Londra è una città neolitica. Basta attraversarla in una domenica di sole immenso, come questa, per rischiare di capirlo.
Il fiume di persone che riempie Brick Lane, Soho o Trafalgar Square sembra lì per sperderti e confoderti, da un momento all’altro. Ci sono tutti i colori del mondo, a Londra, tutte le facce dell’evoluzione umana, che si accalcano e si sovrappongono, a formare gomitoli di gente: tutti quanti disordati, in versione fiume.
È questa giostra perenne di persone a fare di Londra una gigantesca macchina del tempo. Che ti riporta indietro, all’origine dell’idea di città, in quel mescolamento di incertezze, di fede e di paura, di creatività e di focolari che 8000 anni fa ha dato vita alla civiltà, a questo nostro momentaneo trionfo sulla natura.
In questo tempo sospeso, Londra è la torre di Babele prima che crollasse, è il luogo nel quale tutti i popoli parlano la stessa lingua: è lo stato di natura originario, come sicuramente doveva essere: le differenze sono mescolate e, alleate, ci spogliano delle nostre identità manufatte.
All’inizio, quando ci arrivi, a Londra, è difficile sentire questo suo tempo scardinato. È difficile perchè arrivi qui carico di appartenenze, abbattuto dai mille arrivederci pronunciati, che ti pesano sugli occhi. Sei sommerso dalla tua identità, che se fosse un’immagine sarebbe un’immensa zolla di terra sulla schiena.
Ma piano piano, come il fiume fa con le pietre, questa Babele senza fine ti leviga. Appartenere, distinguersi, dividersi, nazionalizzarsi smette di essere una priorità.
La libertà ha un profumo complesso, come quello descritto da Suskind nel suo romanzo. La libertà ha un odore primitivo. Irresistibile.
(scritta ascoltando questa).