Come lettore, però, devo registrare un fatto. Da quando mi sono dotato di un ebook reader e ho quindi molta più libertà di vagare per gli scaffali digitali del mondo acquistando in pochi click titoli che fino a pochi mesi fa avrei considerato irreperibili, sempre più spesso mi ritrovo a comprare romanzi, saggi o biografie che – e in genere lo scopro solo una volta effettuato il download – sono figli della pubblicazione fai-da-te.
I grandi siti di distribuzione editoriale digital tendono ormai a non nominare più l’editore, proprio in modo da mettere sullo stesso piano la grande major e l’autore-onanista della narrativa, azzerando così il senso di un marchio che, tanto, non è più sinonimo di qualità.
Mi è successo di comparare a mia insaputa libri self-published in un sacco di occasioni, l’ultima delle quali proprio ieri quando, stuzzicato da un podcast radiofonico statunitense appena scaricato da iTunes, mi sono precipitato su Amazon per procurarmi “The Devil Made Me Do It”, autobiografia della diva del porno anni ’70 Georgina Spelvin. E appunto, solo una volta letto il colophon sono venuto a sapere che a immettere il libro sul mercato è stata proprio la stessa autrice, la quale, nel caso tu volessi una copia cartacea, la stampa attraverso il sito Lulu.com e te la spedisce prelevandolo direttamente dalla scorta che tiene in cantina.
Chissà, mi sono chiesto, se l’ormai settantaseienne attrice, prima, ha anche proposto il libro a qualche casa editrice. Immagino di sì. Ma immagino anche che, tra rifiuti, mancate risposte e offerte economiche irrisorie, la Spelvin si sia fatta due conti economico-esistenziali, e abbia optato per l’arte di arrangiarsi proprio in modo da non essere – data l’età – pubblicata postuma. O forse, meno drammaticamente, avrà voluto guadagnare qualcosina in più con le vendite dirette che non con le royalties che, con la scusa del low-budget, i piccoli editori non accordano quasi mai o, se le accordano, poi si dimenticano di pagare.
E’ poi notizia di ieri la doppia rescissione del contratto (prima con Mondadori, poi con Giunti) per la pubblicazione di “El Especialista de Barcelona”, l’ultimo romanzo di Aldo Busi che ha rinunciato alla pubblicazione (con buona pace sia dello Scrittore che dei due gruppi editoriali) respingendo al mittente le pretese di controllo sul testo avanzate dai Direttori Editoriali.
“Se oggi Aldo Busi volesse pubblicare Seminario sulla gioventù, per non parlare di Sodomie in corpo 11, non troverebbe un editore”, ha dichiarato il Romanziere in un’intervista a Repubblica. E ancora: “Il romanzo potrei buttarlo in Internet, se non fosse per il rischio che qualcuno modifichi il testo, e per quello di cause legali, nel caso venisse in mente a qualcuno di farle…”
Insomma.. probabilmente, iniziasse oggi a lavorare alla sua immensa bibliografia, anche Aldo Busi sceglierebbe di pubblicarsela da sé, o di regalarla ai lettori solo per la soddisfazione di non regalarla a una casa editrice pronta a ridurla ai minimi termini per meglio adattarla alle esigenze del mercato e del potere. E c’è da pensare che, se mai un nuovo Aldo Busi nascerà, verrà fuori da un’operazione di autopubblicazione, non certo dal tritacarne di una casa editrice.
Da questi due esempi opposti in tutto e per tutto, risulta dunque evidente quanto la colpa della degenerazione del concetto di Editore non sia certo di Internet, o della rivoluzione digitale, né tantomeno di quelle aziende che cercano di fare profitto sulle speranze di aspiranti scrittori. No.. la colpa è solo dell’Editoria, che si è passo passo suicidata corrompendo la sua naturale funzione, concentrandosi su obiettivi diversi da quelli letterari, e offrendo una buona occasione a chiunque si autopubblichi di scrollarsi di dosso l’aria da sfigato onanista. Qualunque segaiolo dell’autopubblicazione potrà d’ora in poi lavarsi le mani della sua totale mancanza di talento e dichiarare, proprio come Giorgina Spelvin, “The Devil Made Me Do It”.