di Virginia Boddi
Andare oltre i propri confini spesso non è solo un concetto filosofico con eco psicologiche di una matrice piuttosto che di un’altra. In molti casi diventa un atto concreto compiuto per vedere se intorno c’è qualcosa che può fare al caso nostro. È quello che – fuor di metafora – ha fatto anche Cosimo Manni che, come molti altri suoi coetanei, dopo la fine della scuola superiore, decide di lasciare l’Italia per vivere un’esperienza lavorativa all’estero (e non solo) che in casa nostra non era possibile concedersi. Di seguito ci racconta impressioni e sfumature di un percorso ad oggi diventato comune a molti, ma che rimane sempre straordinario quando coinvolge in prima persona. Attraverso una chiacchierata per niente artefatta e del tutto spontanea, sgorga la testimonianza di un soggiorno a Montecarlo, che abbiamo il privilegio di leggere attraverso gli occhi e le parole di un giovanissimo uomo.
Ciao Cosimo, da maggio a settembre 2011, all’età di vent’anni e neo diplomato, hai avuto un’esperienza lavorativa nell’ambito ristorativo, presso “La Trattoria Sporting-Monaco”. Cos’è che ti ha spinto a fare questa scelta? Com’è stato lasciare la tua vita qui a Firenze?
L’offerta di questo lavoro mi arrivò inaspettatamente due anni fa, all’inizio del 2011, rimasi veramente sorpreso e tanta in me era la curiosità di vivere un’esperienza del genere, così quando mi si presentò quest’occasione non persi tempo, ed accettai al volo la proposta senza pensarci due volte. Lasciare la mia vita qui a Firenze non è stato difficile, anche perché si trattava solamente di pochi mesi, una cosa temporanea, non era un trasferimento definitivo, e poi simili occasioni non capitano tutti i giorni!
È proprio vero, occasioni del genere non capitano tutti i giorni e quando ti si presentano è bene prenderle al volo! Come ti è arrivata questa proposta di lavoro?
Questa bellissima opportunità mi è stata fatta dallo chef a cui era stata affidata la gestione del ristorante “La Trattoria Sporting-Monaco”; quest’ultimo mi conosceva già, e sapendo che mi ero appena diplomato ed essendo al corrente della mia passione per questo lavoro, pensò di concedermi questa chance.
Un bel gesto e, coi tempi che corrono, sei stato davvero fortunato. Ma quando è arrivato il giorno della partenza quali sensazioni hai provato?
Le sensazioni che ho provato al momento della partenza sono state veramente tante, tra queste il sapere che nei quattro mesi successivi avrei dovuto affrontare e gestire una relazione sentimentale a distanza, ma questo non mi ha comunque influenzato nella scelta che avevo appena preso. A vent’anni non è semplice prendere una simile decisione, ti ritrovi di punto in bianco catapultato nel mondo del lavoro, davanti a un bivio: “Prendere al volo quest’occasione e viverla a mille o rifiutare e rimpiangere di non essere partito per il resto della vita?”. Poi ci rifletti su, e ti rendi conto che la passione per questo lavoro, per la cucina, è molto più forte di tutto; una passione che sarà il mio futuro, motivo principale di questa decisione, che richiede tanto sacrificio, ma che a tempo debito saprà ripagarti con tantissime soddisfazioni. Durante il viaggio, tante sensazioni mi hanno fatto compagnia mentre macinavo km che mi allontanavano sempre di più da casa, e al tempo stesso mi avvicinavano sempre di più a questa nuova avventura. Lungo la Costa Azzurra, veramente bellissima, uno degli scorci di mare tra i più suggestivi, uno scalpitio di emozioni, che non so descrivere, fino a giungere a Ventimiglia, poi finalmente dopo tanti km il confine! L’Italia sarebbe stata lontana solamente qualche km, finalmente la Francia! Ancora un paesino (Menton) ed ero arrivato. Dall’alto si intravedeva il suggestivo porto di Montecarlo, un mondo a parte! Mi ricordo che parcheggiai vicino al porto. Un parcheggio per yatch o “ville galleggianti” delle più chic, ma non solo, anche fantastiche strutture ristorative e alberghiere di livello extra lusso, per citarvene uno l’ “Hotel de Paris”.
Hai appena parlato della tua grande passione per l’ “arte” della cucina e per questo bellissimo lavoro. Quand’è che ti sei reso conto di tale passione? Come ti sei accorto che questo sarebbe stato ciò che volevi fare per il resto della vita?
Tutto è iniziato quando, alla fine della terza media, mi sono ritrovato a scegliere l’indirizzo di studi, scelta che non fu casuale e sinceramente non maturò da motivazioni particolari. Molte persone che intraprendono questo percorso, lo decidono perché hanno genitori o parenti con attività avviate nel settore della ristorazione, e al termine del percorso di studi si ritrovano un’occupazione sicura. Molto spesso è proprio per questo motivo che decidono di avvinarsi a questa professione. Tirando le fila del discorso, la decisione di intraprendere un percorso formativo nella ristorazione è avvenuta un po’ per curiosità e un po’ per scommessa. Per quanto riguarda la passione, questa si è sviluppata durante il percorso scolastico, e ovviamente durante le esperienze lavorative che ho avuto.
Al momento del tuo arrivo a Montecarlo che impatto hai avuto con questa nuova realtà lavorativa? E la convivenza con i tuoi nuovi colleghi di lavoro, nonché coinquilini?
Ad essere sincero al momento del mio arrivo a Montecarlo l’impatto con la nuova realtà lavorativa è stato alquanto complicato, appena arrivai venni immediatamente accompagnato agli appartamenti del personale, situati al di fuori di Montecarlo, precisamente in Francia. Dopo una breve spiegazione e l’assegnazione della stanza che condividevo con altri colleghi, giunti a Montecarlo scaglionati durante il resto della giornata, venni lasciato completamente solo a me stesso. La mia “camerata” era costituita da altre 4 persone, oltre me; due ragazzi italiani che all’interno del ristorante svolgevano il ruolo di capo partita (il capo partita in una brigata di cucina è il responsabile di uno specifico settore; ad esempio vi possono essere un capo partita per la carne, uno per il pesce, un altro ancora per i piatti freddi, un altro ancora per le verdure e così via) che alloggiavano in due singole, mentre io condividevo la stanza comune con altri due ragazzi francesi con i quali ho instaurato fin da subito un buon rapporto (sia con loro che con i due capi partita). Il vantaggio di sapermi destreggiare discretamente con il francese mi ha aiutato a creare una certa complicità con i due “colleghi”che si divertivano a correggermi ogni qualvolta sbagliavo qualche vocabolo, ed allo stesso tempo si divertivano ad imparare qualche frase in italiano; in pratica uno scambio alla pari! Anche con gli altri membri dello staff composto da una decina di francesi ed altrettanti italiani, si è instaurato fin da subito un rapporto di collaborazione e rispetto reciproco, molto meglio di quanto mi aspettassi!
Raccontaci un po’ del ristorante per cui lavoravi, e magari anche di quali piatti ti occupavi e di qual era il tuo ruolo nella brigata di cucina.
Il ristorante, affacciato sugli splendidi giardini delJimmy’z, esplora la cucina italiana, con un particolare riferimento a quella toscana e ligure, e offre una vista imperdibile sul Mediterraneo. Il menù si compone di un ricco buffet di antipasti, proseguendo con un ricco assortimento di pasta (fresca o secca, spaziando dai ravioli ai carciofi agli gnocchi con le zucchine trombette, per passare alle linguine) fino a giungere alle vongole e quant’altro. Per quanto riguarda i dolci vi era un vero e proprio assortimento, con grandi classici come la panna cotta al caramello, al cioccolato o ai frutti di bosco, il tiramisù o la cassata siciliana. In sala vi è il carretto dei gelati, sorretto da una bicicletta vecchio stile, con la tipica ghiacciaia rossa contenente mille gusti tra gelati e sorbetti. Il tutto accompagnato da vini raffinati, in una cornice davvero originale. Sia per la fresca qualifica alberghiera che per la limitata esperienza lavorativa, la mia mansione per la stagione si sarebbe limitata al ruolo di commis di cucina (aiuto cuoco) agli antipasti e ai primi, quindi nella cucina a vista; posizione vantaggiosa quella di lavorare nella cucina a vista, dato che le osservazioni che potevo prendermi dallo chef erano molto più contenute rispetto a quelle che potevano prendersi i miei colleghi, data la posizione molto esposta alla vista dei commensali del ristorante. Gli antipasti e i primi, di cui mi occupavo, venivano preparati nella “prima cucina”, quella a vista, situata nella sala del ristorante, mentre i secondi, i contorni e i dessert venivano preparati nell’altra cucina, quella “non a vista”. Prima di iniziare la stagione venne indetto un meeting a cui prese parte tutto lo staff, in cui lo chef e il suo vice ci comunicarono che la prima settimana di permanenza a Montecarlo non avremmo lavorato, ma che l’avremmo sfruttata per acquistare le divise, che dovevano essere rigorosamente tutte uguali; divise che dovevano essere comprate a Nizza, in un negozio affiliato chiamato “Clement”. Fu una buona scusa per visitarla! Oltre alle divise dovemmo acquistare anche gli utensili da lavoro, ognuno di noi doveva avere i “propri attrezzi del mestiere!”. La prima settimana fu utile non solo per acquistare le divise, i coltelli con annessi e connessi sia per il lavoro che per l’appartamento, dotato solamente dei letti e di un piccolo cucinotto, ma anche per approfondire la conoscenza di alcuni colleghi e un’ottima occasione per visitare e conoscere meglio Montecarlo che, come ho già detto all’inizio, è sicuramente una delle zone costiere più belle d’Europa… Nizza è favolosa! Sicuramente è stata una delle settimane più belle.
Immagino che lavorare a certi livelli non sia semplice e da quello che hai raccontato in via confidenziale, al di là di questa “intervista”, ci siano state giornate molto stressanti. Vorrei concludere questa chiacchierata con una riflessione finale su questa esperienza lavorativa all’estero.
Questi 4 mesi a Montecarlo son stati intensi in tutti i sensi, sia come ritmi di lavoro che come orari. La gerarchia dei ruoli in questi livelli di cucina è molto rigida, e partire come commis di cucina può rivelarsi un’impresa difficile da sostenere: non avere la possibilità di dare una tua opinione, il continuo essere richiamato per qualsiasi cosa, venir trattati con sufficienza e l’unica risposta concessa “Sì, chef!”. E nulla più, anzi guai a contestare! Come tutti i mestieri, il lavoro di ristoratore e cuoco è fatica e sacrificio, orari duri e periodi difficili, ma questo lavoro, se fatto con passione e dedizione, può portare grandi soddisfazioni, fino alla realizzazione di grandi traguardi.
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