Tutti hanno vinto e nessuno ha perso, più d’uno rivendica una rivoluzione. Il chiacchiericcio post elettorale è degno di un centro ufologico e di una chiacchierata con gli alieni delle Perseidi, che mi dicono essere molto in voga in questo periodo. In effetti in Sicilia una rivoluzione c’è stata: la disgregazione del sistema politico, hors d’oeuvre di quello che si sta preparando in sede nazionale. E tuttavia, dentro il grottesco italiano, è l’unico cambiamento epocale che non si vuole riconoscere, perché farlo significherebbe da una parte ammettere il decesso del sistema di potere del berlusconismo, dall’altro il fallimento della mistica unione tra Pd e Udc nel nome di Monti.
Così Crocetta rivendica una vittoria destinata a rivoltare l’isola come un calzino, dimenticando che quasi la metà dei suoi voti sono gli stessi di Cuffaro e che alla fine dovrà inaugurare un governo fotocopia rispetto a quello di Lombardo. Ma ancora di più i personaggi del Pd nazionale, a cominciare da Bersani, sembrano essere convinti che le elezioni siciliane confermino la bontà della loro strategia verso il cuore della restaurazione, secondo i dettami di quella strategia, veltro-dalemiana che consiste nel far vincere le forze progressiste grazie alla loro trasformazione in forze conservatrici. Dopotutto Crocetta l’ha spuntata in una regione dove la destra e le sue commistioni hanno sempre regnato. I numeri però non dicono questo, dicono invece che il blocco di potere berlusconiano si è sfaldato e che solo questo ha permesso una vittoria che – sono pronto a scommetterci – si rivelerà evanescente.
Nel 2006, pur perdendo, Ds, Margherita e Lista Borsellino, avevano totalizzato il 41,6% , senza l’Udc che stava dall’altra parte con il suo Cuffaro e che aveva preso il 13%. In numeri assoluti le forze di centrosinistra avevano ottenuto 1.078 .000 mila voti.
Nel 2008 quel capolavoro di campagna elettorale condotta dalla Finocchiaro (che naturalmente fu premiata per il disastro) riuscì a racimolare per il Pd e le liste annesse un miserabile 30,4%, espressione però di un numero di voti pari a 505.000 per il solo partito democratico. Sull’altro fronte l’Udc aveva raggiunto il 12, 5% e 336.000 voti.
Oggi il Pd si ritrova con il 13,40% e 257.000 voti. Insomma si è dimezzato rispetto al bagno di sangue della Finocchiaro. E pure l’Udc è al 10% con 207.000 voti.
Certo c’è stata l’astensione e il boom di Grillo (o forse dovrei dire degli “Attivisti del Movimento a 5 Stelle”, unica nomenclatura ammessa) , ma l’effetto si è avuto proprio a causa di questa alleanza che fa intravedere senza misteri una trama gattopardesca e che soprattutto azzera il contenuto riformista del Pd (ammesso che ancora vi sia), lo rende poco appetibile all’elettorato di quella che potremmo chiamare sinistra moderata. Esattamente come le aperture – più o meno tormentate- di Sel al partito di Casini sul piano nazionale lo hanno letteralmente messo in stato preagonico. Tutti voti che o si sono riversati sul M5S o sono finiti nell’astensionismo. Perché all’elettore non puoi dire di sostenere la sinistra per fare una politica di destra. Nello stesso tempo l’alleanza innaturale col Pd rende l’Udc sospetto di blasfemia e bolscevismo agli occhi di chi lo vota
La rivoluzione è che questo sistema di partiti e di poteri ad essi collegati ha fatto il suo tempo ed è ormai privo di senso politico. E’ solo una gara a chi sta peggio, non a chi esprime un progetto migliore o tout court un progetto che non sia un collage di frasi fatte. Ma Marco Follini su Twitter ci fa sapere che “l’alleanza tra Pd e Udc è vincente. Meditate, gente, meditate”. E io medito: ma com’è possibile che uno così rigoroso e acuto nelle sue osservazioni stia in Parlamento da 4 legislature ? Che non sia un alieno delle Perseidi? Perché se così fosse è ora di tornare al pianeta natale, con un sistema di propulsione vigoroso ed efficace, ma molto tradizionale.