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Diario di un malato di Parkinson (1990-1998) - (2)

Da Ambrogio Ponzi @lucecolore

Diario di un malato di Parkinson (1990-1998) - (2)

Fidenza Chiesa di S. Michele ripresa dalla canonica

Quello che segue è la seconda parte del Diario di Don Lino pubblicato nel luglio 2005. Seguiranno via via le altre parti del Diario
 (2)
"pur essendo Figlio, imparò tuttavia l'obbedienza dalle cose che patì"    Eb 5,8
23 maggio 1993 Ritiro Fornovo 23-29 maggio 1993  Eccomi a Fornovo, dopo qualche peripezia: non c'era posto dai Conventuali; mi accordai allora con l'Albergo... (non certo il massimo per un ritiro): poi per caso un suggerimento di A. mi ha messo su questa pista.
Sono a Villa S. Maria, un micro villaggio della preghiera. Verde. Silenzio. In questa settimana sono l'unico ospite. Ritrovo, qui, da solo, l'acuta percezione della singolarità dell'esistere. Di me, di ognuno. E del mistero dell'esistere. Mistero sia nel seno so generico del suo sfuggire ad ogni presa razionale; sia in quello più preciso dell'essere presente e dell'operare di Dio. Avverto la mia esistenza come una ferita aperta (ho pianto a lungo): mi sento sempre più un niente; un anelito inappagato, che ormai sa ciò che NON È RISPOSTA e CIÒ CHE LO È, e per questo, anelito al Volto di Dio.
 Sono ridotto a un niente. E questo - a tratti - è beatificante. Ma a volte mi sopraffà come il rimpianto di quello che avrei potuto essere e non sono stato e non sarò mai più. L'esistere è anche inesorabilità. Rimpianto per una "conclusività" mancata. Ma forse sto vivendo, con la carne e il sangue e non soltanto con ,la testa, un altro tratto essenziale dell'esistenza, che è la sua incompiutezza. E anche in questo modo, oggettivamente e, spero, soggettivamente, tutto il mio essere "anela a Te, o Dio".
25 maggio 1993 Ritiro a Fornovo 23-29 maggio 1993 - "Ma il Signore non era..." "Camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio" (I Re 19,8). Ripenso alla mia vita. Un cammino verso il monte. Un lungo cammino. A tratti tortuoso. Con indugi, timori, incertezze, avvilimenti, delusioni (non sono migliore dei miei padri!). Ma sempre con questo richiamo di Dio nel cuore. "Gli fu detto: Esci e fermati sul monte alla presenza del Signore" (11). Sì, è un richiamo che costantemente ho avvertito: uscirei lasciare/ salirei fermarsi sul monte.... Questo impersonale indica certamente Dio, ma - mi vien da pensare - "Dio nascosto", velato, che parla con i fatti, le persone, le esperienze interiori ed esteriori. Certo, con la sua Parola, ma calata, compromessa, contaminata dalla realtà ambigua. "Ecco il Signore passò. Ci fu [...] ma il Signore non era nel [...]" (ibidem). Mi rendo conto che il Signore è passato. Nel senso - certo - che è venuto, mi ha visitato. Ma anche e soprattutto che "ha fatto pasqua", è andato oltre. E ha costretto anche me ad andare oltre. Perché LUI ERA e NON ERA LÌ dove lo aspettavo. Era perché mi attirava a sé lì, per poi andare oltre, non esserci più "lì"... Penso alle tante esperienze in cui ho veramente incontrato quel -Signore Dio che mi «aveva parlato» fin dalla primissima infanzia, attirandomi a sé per sempre. Momenti (ritiri, incontri, servizi...); luoghi (Spello, Benedello, Busseto, Salso, Camaldoli...); avvenimenti, compresi i lutti e la malattia; persone (umilissime ignote ma non a me, e note: Dossetti, Giussani, J. Vanier...); amicizie (persone vive... ecc.). Sul momento mi pareva che quello fosse "il luogo di Dio" e lo era veramente, perché lì Dio, in Gesù, mi stava parlando. Ma per andare subito oltre. E così anche per i tentativi di "concludere", di "realizzarmi in una forma precisa e definitiva". E invece sempre oltre. Da capo. Avverto il distacco da tutto, come convinzione e come atteggiamento profondo del cuore (anche se tradito). Ma senza illusioni. Poter fare ora qui una tenda per restarci con Dio è troppo bello per non essere tentante. E sarò certamente ancora tentato fino a tornare a chiederlo al Signore, come fece Pietro. Ma ogni volta sarà un parlare senza sapere quel che mi dice. Allora questa mia "non conclusività", che è il pungolo nella mia carne, al di là delle contingenze che ne determinano la forma storica (carattere, circostanze, malattia ecc.) esprime la situazione dell'uomo, e ancor più del credente che, pur sul monte, continua a vivere l'esodo di Dio e suo personale e del popolo tutto.
20 agosto 1993 Di fronte alla mia malattia In questo periodo mi è mancato il tempo di annotare quanto sto vivendo. Periodo molto intenso. Il parkinson non è scomparso. Mi limita. E tuttavia continuo a sentirlo come grazia e benedizione. Mi sembra che mi conduca a una condizione più evangelica. Riducendo la "mia" forza e la mia efficienza (e quindi lo spazio del "vantarsi") mi fa strumento più idoneo per l'operare di Dio. Avverto che il Signore sta facendo di me come un piccolo segno del suo procedere. Tanti modesti indizi indicano una efficacia che non viene da me e, tuttavia, è collegata a me. Mi stupisce, invece, la reazione dei miei "confratelli". Drammatizzazione della mia condizione. Compianto sincero per qualcosa che mi è stato tolto. Come se l'efficienza fosse la cosa più importante per un prete. Possibile che a nessuno venga in mente di pensare e di dire: "Rallegrati, fratello, grandi cose può e vuole fare il Signore con te (così come sei, e ancor più, come sarai)!".
27 dicembre 1993 Intervento all'alluce valgo. Lunga convalescenza ________________________________________
09 marzo 1994 La vera grandezza umana: il niente di sé Più avanza la mia debolezza e più avanza la coscienza del suo valore. E l'attrattiva. Avverto come vera grandezza il niente di sé per lasciare tutto lo spazio a Dio per il suo operare. Essere totalmente in balìa di Dio. Senza più resistenze.
21 aprile 1994 Donare la vita e curarsi! Il pastore vero dona la vita per le pecore. Come conciliare questa "parola" con il fatto che io, parkinsoniano, devo curarmi, riposare adeguatamente, risparmiare energie, fare fisiochinesi ecc.? Ho ripetutamente dichiarato al Vescovo la mia disponibilità per un qualsiasi altro ministero. Ho chiesto parere a don... e al Consiglio Pastorale Parrocchiale. Tutti a insistere perché resti, accettando di fare solo quanto attiene agli annunci, alla direzione spirituale, alla riflessione pastorale. Forse il mio spendermi sta in questo restare con i miei nuovi limiti.
13 giugno 1994 Ritiro Salso 12-20 giugno - Mie scelte Nel primo incontro-visita, avvenuto la scorsa primavera, il Prof.. mi espresse immediatamente ed esplicitamente il suo punto di vista: l'intervento farmacologico doveva essere rafforzato. In tutto questo periodo ho ricevuto amichevoli pressioni anche dai Proff. R... e B..., sempre nella direzione di un più robusto intervento farmacologico. Il tutto mi spinge a chiarire a me stesso la mia posizione, nelle sue ragioni e nei suoi contenuti, pronto a correggerla se verità lo esigesse, convinto di non appartenermi e di dover rendere conto anche della cura della mia salute.
Considero l'intervento farmacologico in ogni caso funzionale agli interessi primari della persona. L'uso di farmaci non deve sostituirsi alla persona, alle sue risorse e difese, ma coadiuvarle e sostenerle. Quindi, di fronte all'insorgere di una malattia, come prima istanza, far appello alla capacità di risposta della persona. Di fatto, oggi, succede il contrario: la prima cosa che si fa è ricorrere al farmaco. Perché? I farmaci sovrabbondano e ci sono forti pressioni pubblicitarie e, quindi, di interessi economici; c'è, nel medico e nel paziente, illegittimo desiderio di sconfiggere la malattia e di vedere ciò realizzato nella propria situazione; ma c'è anche l'impazienza di cogliere subito questo successo... e senza troppo sacrificio e sofferenza. Ecco, allora, riaffiorare, anche attorno al problema dell'uso del farmaco (che, dunque, non è così semplice e innocente come parrebbe), posizioni culturali ed etiche quali: SUBITO - TUTTO - A POCO PREZZO! Ho il mal di testa... prendo una semplice aspirina... ~ mi passa subito! Non ci si pone neppure lontanamente il problema che, in questo modo, non solo il corpo viene indebolito nella sua capacità di risposta, ma la persona regredisce quanto alla sua robustezza etica e spirituale. Non si pensa quanto più utile e positivo sarebbe il tenersi, almeno per un poco, il mal di testa, rimandando l'uso del farmaco a quando occorresse proprio a sostegno della persona. (Questo "quando" è certamente opinabile ed è competenza del medico indicarlo. Ma quello che conta è la strategia, è la visione, entro la quale ci si muove). L'uso facile del farmaco impigrisce la persona nelle sue capacità di reazione, è una sorta di delega: "C'è uno che lo fa per me; io posso anche sedermi!". Oppure potrebbe favorire l'arrendersi del depresso, o di chi ha il complesso del malato. In entrambi i casi vien meno quello slancio positivo, costruttivo, dello "spirito", che risveglia e mette in circolo recondite energie. C'è, poi, la questione delrinquinamento. Non c'è farmaco che sia al riparo da qualche controindicazione, specialmente nelle malattie irreversibili dove l'assunzione del farmaco è a vita. In questo caso il rimandare la sua introduzione al massimo del possibile (prudentemente inteso) non è forse saggezza? Tutto questo vale particolarmente per il parkinson, dove il farmaco non è propriamente curativo del morbo ma dei suoi effetti. La mia scelta, che non vuole essere assoluta e pregiudiziale, mi sembra ragionevole e di natura prevalentemente etica, senza invasioni di campo e di competenze.
14 giugno 1994 Ritiro Salso 12-20 giugno 1994 - Il mio cammino di discepolo
IN QUALI CONDIZIONI SONO ARRIVATO AL RITIRO
PUNTO DI VISTA FISICO PARKINSON: avanza, lentamente, ma avanza. Lo vedo da due sintomi: maggior difficoltà delle dita nei movimenti fini; più accentuata tendenza a piegare il tronco verso destra (in proporzione alla stanchezza); tendenza a "cadere", anche se finora non sono caduto.
  • Ottobre, novembre, dicembre, in pratica risucchiati dall'intervento all'alluce. Con coda in gennaio e oltre.
  • In debito di sonno... Ancora troppe volte mI metto a letto all'una e mi alzo alle cinque! Colpa della lentezza e della volontà di finire qualche lavoro. Rischio di un circolo vizioso: più lento _ più tardi _ più stanco _ più lento.
LIVELLO DELLO SPIRlTO
  • Come ho vissuto questa evidente riduzione di efficienza e aumento di inadempienze, un tempo così tormento se per me?
  • Come si è sviluppata, anche attraverso questo, la mia vita secondo lo Spirito? In quale direzione sta spingendo?
  • Intanto ho chiesto ripetutamente al Vescovo di togliermi dalla Parrocchia senza dare formali dimissioni: non ho voluto essere io - per ora - a determinare la mia situazione (andare o stare) come sarebbe avvenuto con il mio silenzio (=stare) o le mie dimissioni (=andare). Ora il Vescovo sa di poter liberamente disporre di me. lo attendo, oggi come oggi, serenamente.
  • Le acquisizioni riguardo al valore evangelico della debolezza si sono rafforzate.
  • In più si sono fatte avanti due percezioni: nella prospettiva della fede e di Gesù crocifisso, la realizzazione di sé non è solo e necessariamente diretta ma, paradossalmente, passa attraverso la "non-realizzazione" obbediente e amorevole.
  • ora sempre più il mio interesse ultimo e supremo è la VERITÀ del mio esistere, non importa dove o come.
1 8 giugno 1994 Ritiro Salso 12-20 giugno 1994 - Il servizio della presidenza: difficoltà e impegno Un elemento fondamentale per esprimere un giudizio sulla mia situazione è dato dallo svolgimento del compito di presidenza liturgica. UN PUNTO È CHIARO: qualora/quando non fossi più in grado di esercitare la presidenza liturgica e pastorale, dovrò/vorrò assolutamente dare le dimissioni.
11 agosto 1 994 In questi giorni ho dovuto constatare un aggravamento del parkinson. I sintomi: maggiore lentezza (troppo spesso in ritardo sugli orari); più accentuata la precarietà dell'equilibrio per il maggior trascinamento in avanti, indietro e sul fianco destro; grave difficoltà nelle discese ripide e strette (come da Malga Segantini alla partenza della seggiovia). La lentezza mangia molto tempo; il trascinamento esige vigilanza continua. Vedo la mia vita sempre più condizionata dal parkinson.
Momenti di sconforto e di rimpianto. Coscienza sempre più chiara della mia condizione e della inevitabilità di assetti diversi e ignoti. Dover tutti i giorni buttar via tanto tempo per cose quasi banali!? Come conciliare, per il poco tempo che mi resta, preghiera studio e ministero? Dover spendere tante energie mentali e fisiche per contrastare il male che, comunque, avanzerà inesorabilmente?
 Le luci:
  • il Signore, la gioia, è comunque presente nella mia esistenza, sempre;
  • dare tempo ed energie a causa della malattia è riconoscerla realmente nel suo concreto impatto e, dunque, obbedire alla vita;
  • dare voce di fede e senso offertoriale al gemito del creato è azione sacerdotale;
  • non so che.cosa Dio vuoI fare di me ammalato, a quali esperienze intende condurmi, se e quale tipo di segno per gli altri progetta di costituirmi... ma so che la sua volontà è buona e potente...; che il fidarmi di lui è l'atteggiamento più ragionevole e umano che io possa assumere. Ne ho già avute prove anche per il parkinson. Intendo farlo senza riserve.
1 2 agosto 1 994 Riconciliarmi con la nuova immagine di me stesso Mi sto rendendo conto che mi devo riconoscere e riconciliare con la mia nuova immagine e che questa riconciliazione è non facile. Ho tante volte e giustamente criticato l'attaccamento alla propria immagine... Ma quando mi vedo tutto piegato a destra e inclinato in avanti, da vecchio... mi sembra che si tratti di un altro. È vero, quello che si vede non è "la persona"... questa non si vede, mentre l'immagine sì! DEVO RIACCORDARE LA COSCIENZA DI ME CON L'IMMAGINE DI ME, senza che questa (l'immagine) trascini, travolga quella (ed è l'esperienza nefasta di tanti parkinsoniani), o quella neghi questa. Questa riconciliazione è di tutti. Solo che normalmente, per la lentezza del processo, la riconciliazione è indolore. Nel caso nostro è dolorosa e difficile perché il cambiamento è quasi improvviso.
20 agosto 1 994 Inizio di terapia specifica per il parkinson L'aggravamento dei sintomi, già apparso a fine luglio, e fattosi più evidente in Campeggio, mi ha convinto del fatto che il momento era giunto di iniziare la specifica terapia per il parkinson. La debolezza, per essere luogo di grazia, dev'essere "data" e non masochisticamente prodotta da noi.
05 settembre 1994 Debolezza e forza Il peccato come debolezza ci fa toccare con mano la nostra incapacità ad operare pienamente il bene. In questo senso diventa luogo di manifestazione della potenza di Dio nella forma del perdono. La debolezza come luogo della potenza di Dio chiede anche una mia conversione. Accoglierla senza tentare di illudermi. Il curarmi è parte di questa accoglienza: implica il riconoscimento pratico, non disperato di questa mia realtà. Mi sembra che questa accettazione non sia solo da parte mia ma, essendo io parroco, coinvolga anche tutta la parrocchia. E non semplicemente nel senso che è chiamata a convertirsi per accogliere la "mia" debolezza ma anche nel senso che è chiamata ad accogliere la «sua» conseguente debolezza, in quanto, fin che resto, la parrocchia sarà essa stessa più debole. Vivere tutto questo come opportunità di grazia: è la sfida evangelica che ci viene lanciata dalla malattia.   Una parrocchia meno efficiente, più umile, più disposta a contare sulla grazia: questa è la parrocchia "guarita" dalla malattia. Una parrocchia che impara ad affidarsi a Dio! Mi fa paura un insieme di segnali, che mi vengono dalla Parrocchia: "Faremo di più noi!". Sarebbe una lettura giusta se significasse maggiore corresponsabilità; errata, invece, se volesse significare: "Nascondiamo la debolezza".
22 settembre 1994 Il XXV nel segno esigente della divina predilezione In questi giorni avverto acutamente il mio niente. Inconsistenza. Impotenza. Sconcerto. Ma se Dio opera con forza nella debolezza, tanto più opera nel nulla. Il nulla è il luogo della onnipotenza di Dio, il luogo dove Lui solo può entrare ed agire in totale libertà, senza resistenza alcuna.
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