Roma è un sogno che la Chiesa tenacemente custodisce
Leo Longanesi
Certamente nelle mie visioni mattutine ha influito la sede della mia nuova redazione, quella di Rai 4 per la precisione, situata in zona Vaticano tra strade che facevano incrociare, in un confuso sistema di sensi unici, menti eccelse come Boezio e Virgilio, Orazio e Ovidio. Sta di fatto che le istanze di Santa Romana Chiesa, pur non toccandomi direttamente, hanno accompagnato le mie prime settimane all’ombra di San Pietro.
Da gennaio in poi ciò che era solamente sullo sfondo è diventato centrale. Difatti, in un curioso gioco di coincidenze che si sono accavallate l’una sull’altra, mi sono ritrovato a commentare le dimissioni di Papa Benedetto XVI, a leggere articoli e libri di una folta schiera di vaticanisti che nemmeno credevo esistessero, a frequentare aule universitarie con facce di Papi sulle pareti, a conoscere dinamiche a me prima sconosciute, a vedere l’Angelus del nuovo Papa Francesco accanto a mio padre in trasferta romana.
Passata Pasqua con le brevi vacanze bagheresi, sono tornato a Roma. Dopo i miei primi sei mesi, ora so chi sia un camerlengo e soprattutto so dove mangiare gli ottimi ravioli alla Ratzinger. Ho imparato un sacco di altre cose, ma forse non sono molto importanti. In un periodo dove crollano le certezze e i punti esclamativi si sono trasformati in interrogativi, sotto la Cupola di San Pietro mi sono sempre più reso conto però che in questo mondo non bisogna vedere per credere, ma credere per vedere. Io, nell’attesa, ho messo gli occhiali.
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