Diario di viaggio su cellulare di 8 giorni a Málaga (Parte I)
Da Ilariadot
@Luna84
Si è mai sentito parlare di un diario di viaggio su cellulare? Beh, io in questi giorni a Málaga ne ho tenuto uno. E, vi piaccia o meno, ho scelto di condividerlo con voi. Questa é la prima parte. DÍA 1.Il finestrino dell'aereo incornicia il più bel tramonto che io abbia mai visto. Anche il più lungo, in effetti, visto che andiamo verso Ovest. La mia contemplazione romantica viene bruscamente interrotta dalla voce gracchiante del Comandante. Si lancia in un discorso accorato e lunghissimo di cui è tanto se capisco “Genova”. Dopo di che, cado in un coma profondo. Mi risvegliano, all'atterraggio: le trombette dell'anticipo di Ryan Air, gli applausi sempre inspiegabili degli italiani, i “vamos pa la feriaaa” urlati dagli andalusi e un bimbo di due anni al massimo che esclama orgoglioso “qué viva España”. A rimarcare il concetto, gli ci sarebbe voluto giusto giusto un “cojones”. Fuori, la tabellina degli orari mi informa dell'assenza di bus nei prossimi quarantacinque minuti. Data la cappa d'afa insopportabile che mi accoglie, scelgo di ovviare all'inconveniente dividendo il taxi con una sconosciuta. Sí, insomma, una trentenne malagueña che come me sbuffava poca voglia d'aspettare. Davanti ai veicoli in attesa, un omaccione sudaticcio cerca di regolare il traffico ripetendo “el siguiente, el siguiente”, come un mantra di tonalitá arrabbiate. Noi rifacciamo la fila tre volte, inseguendo nell'ordine: A) papabili intenzionati ad arrivare in centro il prima possibile; B) taxisti che accettino carte di credito; e C) una soluzione per dividere il prezzo della corsa non avendo lei contanti e io un biglietto da dieci euro. Ma, soprattutto, non avendo per niente doti matematiche. Nell'attesa di una Rivelazione, riusciamo in qualche modo a raccontarci mezza vita. DÍA 2.La Feria di Málaga non si puó descrivere. E, probabilmente, neanche la sbronza di Naza. Lei ridacchia accanto a una bottiglia mezza vuota di tinto de verano. Io, guardandomi attorno, quasi piango di gioia. E' che ovunque ti giri, qualcuno suona musica live. I generi si mischiano, nella cacofonia che amo di piú. Persone. Colori. Bancarelle ricoperte di ventagli e fiori per capelli. Ci sono donne in abiti flamenchi. Donne vestite casual. E poi uomini, anziani, bambini. Tutti ballano sevillanas per strada. Improvvisano passi da bulería ridendo di loro stessi. Si accalcano cantando, e chiacchierando con chi capita. E' la mia cittá. E, mentre si festeggia, oggi é piú bella che mai. Ci sediamo attorno a un tavolo del Gato con Botas, dopo aver bivaccato alla grande in Plaza de La Merced. Il plurale é formato da volti conosciuti grazie alla musica. A una manciata di concerti e di canzoni. A una passione che non ho ancora ben chiaro se si stia ravvivando o affievolendo dentro me. Come se il tempo non fosse mai passato, Naza inventa rime col mio nome. “Esa Ila hilando”. E allora “Naza ame-naza amenaza Naza”. E “tú sabe quien e' pepe io?”. Mentre mi scopro poetessa dell'assurdo, Mayte al telefono mi intima di fuggire. “Quelli lí sono fuori, salvati fin che puoi!”. La sera, a casa di Grace, il mio palato fa la conoscenza con il Cartojal. Caratteristico vino dolce, viene prodotto solo in occasione della Feria d'Agosto. Un po' somiglia al Vin Santo, un po' al Moscatel. E, se siete a conoscenza del mio amore per entrambi, avrete giá capito come é andata a finire. C'é da dire che la notte, poi, dormo da Dio. DÍA 3. Per me é il secondo giorno di Feria. Ma per tutti é l'ultimo, e si vede. Alle sei di sera, i mercatini d'artigianato di Plaza de la Merced sono giá in fase di smantellamento. Sulle note dell'ultimo spettacolo flamenco del giorno, la festa sta cedendo il passo a un macro-bottelón urbano. Poliziotti in divisa gettano occhiatacce a chi beve per strada. Attimi d'indecisione. Poi, lasciano correre. Oggi tutto é lecito, o questa é la sensazione. Trascorro il pomeriggio con Carol e i suoi amici. Un gruppo ben nutrito a cui si aggiungono altre persone. Cugine. Amiche delle cugine. 'Somma: ci si trova in venti attorno a un tavolo. E l'aumento del tasso alcolico sembra essere direttamente proporzionale al miglioramento della mia parlata andalusa. Mi pare, a un certo punto, di riuscire a vedermi dall'esterno. Non so se mi spaventi o mi stupisca, quanto io riesca a trasformarmi in funzione del Paese in cui mi trovo. Perché sono diversa, dai. Proprio un'altra persona. Parlo in un'altra lingua. Con un altro accento. Le esse assimilate alle t tanto da lasciare interdetto ogni nuovo arrivato a cui dico di essere italiana. “Me estás vacilando, no?”. Ho un'altra gestualitá. Diverso linguaggio corporeo. Un altro carattere, persino. Ché in Spagna, come sempre, sorrido di piú. Sono piú aperta, socializzo piú facilmente. Parlo un sacco e inondo l'aria di battute. Faccio ridere, e non solo sulla carta. La Spagna, dannazione, tira fuori tutto il meglio di me.Prima che possa commuovermi al pensiero, la ciurma mi trascina al Tolouse. Andare in discoteca prima di cena era un'esperienza che non vivevo dai miei sedici anni. E, a dirla proprio tutta, non la raccomanderei. Non per gli altri frequentatori (un sold out di trentenni con alte percentuali di esemplari maschili attraenti che non so che darei per trovare piú spesso nel mio paesello natale), e neanche per l'impossibilitá di muovere piú di un braccio. No. Il problema é che ancheggiare a tempo fa bruciare calorie. E, smaltiti il chupito di Cartojal e il Mojito trangugiati in precedenza, io ci metto poco a morire di fame. Rimedio poco piú tardi al Matahambres, uno di quei locali trendy di cui tutti parlano. Aperto molti anni dopo il termine del mio Erasmus, unisce cucina ricercata a prezzi da bar de tapas d'infima categoria. Insomma: una delle grandi scoperte di questo viaggio. Anche se l'attesa di un tavolo libero mi induce a progettare T-shirt (a ri-daje!) con sú scritto “soy un usuario activo de Tripadvisor”. Secondo me funzionerebbero come l'imbarco prioritario dei voli low cost. DÍA 4. Percorro Paseo del Parque in tutta la sua lunghezza, fino alla spiaggia della Malagueta. Da lí, mi spingo oltre. Fino a La Caleta, e ancor piú giú. Pochi attimi di riposo seduta sulla riva del Mediterraneo. Un sorso dalla bottiglietta d'acqua fresca appena comprata a un chiosco. Le onde che mi accarezzano le gambe. Mi invitano. Mi seducono. Mi chiamano. Cedo. Un tuffo senza esitazioni. Qualche bracciata. Il sole ancora caldo e alto delle sette. La felicitá. Lascio asciugare il costume sulla strada del ritorno. Cammino sul bagnasciuga, ché dicono faccia bene. Poi non si dica che non faccio sport. Non che il costume, poi, si asciughi davvero. Al Muelle Uno ci vado con una vistosa macchia scura sulle chiappe che spero di tutto cuore non venga scambiata per incontinenza. Ché é un posto fighetto, questo, oltretutto. Un posto che scopro ora per la prima volta. Di recente creazione, lo riconosco subito come l'altra grande scoperta del viaggio. Amore a prima vista, ricordo di Cartagena. In sintesi: la ristrutturazione della zona prima spoglia a cui attraccano le navi da crociera. Una passeggiata suggestiva tra palme, ristoranti etnici e boutique d'alto livello, con musica soffusa e profumi nebulizzati fuori dalle vetrine. Cocco. Vaniglia. Oriente. A seconda del target e dei prodotti venduti. C'é anche qualche negozio di souvenir, e una zona dedicata agli artigiani del luogo in cui mi riprometto di comprare qualcosa. Non ora, peró, ché le gambe iniziano a farmi male. Tornando verso casa di Grace, la rievocazione storica della Riconquista di Málaga da parte dei Re Cattolici conclude ufficialmente la Feria. Un gruppo di signore, ai lati della parata, discute animatamente sull'appropriatezza del termine “riconquista” riferito a qualcosa che prima non si aveva. Poco piú in lá, qualcuno si chiede come facessero, nel 1300, a pisciare con addosso quei vestiti. Quattro tizi (ma proprio quattro di numero!) reggono indignatissimi uno striscione. Chiedono urlando slogan che non venga riabilitata la Santa Inquisizione. Tutti quelli che ci passano davanti, immancabilmente, finiscono col chiedersi sottovoce cosa accidenti c'entri, ora. Io nel dubbio filmo tutto, cosí poi sono pronta a lavorare a TVE. La sera, con Grace, esageriamo nelle ordinazioni. Il cameriere de El Piyayo, portandoci tapas d'ogni genere di fritto, c'informa che “tranquille, tanto siamo aperti fino all'una”. Gli lasciamo la mancia, perché c'ha fatte ridere. Ma parte dei calamari, ahinoi, rimane lí.
(To be continued...)
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