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Diary of the Dead

Da Robydick

Diary of the Dead - Le cronache dei morti viventi2007, George Andrew Romero.
Stagione cinematografica 2007-2008: esplode (o forse faremmo meglio a dire, rinasce) un sottogenere che deve gran parte della sua fortuna all'illusione di riproduzione fedele del reale, senza filtri e senza interventi esterni volti a fornire un punto di vista "prestabilito" allo spettatore. Parliamo del mockumentary, o del blues del filmato ritrovato. Cloverfield, Rec, Redacted, tre film usciti quasi contemporaneamente, tutti che fanno riferimento alla stessa tecnica. Nello stesso periodo, in sordina, apparso in qualche sala e poi subito nel mercato home video, appare anche Diary of The Dead, unica incursione di Romero nel territorio delle telecamere traballanti e delle riprese amatoriali. E' anche un reboot, un nuovo punto di partenza per la saga dei morti viventi. Li avevamo lasciati nel 2005 , evoluti  e in grado di organizzarsi; due anni dopo li ritroviamo come nei primi film, massa indifferenziata che ha la fame come unico imperativo. Si riparte da zero e lo si fa utilizzando la forma del falso documentario, che diventa cronaca di una guerra civile globale, "noi contro di loro, solo che loro siamo noi".
Diary of the Dead - Le cronache dei morti viventi
Non a caso, tra i film usciti nell'anno di grazia del mockumentary, quello che con più facilità può essere accomunato a Diary of The Dead è Redacted di Brian De Palma: entrambi, a differenza dei loro colleghi, sono filmati costruiti a posteriori, non pretendono di regalare allo spettatore la realtà nuda e cruda, ma si pongono come una sua sofferta e meditata rielaborazione. Romero ci avverte sin dai primi minuti di film, affidando il racconto alla voce fuori campo di un personaggio femminile, Debra, interpretata da Michelle Morgan. E' lei, infatti, ad aver montato gli spezzoni girati dal suo ragazzo Jason e dai suoi amici durante lo scoppio dell'epidemia e ad aver realizzato il film così come ci viene consegnato. Non solo, ma si è anche preoccupata di aggiungere della musica, così, per spaventarci un po', ché si tratta comunque di un film dell'orrore e spesso la paura riesce a risvegliare qualche coscienza.  Romero ci tiene quindi a sottolineare che il suo non è un found footage, ma un vero e proprio documentario, che presuppone scelte ben precise da parte dell'autore e che impone a noi che guardiamo di schierarci e di rispondere alle domande che queste scelte inevitabilmente fanno sorgere.
Diary of the Dead - Le cronache dei morti viventi
Ricominciare da zero.  Il mondo che ci racconta Diary of The Dead è troppo diverso da quello del 1968 (anno di uscita del primo film di Romero sui morti viventi) per descriverlo con gli stessi mezzi, o con personaggi simili. Ed ecco che Romero, a quasi settant'anni, si rimette in gioco e sceglie tutti protagonisti giovanissimi, i classici ragazzotti da teen horror, ma non si tratta di una rinuncia a tematiche adulte, o di una concessione al pubblico di un cinema più commerciale. Non potrebbe essere altrimenti, dato che gli unici cantastorie possibili per la nuova macabra fiaba di Romero sono quelli in grado di sfruttare e utilizzare al meglio i nuovi mezzi di comunicazione: saper usare una telecamera non basta, bisogna montarsi da soli il materiale girato e metterlo on line quasi in tempo reale, affinché tutti sappiano ciò che sta davvero accadendo.
Diary of the Dead - Le cronache dei morti viventi
Ma cosa sta davvero accadendo? Tutto comincia (come nel recentissimo Contagion di Soderbergh che arriva alle stesse conclusioni di Romero, ma con quattro anni di ritardo e qualche miliardo in più) su youtube, o una qualche analoga piattaforma: c'è un duplice omicidio, gli operatori della televisione locale chiamati a documentarlo arrivano sul luogo del delitto e i morti si risvegliano. Il cameraman diffonde il filmato di questo primo attacco tramite internet, ma all'inizio sono solo voci che rimbalzano in giro per la rete, non c'è nulla di certo, almeno fino a quando anche i media "ufficiali", tramite notizie frammentarie e mezze verità (scoppio di aggressività incontrollata, è tutto sotto controllo, restate nelle vostre case) non sdoganano la tremenda verità della resurrezione globale. I tentativi di rassicurare la popolazione delle autorità si schiantano contro i messaggi di panico provenienti dai blog. Nel dubbio si fugge, si torna a "casa", qualunque sia il luogo che ognuno di noi chiama casa.
Diary of the Dead - Le cronache dei morti viventi
I protagonisti di Diary of The Dead sono la troupe improvvisata di un cortometraggio horror studentesco. Stanno girando, di notte, un inseguimento tra una mummia e una ragazza. Il regista, Jason, ci tiene a sottolineare che i morti viventi non possono correre, altrimenti le loro ossa si spezzerebbero. E' una rivendicazione di paternità, che sarà anche ribadita in una delle scene finali del film. Gli zombi devono procedere lenti e claudicanti, non sono i mostri invincibili e disumani del remake di Snyder, ma involucri vuoti di ciò che un tempo eravamo. Sono speculari all'umanità, forse la sostituiranno. Il loro verso è un lamento disperato, non un ruggito. Non c'è ferocia nei loro gesti, solo meccanica ripetizione e un istinto inesorabile a continuare a muoversi. E a mangiare. E' proprio durante le riprese del cortometraggio che arrivano le prime notizie certe che il mondo, come siamo abituati a conoscerlo, è cambiato, forse in maniera irrevocabile. Il gruppo di ragazzi si mette in viaggio, ognuno di loro diretto in una parte diversa degli Stati Uniti, alla ricerca delle proprie famiglie e Jason decide di registrare tutti gli avvenimenti con la sua telecamera, per mostrare alla gente come stanno veramente le cose, per documentare quello che televisioni e giornali non sono in grado di riportare fedelmente, legate ancora a una concezione arcaica della diffusione di notizie. E infatti, dopo pochissimi giorni dall'inizio dell'epidemia, i mezzi di comunicazione ufficiali tacciono e vengono sostituiti da una polifonia di voci individuali, ognuna con la sua storia da raccontare, ognuna con le sue informazioni personali e particolari, ognuna con la sua parte di verità e il suo carico di menzogne, fraintendimenti e incomprensioni. Una realtà che si scompone in una miriade di frammenti, un labirinto in cui è facile perdersi.
Diary of the Dead - Le cronache dei morti viventi
In questo contesto, la massa indifferenziata di zombi che mette a rischio la civiltà intera, diventa indistinguibile dalla massa indifferenziata di individui che lottano contro di essa: in un procedimento inverso a quello adottato ne La Terra dei morti viventi, Romero non fa evolvere i suoi cadaveri ambulanti, ma spoglia i vivi di caratteristiche individuali distintive. Non è, come alcuni hanno affermato, mancanza di spessore dei personaggi. I giovani protagonisti di Diary of the Dead non sono stereotipi o clichés, non rappresentano il tentativo disperato di un vecchio regista di adeguarsi ai tempi attuali, senza riuscirci. La loro giovane età, come abbiamo detto prima, è un pretesto funzionale allo stile scelto. Privarli di un'identità precisa annulla le differenze tra noi (i viventi) e loro (i morti). L'unico individuo con caratteristiche spiccate è Debra, ennesimo personaggio femminile a cui Romero affida la sua visione sconfortante e pessimista del mondo e dell'essere umano. Ma, al contrario di Sarah, Debra non porta con sé nessun messaggio di speranza, solo una serie di interrogativi che emergono dal vuoto lasciato dall'apocalisse zombi e, soprattutto, la domanda finale: "ci meritiamo di essere salvati?", a cui Romero non fornisce una risposta, se non lo sguardo muto e sgomento di un morto vivente torturato e ucciso per gioco da un gruppo di vivi armati di fucile.
Lucia
Diary of the Dead - Le cronache dei morti viventi
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