Dickens, Pickwick e Weller, gentiluomini: un’allegra brigata vittoriana

Creato il 07 febbraio 2014 da Diletti Riletti @DilettieRiletti

È arduo riassumere in poche parole un tomo di quasi ottocento pagine di cui tutti hanno almeno sentito parlare, che è il simbolo e la bandiera di un’intera società, figlio della penna ancora acerba di Charles Dickens.

In pratica si tratta dei resoconti delle riunioni di un club scritte dal suo fondatore e presidente, Samuel Pickwick, e da un drappello di strampalati soci, i signori Tracy Tupman, August Snodgrass, Nathaniel Winkle, che descrivono con dovizia di dettagli viaggi e avventure come anche osservazioni su costumi e carattere degli uomini. Tra scrocconi e duelli, vecchie zitelle e religiosi ubriaconi, mancati matrimoni e feste natalizie, dalle pagine sbuca e si mette in moto una vera armata comica con più di sessanta personaggi, un intero universo che si agita, sgomita e ne combina di tutti i colori. Le avventure di Pickwick e dei suoi compari si alternano ai racconti dei vari personaggi, gentiluomini e popolani, tutti ugualmente protagonisti del romanzo, con il cordiale Pickwick che pare volerli abbracciare tutti per fare egli stesso da cornice in carne e ossa ai vari episodi.

Gioviale e ottimista, ricco di buoni propositi e di idee rigorose, il nostro gentleman è una sorta di Don Chisciotte immobile: senza che lui lo desideri le avventure vanno a cercarlo col lanternino; benché accorso in ritardo, il Sancho Panza –e fattore accelerante dell’opera- è Sam Weller, il suo cameriere filosofo e concreto, vitale e ricco di humour, mosso da uno spirito pratico irrefrenabile che tenta con ogni mezzo di contenere l’idealismo stravagante di Pickwick.

La società inglese del tempo attraversa questa creazione della giovinezza di Dickens che lascia presagire tutta la sua produzione posteriore, e in ogni pagina ancora oggi assaporiamo un modo di raccontare riuscito e perfetto che riflette nello stile tutta la mutevolezza dei caratteri creati.

Ma la vera riuscita, il punto di forza della narrazione, sta nella “strana coppia” Pickwick-Weller, unione ben assortita di due caratteri comici, ma reali e umani; tutti gli altri personaggi sono macchiette irresistibili: imbroglioni, ciarlatani, stravaganti e snob, medici tratteggiati con pennino tagliente. Un Dickens satirico dipinge un’Inghilterra dove le convenzioni sociali raggiungono tali vette da sfiorare l’assurdo, ma in qualche modo (e senza mai cadere nel crepuscolarismo) esprime anche una vaga, divertita nostalgia per tutte quelle “buone cose di pessimo gusto” di cui è impastata l’Inghilterra vittoriana, originale fino all’eccentricità. Il ritratto che ne esce è anche l’immagine “tipica” dell’inglese che si è tramandata fino ai nostri giorni.

Nota a margine: i primi quattro numeri dell’opera non ebbero grande successo; ma dopo il suicidio del primo disegnatore (non tutto il male vien per nuocere…) e l’avvento di Sam Weller, le vendite conobbero un picco incredibile passando da 400 a 40mila copie al mese. Pickwick era diventato un personaggio popolarissimo e le perle di saggezza di Weller erano citate ovunque come battute di spirito. E con una delle sue famose frasi vi saluto anch’io:

Contentissimo di vedervi, proprio di cuore, e mi auguro che la nostra conoscenza durerà un pezzo, come disse quel tal signore al biglietto da cinque sterline.


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