Ringraziamo Mark Covell per questo scritto che lui stesso ha tenuto a mandarci. Lo ringraziamo perché nelle sue parole, acutizzate da un senso di intimità con i suoi spazi, le sue emozioni, i suoi dolori, aiuta un pò di più a schiarire le zone d’ombre di una storia che, ancora oggi, resta politicamente e militarmente oscura, senza esecutori, né mandanti. Infatti, mentre Amnesty international, a poche settimane dall’accaduto, paragonava “i fatti di Genova” di 10 anni fa alla peggiore sospensioni dei diritti umani mai accaduta in Occidente nel Dopoguerra (non a caso immagini e video illustrano un amalgama di connessioni, connivenze, complotti e premeditazione, il tutto impastato con il sangue raggrumato di ragazze e ragazzi, ma anche di giornalisti, scout, pacifisti, preti, adulti, fotografi, anziani…), in Italia già ci si affrettava a solidarizzare con i difensori dell’ordine, garanti della democrazia e delle istituzioni. Quel che è accaduta a Genova lo raccontano le sensazioni di chi c’è stato, le loro vite distrutte, le loro testimonianze. Grazie Mark (p.f)
NON so cosa mi sia accaduto realmente, alla Diaz, dieci anni fa. Quel che so è che il mondo attorno, d’un tratto, è collassato. L’ho perso. Ed oggi, è come se quell’eclissi non fosse mai finita. Non sarò più capace di danzare, non sarò più capace di essere felice, non sarò più capace di amare, non sarò più capace di sorridere. Il mio mondo è dolore e lacrime. Il mio mondo è la solitudine. Il mio mondo è una torre nera in un mare buio. La vita è scappata via dal mio corpo. E’ questa l’esistenza che voglio continuare a portare avanti? Isolamento. Dolore, più profondo e più forte che mai. Perché non posso semplicemente continuare? Perché non riesco più a rimanere fermo nel centro di una strada? Vorrei fare questa sosta. Vorrei fermarmi. Vorrei fermare quest’incubo. E mi sento isolato.
Solo in un mare di sofferenza, solo con le mie urla. E quasi mi lacera. A nessuno importa e io sono impaurito dalla gente. Non mi faccio più vedere da nessuno. Vorrei nascondermi lontano. E se mi chiedessero cosa sto facendo? Cosa dovrei rispondere? Non ho più le parole. Solo urla. La mia casa non è più casa. Che cosa posso farci se sono spaventato anche dai miei stessi amici? Non oso lasciare la mia stanza. Il rischio di incontrare qualcuno è troppo alto. Sono solo e non sarò mai più felice. Qualcuno ha assunto il pieno controllo di me. Un fantasma cupo mi segue. E’ sui miei passi, mi getta in terra. Può succedere in ogni momento. da un momento all’altro posso perderlo di vista e ritrovarmi a mangiar polvere sul pavimento. Non so che sta succedendo fuori. Che succede fuori? Io resto a letto. Come potrei fare altro?
Più nulla ha senso. Piango. Piango come non ho mai pianto prima. Qualcosa spinge il mio stomaco fuori dal mio corpo. Sono malato? Non sono più me stesso. Non sono nessuno e sono tutto. Sono ogni prigioniero. Sono tutti i picchiati dalla polizia. Sono tutti i torturati. E’ una sensazione inarrestabile, che monta. Settimana dopo settimana. Mese dopo mese. Anno dopo anno. Mi vergogno. Non voglio apparire debole. Non voglio ammettere quello che ci hanno fatto ha avuto un tale impatto su di me. Sono un uomo forte. Ma adesso non sono nessuno. E nessuno può vedermi così.
Mark Covell, London [44 anni, giornalista di Indymedia.Uk, pacifista ed ambientalista. Era nella Diaz al momento dell'irruzione della Polizia, nel mezzo del massacro. A calci e manganellate gli fracassarono le costole, i polmoni, i denti. Stette in coma per quattordici ore, in bilico fra la vita e la morte. Pure essendo a genova essenzialmente per raccontare quei giorni di grande democrazia, fu arrestato per terrorismo. E' una delle figure chiave nel processo contro i poliziotti artefici dell'irruzione nella scuola genovese. Più volte ha ricevuto minacce di morte. Lui stesso racconta che, durante il processo più d'un "tutore dell'ordine" gli ha intimato il silenzio passandosi una mano sulla gola a mò di ghigliottina]
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