la scansione del discorso, la litania rassicurante, il labirinto di pensieri ripiegati su se stessi in cui spesso Joe si rifugia per poi uscirne con una meravigliosa frase a effetto. In ogni caso è impossibile annoiarsi, è molto vario, a ogni pagina è come tradurre qualcosa di completamente nuovo, una nuova sfida.
Alcuni pezzi filano lisci come l’olio. Su altri devo rompermi la testa, e non solo per alcune frasi isolate che risultato un po’ oscure o particolarmente incomprensibili, ma proprio per la qualità di certi brani, che forse solo entrando nella testa dell’autore sarebbe possibile comprendere davvero. Ecco una frase che non capisco proprio. Non ha alcun senso. Leggo quella successiva: “I told you I was stoned”. Ah beh, grazie Joe. È vero, me l’avevi detto all’inizio del brano, e una risata me l’hai strappata.
Ora una battuta: Joe è sul treno e sta fumando, una signora stizzita gli dice: “This is a No Smoking car.” E lui risponde: “Oh, and where are the cars that smoke?”. Ecco, solo che in italiano si parla comunemente di carrozza, che è femminile e di solito singolare, se intendiamo quella in cui ci troviamo: mi sembrerebbe strano rimproverare qualcuno dicendogli “queste sono (le) carrozze (per i) non fumatori”. Inoltre, sia “fumatori” che “non fumatori” sono maschili (e plurali). Ci penso un po’, rifletto su “fumanti” che ovviamente è improponibile, poi rinuncio a “per i” e scelgo “vagoni non fumatori” (risposta: “e dove sono i vagoni che fumano?”), anche se “vagoni” mi sa molto di old-fashioned e non sono del tutto soddisfatta né del termine né tantomeno del plurale. Ma in questo caso il gioco di parole vale una piccola forzatura. Sarà eccessiva? Speriamo di no.
Forse in questo post ho messo troppa carne al fuoco, ma Brainard è così: accumula, costruisce, aggiunge, dettaglia, divaga, straparla, e quando pensi di averlo ormai capito (o di aver perso totalmente il filo) riesce sempre a stupirti con qualcosa di nuovo. La fase di revisione, in cui mi toccherà sciogliere tutti i problemi rimasti in sospeso, sarà una bellissima tortura.