L’ho trovata quest’estate, in spiaggia, dopo 35 anni, scoprendo che forse Rino Gaetano aveva sbagliato in qualche verso della celebre canzone.
Gianna non aveva “un coccodrillo”, ma un vecchio certificato ingiallito in una soffitta di Roma su cui era scritto “di razza ebraica”. Gianna aveva fatto bene a sostenere tesi e illusioni per ritrovare brandelli della sua vita in riva al mare.
Che strano, sotto l’ombrellone siamo soliti parlare del più e del meno, condividere banalità, invece può accadere che il bauletto della memoria si scuota a ridosso di Ferragosto: una sorellina scomparsa tra le braccia del ‘900 e un fratellino nascosto in un convento per sottrarlo alle persecuzioni che nel Belpaese fascista toccavano a chi fosse di un’altra razza.
Attraverso gli occhiali scuri di Gianna ho risfogliato alcune belle pagine di Giorgio Bassani, quelle di Il Giardino dei Finzi-Contini, dove alla narrazione non sfugge la peccaminosa catena delle leggi razziali, applicate in Italia nel 1938 contro la comunità israelita. Sembra roba di altri tempi, ma soprattutto roba che non riguardi l’Italia, perché Aushwitz era geograficamente lontana dalla nostra penisola. Mettiamo da parte l’insostenibile leggerezza di chi vorrebbe far passare i governanti di allora come chi avesse poco a che fare con la lucida follia della Germania nazista.
Le nuove generazioni provano rancore per alcune scelte ingiustificate dello stato di Israele. Che l’errore di politici e capi di stato non ricada sui singoli individui, sul loro vissuto, sul tappeto del loro dolore.
Ho cercato Gianna per mare e monti. Sarebbe bastato andare in una sinagoga in Italia. Me l’ha restituita il mare. Shalom, Gianna.